C’era una volta il cinema politico… E ora non c’è più? No, qualche nobile tentativo c’è ancora ma difficilmente paragonabile al lavoro lasciato da Elio Petri con l’amico e compagno di ideologie Gian Maria Volonte’.
Erano anche altri tempi, direbbe qualcuno, eppure temi e modalità di censura e di critica non sembrano così lontani da quelli di oggi.
E allora proviamo a scandagliare la memoria. Negli anni in cui Petri faceva cinema c’era la DC. Quella con il Divo Giulio, che nel ’74 porto’ sull’isola di La Maddalena la base Nato, a cui dopo 32 anni gli isolani, supportati dal Governo Prodi hanno detto NO.
Ma questa e’ un’altra storia. Pero’ Giulio Andreotti c’entra lo stesso. Nel 1976 Elio Petri girava “Todo Modo” liberamente tratto dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia, pubblicato due anni prima.
Era una sorta di giallo intorno ad un gruppo di notabili della classe dirigente del paese sottoposti ad una serie di rituali religiosi condotti da un prete molto abile. E in un crescendo di terrore venivano uccisi uno ad uno. Non si fanno nomi nel libro, ma chiaro e’ l’obiettivo: chiesa, politica, ambiguità e scaltrezza di certe figure al potere.
Nel film e’ tutto più dichiarato: l’obiettivo da colpire era la Democrazia Cristiana e il personaggio interpretato da Gian Maria Volonte’ era plasmato su Aldo Moro. Nonostante il romanzo di Sciascia fosse meno esplicito e più anticattolico, lo scrittore approvo’ la trasposizione di Petri: “Ha una cupezza biblica cattolica. E’ l’apocalisse della DC perché, per dirlo in termini religiosi, la DC ha peccato contro lo spirito.
In fondo “Todo Modo” e’ un film pasoliniano, nel senso che quel processo che Pasolini voleva fare e non poté fare alla classe dirigente DC, lo ha fatto oggi Petri”. La critica fu invece compatta nell’etichettare il film come eccessivo, violento, sommario, ambizioso e volgare, l’interpretazione di Volonte’ fu considerata esagerata e sopra le righe. Anche il PCI prese le distanze dal film, sebbene Elio Petri fosse tesserato, ex militante della federazione giovanile del Partito Comunista e prima scrivesse su L’Unita’.
E’ interessante leggere cosa spiegava Petri a proposito di Aldo Moro e del lavoro d’interpretazione. ” Quando girammo “Todo Modo” Volonte’ divenne evanescente, camminava come se fosse sulle nuvole, parlava a bassa voce, non ti guardava negli occhi. I critici -continua Petri- ne parlarono come di un Noschese. Avevamo visionato molti pezzi di repertorio su Moro e posso assicurare che abbiamo censurato moltissimi dei suoi comportamenti che sarebbero risultati troppo irriverenti nella loro comicità.
Moro si abbandonava spesso a rituali molto elaborati quando incontrava altri uomini politici e ne venivano fuori dei veri balletti. Io credetti che fosse meglio puntare su una maschera che simboleggiasse tutti i democristiani, pur partendo dai buffi ed esitanti rituali di Aldo Moro”. “Todo Modo” fu l’ultimo film che Elio Petri e Gian Maria Volonte’ girarono insieme e che costo’ ad entrambi l’isolamento artistico. Il loro sodalizio artistico inizio’ nel 1967, per la lavorazione del film “A ciascuno il suo”. Ancora una volta Leonardo Sciascia, anzi la prima volta per Petri e Volonte’ in un’occasione cercata per fare un film che si ponesse come “un atto di intervento politico”.
La storia era esplicitamente centralizzata sulla presenza e l’operare della mafia. “Cio’ che mi interessava -dirà Petri- era la rappresentazione combinata, da un lato dell’incapacità dell’intellettuale di comprendere la realtà, dall’altro quella della mentalità mafiosa, dalla quale tutti i protagonisti della storia sarebbero più o meno consciamente pervasi. Piovvero critiche da ogni parte a quello che era il più civilmente e moralmente violento atto d’accusa alla mafia, realizzato dal cinema italiano negli anni ’60 e che vinse nel ’67 la Palma per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes e quattro Nastri d’Argento nel ’68. Seguiranno altri due film fortemente politici. “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, nel 1970, che Gian Maria Volonte’ considerava “un film sull’autoritarismo e la repressione poliziesca”. Il clima era teso, girato a due mesi dalla Strage di Piazza Fontana il film scritto da Ugo Pirro e interpretato anche da Florinda Bolkan, fu presentato per la prima volta a Milano e accolto da un grande successo di pubblico , inaspettato.
A cui segui un dibattito critico accesissimo contro Petri, accusato di aver fatto un film al servizio della Polizia e totalmente estraneo alla denuncia politica. Tutti concordi invece nell’elogio per l’interpretazione ineccepibile e straordinaria del protagonista, che vinse premi ovunque e il film conquisto’ l’Oscar per la migliore opera in lingua non inglese. Infine, tra le opere politiche e ad alto valore artistico che Petri e Volonte’ hanno lasciato c’è “La classe operaia va in paradiso” (1971), che vinse la Palma d’Oro a Cannes nel 1972, ex aequo con “Il caso Mattei” di Francesco Rosi, anche questo con Gian Maria Volonte’.
Secondo Petri, negli anni ’70 dopo le grandi lotte sindacali, era indispensabile fare un tentativo di prendere un personaggio del popolo come eroe di un film. Al cinema neorealista, naïf da un punto di vista ideologico ma dove si ritrovava un filone naturalista e uno cristiano-sociale, si e’ sostituito un cinema che era il riflesso della restaurazione e della burocrazia imposta agli italiani. La restaurazione dei privilegi e della concezione capitalista della vita, interamente basata sul denaro e il profitto sono stati riprodotti con un senso critico notevole da Fellini, Antonioni e da Visconti che ha cercato di sviluppare il discorso neorealista. Ma i personaggi popolari erano scomparsi, tranne che nei film destinati al grande consumo”.
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