A differenza di altri prodotti come il tè, le banane e l’olio di palma, la produzione del caffè è nelle mani dei produttori locali (e non di multinazionali!).
I produttori di caffè (i maggiori produttori ed esportatori si trovano in America Latina) sono di due tipi:
- piccoli contadini: sono milioni di contadini con piccoli appezzamenti di circa 1 ettaro; la conduzione è familiare e oltre al caffè coltivano mais, fagioli e altro per la loro alimentazione.
- medi e grandi proprietari terrieri: sono latifondisti che hanno manodopera salariata tenuta in pessime condizioni.
C’è una grossa differenza tra questi due tipi di produttori:
1) Il piccolo contadino, in un determinato periodo dell’anno, è un datore di lavoro:
durante la raccolta la forza lavoro della famiglia non è sufficiente; spesso capita che vada persa una parte del caffè perchè è difficile avere forza lavoro aggiuntiva visto che nello stesso periodo il caffè matura anche nelle grosse piantagioni, dove i lavoratori possono trovare salari un po’ più alti. Nei restanti mesi i contadini stessi sono costretti a lavorare altrove per assicurare la sussistenza alla famiglia.
Un altro grosso problema per i piccoli contadini è l’accesso al mercato: è necessaria per loro l’intermediazione dei commercianti locali che a loro volta rivendono ai grossisti che, infine, consegnano il caffè agli esportatori. I piccoli produttori ricevono, a causa di tutti questi passaggi, solo metà o un quarto del prezzo di mercato.
2) Il grande proprietario invece, oltre a guadagnare sullo sfruttamento dei braccianti, ha il grosso vantaggio di poter vendere il proprio caffè direttamente agli esportatori.
- In America Latina i piccoli produttori sono l’80% dei produttori di caffè, ma producono il 20% del caffè totale per la grossa presenza di grandi proprietari.
- Al contrario in Africa, dove i grandi proprietari terrieri sono pochi, i piccoli produttori sono il 90% dei produttori di caffè e producono il 90% del caffè.
Per i piccoli proprietari una soluzione per diventare competitivi sul mercato è la costituzione di cooperative, requisito che permette anche la collaborazione con le organizzazioni di commercio equo e solidale. Queste, grazie anche al prefinanziamento, danno ai soci delle cooperative condizioni di vantaggio che offrono loro la possibilità di costruire le infrastrutture (impianti di lavorazione, magazzini, strade, scuole, etc..) necessarie per liberarsi da intermediari.
I commercianti locali e i governanti sostengono che la povertà dei contadini non dipende tanto da loro, quanto dall’andamento del prodotto sul mercato internazionale: i prezzi che essi pagano ai contadini aumentano se aumentano quelli sul mercato internazionale, altrimenti diminuiscono.
Sul mercato internazionale i prodotti tropicali sono piazzati tramite borsa o per contatti diretti. Queste borse sono agenzie che mettono in rapporto tra loro venditori e compratori di un prodotto: per il caffè sono le Borse di New York e Londra.
Nelle borse si trattano partite di immediata consegna e inoltre si possono stipulare contratti a termine: si mette in vendita il prodotto ancor prima di poterlo consegnare, ad esempio nel caso del caffè quando è ancora sulla pianta; gli agricoltori non ricevono subito il denaro, ma si accontentano di stipulare con il compratore un contratto in cui viene fissata la quantità venduta, il prezzo e la data di consegna.
Il compratore è possessore di una quantità prenotata di caffè e può decidere di rivenderla ad un altro ad un prezzo nuovo; può accadere che la consegna reale avvenga ad un acquirente che ha comprato il caffè dopo molti passaggi; da queste attività di compra-vendita nasce la speculazione, che fa guadagnare proprio su queste variazioni di prezzo che si hanno tra la firma del contratto e il momento della consegna della merce.
La speculazione prospera se sul mercato si creano momenti di scarsità del prodotto, e spesso artefici della speculazione sono proprio le grandi multinazionali per la loro grande capacità di acquistare e immagazzinare il prodotto; in questo modo alcune multinazionali riescono a controllare la quasi totalità del mercato dei prodotti tropicali e si arricchiscono.
Negli ultimi anni il prezzo internazionale del caffè è sceso costantemente, ma il prezzo al consumo non molto. In effetti la maggior parte dei soldi che noi paghiamo per consumare caffè si ferma nel nord del mondo: il prezzo del caffè al dettaglio è 7 volte maggiore di quello pagato ai paesi produttori.
Per ogni euro che paghiamo per un pacchetto di caffè, ben 0,87 euro si fermano nel nord e solo 0,13 euro tornano ai paesi produttori; a loro volta questi 0,13 euro devono essere divisi tra stato, esportatore, grossista, fabbrica di decorticazione, per cui ai contadini arriva appena il 3-4% del prezzo finale!
Nel solo tratto che va dal campo di produzione al porto d’imbarco il caffè che beviamo può passare per quattro mani:
coltivatore –> commerciante che fa la raccolta a domicilio –> grossista –> fabbrica di decorticazione –> esportatore.
Tra questi chi guadagna meno di tutti è il coltivatore e più di tutti è l’esportatore (3000 volte in più rispetto al coltivatore).
C’è chi guadagna ancor più dell’esportatore: lo Stato.
Lo fa sotto due vesti:
1) come ente assicuratore:
- ogni anno il governo infatti decide il prezzo di vendita del caffè ad ogni passaggio, tenendo spesso poco conto dei prezzi in vigore sul mercato internazionale. Un’apposita cassa statale detta “cassa di stabilizzazione dei prezzi” farà in seguito da cuscinetto: darà la differenza agli esportatori se i prezzi mondiali sono più bassi di quelli fissati dal governo; se invece i prezzi sono più alti intascherà la differenza.
- Queste casse esistono soltanto in alcuni paesi e per alcuni prodotti. Ad esempio nel 1980 la cassa di stabilizzazione dei prezzi in Costa d’Avorio si appropriava del 47% degli introiti derivanti dalla vendita del caffè.
2) come rappresentante della collettività :
- lo stato si procura denaro da caffè, cacao, banane, ananas, imponendo tasse, spesso altissime, alla loro esportazione. Ad esempio nel 1986 in Uganda questo tipo di tasse rappresentarono il 67% di tutte le entrate fiscali.
Dunque il contributo di contadini e braccianti per il proprio paese è alto, ma raramente ottengono indietro vantaggi o tutele; la maggior parte delle volte infatti i soldi che essi forniscono ai governi sono spesi a favore delle classi agiate e per il rafforzamento del potere dei governi stessi.
I bilanci pubblici indicano che in molti paesi del sud del mondo le spese per armamenti sono tra le voci principali, spesso molto più alte di quelle per educazione e sanità .
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