Le migrazioni del lavoro.
Quanto alla globalizzazione nelle migrazioni del lavoro, cioè sostanzialmente al modo di essere oggi delle migrazioni di persone, da un lato, va detto che si è stati in presenza di una forma massiccia di spostamenti di lavoratori da un paese all’altro, da un continente all’altro, così come già accaduto in altre epoche storiche.
Dall’altro lato, però, sono da registrare due novità. In primo luogo, si è trattato anche di spostamenti non definitivi, che cioè riguardano persone che si muovono da un luogo all’altro in cerca di un lavoro, ma lo fanno nell’intento che tale situazione durerà alcuni anni, magari molti anni, ma non sarà definitivo. In secondo luogo, lo spostamento, almeno all’inizio, ha riguardato persone singole che magari hanno lasciato le famiglie nel paese d’origine, inviando ad esse tramite periodiche rimesse somme anche cospicue per il sostentamento di chi resta in loco.
Ancora, in tema diglobalizzazione nelle migrazioni del lavoro, trattandosi di tema particolarmente sensibile per le sue implicazioni sul piano sociale e umano, si consideri che, ai nostri giorni, sono state presenti migrazioni di massa concernenti persone che si sono mosse rapidamente, ma a cicli, da un paese all’altro, perfino da un Continente all’altro. Ciò in particolare è accaduto tra paesi poveri e paesi ricchi, specialmente in Europa, ed anche, come noto, in Italia, quanto soprattutto a persone provenienti dall’Africa, sia dal Nord arabo sia dall’entroterra dell’Africa nera; anche se, si noti, non è stato così per la prima volta nella storia umana.
In effetti, ciò si è avuto sin dalle migrazioni nei tempi antichi, come quelle nella Bibbia, da Abramo, mossosi individualmente, a Mosè mossosi con l’intero suo popolo per ritornare dall’Egitto ad Israele, per passare a quelle degli “ebrei erranti”, allorché a seguito della rivolta ebraica si ebbe la distruzione del Tempio di Gerusalemme e la completa romanizzazione della città e dell’intero territorio nel 70 d.C. Saltando i secoli e addirittura i millenni, non si può comunque fare a meno di citare le migrazioni tra la fine del secolo XIX e l’inizio del secolo XX, sino alla Prima Guerra Mondiale ed a poco dopo, che hanno comportato lo spostamento dall’Europa alle Americhe di milioni di persone, per poi fermarsi ben prima della Seconda Guerra Mondiale. Più recentemente, come noto, le migrazioni sono riprese, ma ora da parte di consistenti masse di persone verso l’Europa in provenienza dall’Africa, cui si sono poi aggiunte, e si sono via via estese, quelle provenienti dall’Asia e dall’America Latina.
Riflettendo su differenze e somiglianze, su discontinuità e continuità, vanno considerati i diversi modi e tempi in cui l’economia mondiale si è mossa, e non sempre per il meglio, dai vari processi precedenti di cooperazione ed integrazione economica internazionale al successivo diffondersi mondiale dell’internazionalizzazione degli affari, dei commerci, della produzione, dei movimenti di capitale finanziario, insomma di tutte quelle posizioni ed esperienze che vengono ricomprese e raggruppate nel fenomeno cruciale della globalizzazione e che hanno anche influito sui recenti, consistenti, andamenti delle migrazioni del lavoro.
In effetti, tutto ciò avveniva in presenza di una sorta di euforia ed illusioni collettive quanto alle quali, però, solo pochissimi economisti hanno allora ritenuto che “il fuoco covasse sotto la cenere”. Oggi, in quanto quell’euforia e quelle illusioni hanno portato – com’è di fatto accaduto – ad una nuova inversione di tendenza, anzi ad una vera e propria crisi socio-economica nella seconda parte del decennio, non vi possono essere dubbi che gli stessi flussi migratori verranno a risentirne progressivamente nel tempo.
Il mercato del lavoro e la distribuzione del reddito.
Come per tutte le grandezze economiche e per tutti i mercati, anche per il mercato del lavoro e per l’occupazione, occorrerà ragionare in termini di confronto tra offerta e domanda di lavoro.
Anche limitandosi a dire dei mercati nei paesi d’immigrazione, naturalmente le teorie economiche nonché le rivenienti politiche hanno visto l’usuale contrapposizione fra posizioni neoclassico-monetariste e quelle classico-keynesiane. Così, a parte le prime, laddove sono strettamente perseguiti i canoni del paradigma massimizzante su basi marginalistiche, in ambito classico-keynesiano è invece prevalsa l’impostazione secondo cui il mercato del lavoro è proprio quello per il quale ha specificamente senso la visione etica dell’economia. Ciò in particolare quanto alla teoria della distribuzione del reddito soprattutto quanto alla determinazione del salario (o prezzo del lavoro) in rapporto al profitto. In proposito, invece del principio della produttività marginale del lavoro rispetto a quella del capitale (com’è negli schemi neoclassico-monetaristi), in ambito classico-keynesiano si è mantenuta la tesi che la determinazione del salario - reale o monetario, a seconda dei casi - va sempre ottenuta all’esterno dell’economia, mentre il profitto si ottiene in conseguenza. Ciò, in base a considerazioni in cui giocano un ruolo, al di là del potere contrattuale rispettivo di lavoratori e imprese, le diverse sensibilità di tipo meta-economico, ed in particolare di ordine etico.
In particolare, com’è nella dottrina sociale cattolica, si consideri che il lavoro non è, népuò essere, considerato solo quale un bene economico come tutti gli altri. Allora, quanto all’offerta – come affermato con forza dal Papa Giovanni Paolo II°, in particolare, nell’Enciclica Laborem exercens (1981) – il lavoro è, sì, un bene economico, ma è specificamente molto di più, essendo caratteristica fondante della natura umana, in quanto l’essere umano è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio creatore. D’altro canto, quanto alla domanda, il comportamento delle imprese e degli altri agenti che impiegano lavoro sarà sempre informato, oltre che a criteri di economicità, anche ad aspetti di responsabilità, umanità, e solidarietà.
Politiche per l’immigrazione e per il lavoro
Certo, quanto alle politiche per l’immigrazione e per il lavoro, stanti le attuali condizioni della globalizzazione, si è in presenza di questioni correlate tra le politiche di ordine interno ad ogni paese e quelle che risentono degli effetti di ciò che prevale negli altri paesi similari. Tuttavia, ancora gli aspetti nazionali sono da considerarsi prevalenti; e ciò perfino in Europa, dove pure “premono” forze e posizioni per una visione sopra-nazionale, cioè europea, dell’intero problema.
Prendendo il caso dell’Italia, si consideri intanto che la nostra economia attraversa da almeno due decenni un certo declino; così che, a mio avviso, gli aspetti negativi relativi alla crisi ed al ciclo attuali vanno aggiunti a quelli sottostanti di medio-lungo periodo.
In particolare, stanti le sue condizioni di economia duale, cioè quanto alla divisione fra il Nord-Centro industrializzato e le regioni Meridionali in via di industrializzazione (incluse, ovviamente, le due Isole maggiori), è chiaro che le sue due macroaree mostrino tuttora differenti processi dinamici. Pertanto, le stesse misure di politica economica anticiclicapossono ben essere in conflitto con quelle concernenti il trend di medio-lungo periodo, cioè con misure e riforme di ordine strutturale. Allora, non si riescono proprio a comprendere sciovinismi e chiusure che pure albergano presso vari settori del nostro paese.
Comunque, le misure intraprese al fine di contrastare gli aspetti sia di crisi sia di ciclo – quali quelle concernenti i cosiddetti ammortizzatori sociali e quelle relative ai sussidi finanziari o fiscalialle imprese in difficoltà – vanno specificamente coordinate con le misure fiscali e finanziarie intese a promuovere la crescita o lo sviluppo, sostenendo investimenti ed occupazione vuoi nel Meridione vuoi in particolari settori ed imprese quanto alle scelte tecnologiche nell’intero paese.
In queste condizioni segue che una politica per l’immigrazione – nel che, a differenza che per un lungo passato allorché l’Italia è stata un paese di forte emigrazione, si sostanzia oggi la politica per le migrazioni del lavoro – non potrà non vedere il contemperamento di due istanze parimenti rilevanti. Ciò, al fine di evitare in ogni modo che si cumulino conflitti che possono anche esplodere in guerre fra poveri. A mio avviso, la soluzione non può, allora, non essere vista alla luce delle premesse sopra fatte quanto ai condizionamenti che sempre vanno riconosciuti ad aspetti esterni all’economia, ed in particolare a quelli rivenienti dai prevalenti valori e norme morali (o attinenti all’etica) che largamente si sottoscrivono nel paese da parte della gente, in quanto rivenienti da una morale sociale aperta e cooperativa.
Infine (si fa per dire) si noti che politiche speciali vanno perseguite con riferimento a due aspetti rilevanti della realtà contemporanea in tema di immigrati: da un lato, quello dell’immigrazione clandestina; dall’altro, quello dei rifugiati. E’ chiaro che un’attenzione specifica ed argomentata va rivolta ad entrambi gli aspetti; ma – per assoluta mancanza di spazio – non è possibile occuparsene in questa sede. Si è inteso però farvi cenno ritenendo di avere indicato in queste note più che altro un metodo di analisi dal punto di vista di un economista eticamente motivato.
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