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luglio 11, 2014

In calo i lettori dei quotidiani. Ma non è tutta colpa del web.

Diminuisce la diffusione dei giornali: molto negativa la situazione in Italia.

Un ridimensionamento nel mercato dei quotidiani. I numeri dell’Audipress, società nata per raccogliere i dati sulla diffusione della stampa italiana, danno la percezione di un’ulteriore fase di declino.

I dati complessivi sul numero di lettori, infatti, fotografano un calo del 3,2%, al di sotto della soglia dei 40 milioni (38,92 milioni), con un contributo importante della free press, che su tutte le quattro testate della “categoria” ha registrato decrementi intorno alle due cifre percentuali. Sono ormai poco meno di 5 milioni le copie giornaliere diffuse in Italia.

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Nel complesso, dunque, si registra una situazione di generale affanno del mercato dei quotidiani e un calo molto deciso rispetto al periodo precedente, quando la perdita in termini percentuali era stata praticamente nulla. In totale i lettori di quotidiani si attestano in Italia a quota 14 milioni e 348mila, di questi più della metà sono donne (9 milioni e 725mila lettori).

Se in Italia la situazione odierna per il settore della carta stampata risulta preoccupante, ci sono altri Paesi in cui i trend sono opposti. Secondo i dati del 2010 dell’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) il Giappone è il Paese con più lettori di quotidiani. Tuttavia, in termini assoluti, il Paese “del sol levante” dal 2005 a oggi si è trasformato nella nazione con "la più alta densità di lettori di quotidiani a pagamento", un primato che a lungo era stato detenuto dalla Norvegia.

In Giappone circolano 526 quotidiani in media ogni giorno per 1000 abitanti, più dei 458 della Norvegia, dei 400 della Finlandia, dei 362 della Svezia e dei 292 della Svizzera. L’Italia con la Spagna conferma pessimi risultati: solo 90 quotidiani ogni 1000 abitanti.

Il declino della carta stampata emerge anche dalla riduzione del numero dei quotidiani, che è particolarmente accentuata per la stampa locale. In Francia, per esempio, si è passati dalle 153 testate locali del 1945 alle 56 del 2004, per la stampa nazionale la riduzione è da 26 a 10 testate. Nel 2008 venivano pubblicati nei Paesi dell’Ocse circa 4000 quotidiani. Tra il 2007 e il 2008 anche i quotidiani che hanno resistito hanno ridotto di molto le vendite. Ma ci sono le eccezioni, tra le quali l’Ouest in Francia, Usa Today e il Wall Street Journal. In linea di massima, a soffrire di più è la stampa locale, che tra il 2004 e il 2008 in tutti i Paesi dell’Ocse ha perso l’8,3 per cento contro il 2,8 per cento della stampa nazionale.

Ma quali sono le ragioni di questa crisi? E’ vero, Internet ha indubbiamente contribuito a determinare la perdita di una quota di lettori, ma è altrettanto vero che occorre analizzare il contesto dell’informazione giornalistica nella sua complessità per meglio comprendere i motivi della crisi della stampa italiana.

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L’effetto del Web non è per noi così travolgente come dimostra essere negli Stati Uniti. La disponibilità di accesso alla banda larga e l’utilizzo intensivo delle nuove tecnologie e dei nuovi media sono infatti più contenuti rispetto a quanto avviene in altre parti del mondo industrializzato. Continua a esistere un digital divide, un divario consistente tra chi usa e non usa Internet, che determina una debole accelerazione nell’accesso alle tecnologie da parte della popolazione italiana. Esiste poi un fattore culturale che alimenta una certa ostilità e diffidenza, soprattutto nella fascia delle generazioni più anziane, verso i nuovi mezzi di comunicazione.

Se, quindi, il fattore internet come causa del calo endemico delle copie vendute deve essere in parte ridimensionato, perchè vi è una generalizzata riduzione del numero di lettori? Ad essere messe in gioco sono probabilmente la credibilità e l’attrattiva dei giornali, costantemente diminuite per un clima di crescente disaffezione dei cittadini nei confronti della politica, troppo spesso legata da rapporti strettissimi con il mondo dei media tradizionali.

Chi analizza il settore da un punto di vista critico cerca di dimostrare invece che esiste una correlazione tra la crisi di vendita dei quotidiani e la loro omologazione culturale. Come afferma Alessandro Barbano, vicedirettore de Il Messaggero, nel suo libro “L’Italia dei giornali fotocopia” l’avvento tecnologico degli ultimi cinque anni ha imposto nelle redazioni un ribaltamento dei fini della comunicazione: l’impiego massiccio di Internet nei processi di formazione della notizia da strumento per esaltare le differenze è divenuto metodo di replicazione, più volte possibile, di un modello unico e indifferenziato.

L’effetto di questo processo non risiede tanto nell’inattendibilità, o addirittura nella palese falsità della notizia, quanto nella perversa rincorsa emulativa che induce simultaneamente i giornali ad un processo di omologazione, indifferente rispetto ai contenuti.

Ricordiamo però che vi sono diverse “scuole di pensiero” sull’argomento e quindi ci sono casi in cui la diffusione di notizie via Internet viene considerata quasi una minaccia per l’approfondimento e il giornalismo tradizionale, e casi in cui costituisce una valvola di sfogo e di diffusione del libero pensiero, là dove le altre vie sono vietate da leggi restrittive. E ci sono inoltre casi di maggiore integrazione: per esempio il New York Times ha rilevato che il 70 per cento dei suoi 1,1 milioni di utenti registrati sono anche sottoscrittori dell’edizione stampata. Tanto che, in termini globali, mettendo insieme Internet e carta stampata, i lettori negli ultimi anni sono aumentati. Anche in Italia le principali testate ottengono buoni risultati dalle edizioni on line. Saper integrare il nuovo e il vecchio, la tecnologia e l’approfondimento, sembra attualmente la carta vincente per riuscire a sopravvivere all’interno dell’immenso flusso di comunicazione, senza restare tagliati fuori da un mercato sempre più spietato.

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