I super ricchi nel mondo evadono più di tutti. Una ricerca – citata dal quotidiano britannico Guardian – elaborata dal gruppo Tax justice network dal titolo ‘The Price of offshore revisited’ (Il costo delle economie off-shore rivisitato), denuncia un dato impressionante: alla fine del 2010 l’élite mondiale dei Paperoni di tutto il mondo ha custodito almeno 21 trilioni di dollari in conti correnti segreti nei cosiddetti paradisi fiscali off-shore (come la Svizzera e le isole Cayman). Tale cifra assomma a più del valore del pil di Stati Uniti e Giappone messi insieme.
Secondo l’ex economista capo dell’agenzia di consulenza finanziaria McKinsey, James Henry, che ha compilato la stima, la più dettagliata relativa al mondo sommerso dei paradisi fiscali, la cifra potrebbe arrivare a 32 trilioni di dollari. Nel rapporto, viene infatti tenuto in conto solo il capitale finanziario e non le proprietà, fra cui le barche di lusso, che spesso sono iscritte ai registri navali proprio dei Paesi dove è più facile evadere il fisco.
Ad aiutare gli evasori, le banche private: la ricchezza di questi individui – relaziona Henry – è protetta da “un branco di professionisti altamente retribuiti, appartenenti all’industria bancaria, legale, contabile e di investimento che si avvantaggia delle frontiere porose dell’economia globale”.
Sempre secondo la ricerca dell’economista, le prime dieci banche private, tra cui Ubs e Credit Suisse, così come la banca di investimenti Goldman Sachs, hanno gestito oltre 5,8 trilioni di euro nel 2010, contro i 3 milioni di euro del 2007. Lo studio, redatto con dati provenienti da una varietà di fonti, incluso la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank of Settlements) e il Fondo Monetario Internazionale, suggerisce che in numerosi Paesi emergenti il valore cumulativo del capitale uscito dalla loro economie dagli anni ’70 a oggi sarebbe abbastanza per pagare il debito col resto del mondo.
I Paesi ricchi di petrolio, con un’élite mobile a livello internazionale sono particolarmente soggetti a vedere la loro ricchezza scomparire in conti bancari off-shore anziché essere investiti in patria. Oltre sette miliardi di euro hanno lasciato la Russia dai primi anni ’90. Dagli anni ’70, sono usciti dall’Arabia Saudita 290 miliardi di euro. Dalla Nigeria, nello stesso periodo, una somma di poco inferiore: 288 miliardi di euro.
Il capitale che evade il controllo delle autorità fiscali nazionali è così imponente che nuovi parametri sono necessari per calcolare il divario tra ricchi e poveri. Secondo i calcoli di Henry, 9,2 trilioni di capitale sono nelle mani di appena 92mila persone, lo 0,001 percento della popolazione mondiale. “La disuguaglianza – scrive Henry – è molto peggiore delle statistiche ufficali, ma i politici attuano ancora il trickle-down (sconti fiscali e agevolazioni a imprese e soggetti benestanti) per trasferire ricchezza ai poveri. La gente per strada non si fa più illusioni su quanto ingiusta sia di diventata la situazione”.
Secondo l’ex economista capo dell’agenzia di consulenza finanziaria McKinsey, James Henry, che ha compilato la stima, la più dettagliata relativa al mondo sommerso dei paradisi fiscali, la cifra potrebbe arrivare a 32 trilioni di dollari. Nel rapporto, viene infatti tenuto in conto solo il capitale finanziario e non le proprietà, fra cui le barche di lusso, che spesso sono iscritte ai registri navali proprio dei Paesi dove è più facile evadere il fisco.
Ad aiutare gli evasori, le banche private: la ricchezza di questi individui – relaziona Henry – è protetta da “un branco di professionisti altamente retribuiti, appartenenti all’industria bancaria, legale, contabile e di investimento che si avvantaggia delle frontiere porose dell’economia globale”.
Sempre secondo la ricerca dell’economista, le prime dieci banche private, tra cui Ubs e Credit Suisse, così come la banca di investimenti Goldman Sachs, hanno gestito oltre 5,8 trilioni di euro nel 2010, contro i 3 milioni di euro del 2007. Lo studio, redatto con dati provenienti da una varietà di fonti, incluso la Banca dei Regolamenti Internazionali (Bank of Settlements) e il Fondo Monetario Internazionale, suggerisce che in numerosi Paesi emergenti il valore cumulativo del capitale uscito dalla loro economie dagli anni ’70 a oggi sarebbe abbastanza per pagare il debito col resto del mondo.
I Paesi ricchi di petrolio, con un’élite mobile a livello internazionale sono particolarmente soggetti a vedere la loro ricchezza scomparire in conti bancari off-shore anziché essere investiti in patria. Oltre sette miliardi di euro hanno lasciato la Russia dai primi anni ’90. Dagli anni ’70, sono usciti dall’Arabia Saudita 290 miliardi di euro. Dalla Nigeria, nello stesso periodo, una somma di poco inferiore: 288 miliardi di euro.
Il capitale che evade il controllo delle autorità fiscali nazionali è così imponente che nuovi parametri sono necessari per calcolare il divario tra ricchi e poveri. Secondo i calcoli di Henry, 9,2 trilioni di capitale sono nelle mani di appena 92mila persone, lo 0,001 percento della popolazione mondiale. “La disuguaglianza – scrive Henry – è molto peggiore delle statistiche ufficali, ma i politici attuano ancora il trickle-down (sconti fiscali e agevolazioni a imprese e soggetti benestanti) per trasferire ricchezza ai poveri. La gente per strada non si fa più illusioni su quanto ingiusta sia di diventata la situazione”.
fonte: e-il mensile
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