C’e’ voluto che YCombinator, uno dei principali acceleratori per startup di Silicon Valley, decidesse di trasferirsi da Menlo Park a San Francisco, per convincere anche gli scettici che la “City by the Bay”—uno dei tanti soprannomi della città californiana—è diventata la nuova Mecca dell’alta tecnologia mondiale.
Con 500 aziende in portafoglio e 11 miliardi di dollari di investimenti realizzati tra il 2005 e il 2013, YCombinator è uno dei barometri più puntuali dei trend che investono l’industria dell’alta tecnologia e della information technology.
E YCombinator non è stato l’unico ad abbandonare Silicon Valley. Anche aziende come Google, Facebook, Apple, Yahoo, Cisco, Intel e Mozilla (per citarne alcune), stanno trasferendo un numero crescente di addetti, di funzioni esecutive e centri di ricerca dai quartier generali della Valley a Fog City (città della nebbia, un’altro dei nomi di SF).
Pure Michael Vulpi, a cui si devono i merger che trasformarono la Cisco in un brand globale, che è tornato di recente allo startuppismo, ha trasferito gli uffici di Index–la sua nuova creazione–dalla Valley a San Francisco.
“In una partita uno gioca dove si trova la palla, e per l’hi tech in questa fase ciò significa giocare a San Francisco”, ha dichiarato Vulpi.
Così se un decennio fa Elon Musk e Peter Thiel lanciavano PayPal da un garage di Palo Alto, oggi startupper come Jack Dorsey, Jim McKelvey e Ben Silbermann lanciano le loro Twitter, Square e Pinterest da un garage (o un loft) di San Francisco. Con molta probabilità da codici postali come il 94107 che corrisponde al quartiere di Potrero Hill e che nel 2013 ha raccattato la quota più alta (1,9 miliardi di dollari) di investimenti realizzati dai capitalisti di ventura in una singola area geografica statunitense; dal codice postale 94015, che corrisponde al quartiere di Rincon Hill – Embarcadero South e che ha rastrellato 693 milioni di dollari e dal codice postale 94103, corrispondente al quartiere South of Market, che invece sempre nel 2013 ne ha attirati un pò meno di 555. In tutto San Francisco nel 2013 ha rastrellato circa 5 miliardi di dollari in investimenti di ventura. E così in poco più di un anno il settore hi-tech, e in particolare le startup, è diventato il motore dell’economia cittadina creando oltre 35 mila posti di lavoro, il 13% in più di quelli creati nel 2001 all’apice della Nuova Economia.
“Nel passato non c’era centro urbano che potesse rivaleggiare con Silicon Valley per il titolo di capitale delle startup e dell’alta tecnologia mondiale”, dichiara Richard Florida, direttore del Martin Prosperity Institute, una think-tank dell’Università di Toronto, “Ma nuovi studi dimostrano che si sta verificando uno spostamento crescente di persone, posti di lavoro e commercio verso i centri urbani di San Francisco, Londra e Berlino e, sebbene si tratti di un fenomeno globale, in nessun posto e in nessuna industria la dinamica è più evidente di quella in atto tra San Francisco e la Silicon Valley”
Alan Ehrenhalt, docente alla Graduate School of Public Policy e giornalista di Governing, l’ha definita la “Grande inversione”. Secondo Ehrenhalt lo spostamento dei capitali di ventura e delle startup verso aree densamente urbanizzate conferma il fatto che le città, piuttosto che le periferie tentacolari, offrono quell’ecosistema di finanziatori, istituti di ricerca, banche e indotto industriale che rende possibile la creazione di prodotti innovativi.
E quasi rispondendo ad una sorta di richiamo della foresta, non solo da Silicon Valley ma da tutto il mondo strauppers, innovatori dell’alta tecnologia e ricercatori di campi che spaziano dalle nantecnologie alle biotecnologie e passando per le energie rinnovabili stanno convergendo (36 mila nel solo 2013) su San Francisco creando un’atmosfera da “corsa all’oro digitale” che non si vedeva dall’era (metà anni ‘90) delle dot.com.
La Germania ha aperto un tech-hub in città, la Gran Bretagna pure e di recente in città è arrivato anche Francoise Hollande per inaugurare la nuova sede del French Tech-Hub, sposostando il centro dell’attenzione francofona da Boston, dove si trovava prima, alla City by the Bay.
“Le startup vogliono stare con le startup”, dichiara l’italiano Marco Marinucci, fondatore di Mind the Bridge Foundation, un incubatore per startup dell’alta tecnologia e aziende innovative, “Prima era Stanford con i suoi affiti stracciati e i suoi talenti universitari ad attirarle, adesso è San Francisco con le sue agevolazioni fiscali e i suoi talenti creativi che attirare l’alta tecnologia”.
Amazon, Linkedin, Yelp, Airbnb, Yammer, Riverbed, Tagged, Zooks, Zendesk, Kabam, Zynga, Funzio (acquisita poi dalla giapponese GREE per 210 milioni di dollari), la lista delle startup che nel corso degli ultimi due anni si sono trasferite a San Francisco si allunga a vista d’occhio.
“Le aziende si spostano a San Francisco perché i loro impiegati non vogliono sprecare tempo in autobus o in treno, vogliono andare in ufficio in biciletta o a piedi”, dichiara JeanBaptiste Su, editorialista di Forbes, “L’età media dello startupper di successo s’è abbassata significativamente e il tessuto urbano di San Francisco con i suoi centri di intrattentimento, la sua diversità razziale e le politiche sociali e economiche perseguite dai suoi amminstratori sono un magnete per i giovani che arrivano da tutto il mondo, ben diverso dell’anomia dei centri abitativi disseminati lungo il corridoi autostradale della 101(l’autostrada che collega San Francisco a San Jose e lungo la quale si dipanano i maggiori centri industriali di Silicon Valley, ndr.)”.
I cinema, i teatri, i musei, le celbrazioni entniche, lo spirito internazionalista e multirazziale della città, il liberalismo dei suoi abitanti e i suoi panorami mozza fiato esercitano un’attrazione irresistibile per una classe lavorativa giovane, ma non bastano da soli a spiegare il fenomeno. La migrazione verso nord dell’alta tecnologia è stata favorita anche da una attenta politica di agevolazioni economiche e riduzioni dell’imposizione fiscale a carico delle aziende.
Per convincere Twitter a restare in città, per esempio, l’amministrazione comunale di San Francisco non ha esitato ad offrire l’esanzione dalle tasse sui salari e una riduzione delle imposte immobiliari a Twitter e a tutte le aziende hi-tech che accettano di situare i loro uffici in aree svantaggiate della città. Il successo di queste misure è tale che in due anni il tasso di disoccupazione in città è sceso al 5,6%: tre punti percentuali in meno di New York e sei punti in meno di Los Angeles.
“Siamo impegnati a far si che San Francisco rimanga un centro tecnologico e la capitale dell’innovazione mondiale”, dichiara Ed Lee, sindaco sino-statunitense di Frisco (un’altro dei soprannomi della città), “I talenti migliori vogliono vivere in una città vibrante, che non ha problemi di trasporto, che possiede una cultura globale e che offre accesso non solo a grandi opportunità occupazionali ma anche ad una cucina eccelente e variegata, intrattenimento di qualità e prodotti culturali incomparabili”.
E per celebrare questo connubio tra gli intenti della città e gli intertessi dei nuovi startupper, San Francisco non ha esitato a creare un network nel quale si raggruppano tutte le aziende del crowdsourcing presenti in città e i servizi sociali del comune. Battezzato BayShare il network vede la partecipazione di aziende come Airbnb, Uber, Lyft e TaskRabit e gli hanno affidato il coordinamento della protezione civile in caso di disastri naturali.
“Si tratta di gente che non ha nessuan difficoltà a condividere, anzi c’è abituta”, aggiunge Lee, “Sono i partner ideali per organizare una risposta dal basso ai disastri naturali”.
Di recente cercando di spiegare ai suoi lettori perché aziende come Square—di cui è cofondatore anche Jack Dorsey di Twitter—abbiano scelto San Francisco piuttosto che la Silicon Valley (oppure New York), il New Yorker magazine ha sostenuto che a San Francisco sta nascendo un nuovo tipo di capitalismo.Un capitalismo dove una nuova razza di imprenditori crea sinergie tra il business, la creatività artistica e il social networking piuttosto che focalizzarsi solo sui profitti.
“Si respira un’aria di creatività effervescente”, dichiara Mohannad El-Kahiry, direttore dello sviluppo internazionale di Plug-and-Play, un’altro dei maggiori incubatori della regione, “Un pò come lo spirito degli anni sessanta, libero dalle architetture corporative. Con l’aiuto della tecnologia questi innovatori stanno offrendo soluzioni migliori ai problemi che affliggono l’umanità, e lo fanno con uno spirito collaborativo e allo stesso tempo più indipendente, trovando il tempo per esplorare idée, per lavorare con altri e formulare proposte che cambieranno il mondo”.
Proposte come The Sub, uno micro-incubatore/living space nel quale risiedono dalle 5 alle 10 aziende individuali e nel quale si intersecano le energie che gentrificano la città (leggi giovani affaristi arrivati) e tipi alternativi in odore di ribelione e rivoluzione, o come Comcate, una startup fondata da un adolescete che aiuta le amministrazioni pubbliche a rispondere meglio alle rimostranze dei cittadini, oppure come Venture Hack una startp che offre servizi di consulenza ad altre startup, principalmente le one-man show (startup con un sola persona) come le chiamano qui.
Ma il nuovo boom teco-economico non poteva non creare nuovi divari, sopratutto tra le legioni di nuovi arrivati, giovani di classe media e capitalisti di ventura in missione affaristica dai grandi centri finanziari e i residenti storici della città che sono adesso esasperati dall’esplosione degli affitti (l’affitto medio in città si aggira sui 3000 dollari mensili, e questo per un due camere con bagno, se vi si aggiungono il garage e una terza stanza si supera anche i 4000, dall’incremento degli sfratti per far posto ai lavoratori falcotosi delle aziende digitali, dal costo della vita (per vivere in città una famiglia di 4 persone deve guadagnare 85 mila dollari l’anno), dal continuo stato di intasamento delle sue strade (con circa 750 mila residenti e costretta tra il Pacifico e la baia, la città ogni giorno è meta di milioni di pendolari che arrivano in treno, autobus, traghetto, aereo e metropolitana), dai prezzi esosissimi al ristorante e dalle file continue per entrare in locali per milionari nelle quali sono tutti milionari, dall’aumento dello smog, della polluzione acustica, e in generale da un ritmo di vita che non ha più niente a che fare con lo stile rilassato per il quale San Francisco era diventata famosa.
“E’ una situazione insostenibile”, dichiara Tom Foremsky, ex corrispondente del Guardian e creatore del blog Silicon Valley Watcher, “Per tutte le loro pretenzioni di voler cambiare il mondo le aziende hi-tech si comportano con totale indifferenza per i problemi dei meno abbienti di San Francisco, si fanno beffe propiro di quella che dovrebbero essere la loro missione. Com’è possible che possano ignorare la crisi abitativa, la sparizione dei piccoli negozi, il traffico caotico e la fame dei senza tetto che dormono sulla soglia dei loro uffici?”.
A novembre scorso mentre lanciava una IPO multimiliardaria a Wall Strteet, la sede di Twitter era picchetatta da senza casa e da attivisti politici. Quest’anno ad attirare gli strali della sinistra cittadina sono stati gli autobus che ogni giorno trasportano i lavoratori (circa 30 mila) di aziende come Google, facebook, e Intel tra i loro campus di Silicon Valley e San Francisco. Bloccati dai senza casa e dagli attivisti di Occupy alle fermate degli autobus pubblici hanno attirato l’attenzione dei media internazionali e costretto le aziende a pagare finalmente per l’uso delle strutture pubbliche.
Anche Marc Benioff, fondatore di Salesforce e nativo di San Francisco da 4 generazioni, è indignato dalla taccagneria delle aziende hi-tech.
“Guadagnano miliardi di dollari e potrebbero ritornare una piccolo percentuale alla città”, ha affermato Benioff che sostiene i dimostranti, “I senza casa, gli asili nido e le scuole sono un logico target filantropico”. Benioff da parte sua ha donato 100 milioni di dollari all’Università della California San Francisco per costruire un nuovo ospedale per bambini.
Ma mentre la polemica imperversa i residenti più anziani della città la prendono con filosofia. Per molti si tratta solo di un’altro dei boom e bust che si ripetono ciclicamente e dei quali San Francisco approfitta per cambiare la pelle preservando nel contempo la sua unicità.
Con 500 aziende in portafoglio e 11 miliardi di dollari di investimenti realizzati tra il 2005 e il 2013, YCombinator è uno dei barometri più puntuali dei trend che investono l’industria dell’alta tecnologia e della information technology.
E YCombinator non è stato l’unico ad abbandonare Silicon Valley. Anche aziende come Google, Facebook, Apple, Yahoo, Cisco, Intel e Mozilla (per citarne alcune), stanno trasferendo un numero crescente di addetti, di funzioni esecutive e centri di ricerca dai quartier generali della Valley a Fog City (città della nebbia, un’altro dei nomi di SF).
Pure Michael Vulpi, a cui si devono i merger che trasformarono la Cisco in un brand globale, che è tornato di recente allo startuppismo, ha trasferito gli uffici di Index–la sua nuova creazione–dalla Valley a San Francisco.
“In una partita uno gioca dove si trova la palla, e per l’hi tech in questa fase ciò significa giocare a San Francisco”, ha dichiarato Vulpi.
Così se un decennio fa Elon Musk e Peter Thiel lanciavano PayPal da un garage di Palo Alto, oggi startupper come Jack Dorsey, Jim McKelvey e Ben Silbermann lanciano le loro Twitter, Square e Pinterest da un garage (o un loft) di San Francisco. Con molta probabilità da codici postali come il 94107 che corrisponde al quartiere di Potrero Hill e che nel 2013 ha raccattato la quota più alta (1,9 miliardi di dollari) di investimenti realizzati dai capitalisti di ventura in una singola area geografica statunitense; dal codice postale 94015, che corrisponde al quartiere di Rincon Hill – Embarcadero South e che ha rastrellato 693 milioni di dollari e dal codice postale 94103, corrispondente al quartiere South of Market, che invece sempre nel 2013 ne ha attirati un pò meno di 555. In tutto San Francisco nel 2013 ha rastrellato circa 5 miliardi di dollari in investimenti di ventura. E così in poco più di un anno il settore hi-tech, e in particolare le startup, è diventato il motore dell’economia cittadina creando oltre 35 mila posti di lavoro, il 13% in più di quelli creati nel 2001 all’apice della Nuova Economia.
“Nel passato non c’era centro urbano che potesse rivaleggiare con Silicon Valley per il titolo di capitale delle startup e dell’alta tecnologia mondiale”, dichiara Richard Florida, direttore del Martin Prosperity Institute, una think-tank dell’Università di Toronto, “Ma nuovi studi dimostrano che si sta verificando uno spostamento crescente di persone, posti di lavoro e commercio verso i centri urbani di San Francisco, Londra e Berlino e, sebbene si tratti di un fenomeno globale, in nessun posto e in nessuna industria la dinamica è più evidente di quella in atto tra San Francisco e la Silicon Valley”
Alan Ehrenhalt, docente alla Graduate School of Public Policy e giornalista di Governing, l’ha definita la “Grande inversione”. Secondo Ehrenhalt lo spostamento dei capitali di ventura e delle startup verso aree densamente urbanizzate conferma il fatto che le città, piuttosto che le periferie tentacolari, offrono quell’ecosistema di finanziatori, istituti di ricerca, banche e indotto industriale che rende possibile la creazione di prodotti innovativi.
E quasi rispondendo ad una sorta di richiamo della foresta, non solo da Silicon Valley ma da tutto il mondo strauppers, innovatori dell’alta tecnologia e ricercatori di campi che spaziano dalle nantecnologie alle biotecnologie e passando per le energie rinnovabili stanno convergendo (36 mila nel solo 2013) su San Francisco creando un’atmosfera da “corsa all’oro digitale” che non si vedeva dall’era (metà anni ‘90) delle dot.com.
La Germania ha aperto un tech-hub in città, la Gran Bretagna pure e di recente in città è arrivato anche Francoise Hollande per inaugurare la nuova sede del French Tech-Hub, sposostando il centro dell’attenzione francofona da Boston, dove si trovava prima, alla City by the Bay.
“Le startup vogliono stare con le startup”, dichiara l’italiano Marco Marinucci, fondatore di Mind the Bridge Foundation, un incubatore per startup dell’alta tecnologia e aziende innovative, “Prima era Stanford con i suoi affiti stracciati e i suoi talenti universitari ad attirarle, adesso è San Francisco con le sue agevolazioni fiscali e i suoi talenti creativi che attirare l’alta tecnologia”.
Amazon, Linkedin, Yelp, Airbnb, Yammer, Riverbed, Tagged, Zooks, Zendesk, Kabam, Zynga, Funzio (acquisita poi dalla giapponese GREE per 210 milioni di dollari), la lista delle startup che nel corso degli ultimi due anni si sono trasferite a San Francisco si allunga a vista d’occhio.
“Le aziende si spostano a San Francisco perché i loro impiegati non vogliono sprecare tempo in autobus o in treno, vogliono andare in ufficio in biciletta o a piedi”, dichiara JeanBaptiste Su, editorialista di Forbes, “L’età media dello startupper di successo s’è abbassata significativamente e il tessuto urbano di San Francisco con i suoi centri di intrattentimento, la sua diversità razziale e le politiche sociali e economiche perseguite dai suoi amminstratori sono un magnete per i giovani che arrivano da tutto il mondo, ben diverso dell’anomia dei centri abitativi disseminati lungo il corridoi autostradale della 101(l’autostrada che collega San Francisco a San Jose e lungo la quale si dipanano i maggiori centri industriali di Silicon Valley, ndr.)”.
I cinema, i teatri, i musei, le celbrazioni entniche, lo spirito internazionalista e multirazziale della città, il liberalismo dei suoi abitanti e i suoi panorami mozza fiato esercitano un’attrazione irresistibile per una classe lavorativa giovane, ma non bastano da soli a spiegare il fenomeno. La migrazione verso nord dell’alta tecnologia è stata favorita anche da una attenta politica di agevolazioni economiche e riduzioni dell’imposizione fiscale a carico delle aziende.
Per convincere Twitter a restare in città, per esempio, l’amministrazione comunale di San Francisco non ha esitato ad offrire l’esanzione dalle tasse sui salari e una riduzione delle imposte immobiliari a Twitter e a tutte le aziende hi-tech che accettano di situare i loro uffici in aree svantaggiate della città. Il successo di queste misure è tale che in due anni il tasso di disoccupazione in città è sceso al 5,6%: tre punti percentuali in meno di New York e sei punti in meno di Los Angeles.
“Siamo impegnati a far si che San Francisco rimanga un centro tecnologico e la capitale dell’innovazione mondiale”, dichiara Ed Lee, sindaco sino-statunitense di Frisco (un’altro dei soprannomi della città), “I talenti migliori vogliono vivere in una città vibrante, che non ha problemi di trasporto, che possiede una cultura globale e che offre accesso non solo a grandi opportunità occupazionali ma anche ad una cucina eccelente e variegata, intrattenimento di qualità e prodotti culturali incomparabili”.
E per celebrare questo connubio tra gli intenti della città e gli intertessi dei nuovi startupper, San Francisco non ha esitato a creare un network nel quale si raggruppano tutte le aziende del crowdsourcing presenti in città e i servizi sociali del comune. Battezzato BayShare il network vede la partecipazione di aziende come Airbnb, Uber, Lyft e TaskRabit e gli hanno affidato il coordinamento della protezione civile in caso di disastri naturali.
“Si tratta di gente che non ha nessuan difficoltà a condividere, anzi c’è abituta”, aggiunge Lee, “Sono i partner ideali per organizare una risposta dal basso ai disastri naturali”.
Di recente cercando di spiegare ai suoi lettori perché aziende come Square—di cui è cofondatore anche Jack Dorsey di Twitter—abbiano scelto San Francisco piuttosto che la Silicon Valley (oppure New York), il New Yorker magazine ha sostenuto che a San Francisco sta nascendo un nuovo tipo di capitalismo.Un capitalismo dove una nuova razza di imprenditori crea sinergie tra il business, la creatività artistica e il social networking piuttosto che focalizzarsi solo sui profitti.
“Si respira un’aria di creatività effervescente”, dichiara Mohannad El-Kahiry, direttore dello sviluppo internazionale di Plug-and-Play, un’altro dei maggiori incubatori della regione, “Un pò come lo spirito degli anni sessanta, libero dalle architetture corporative. Con l’aiuto della tecnologia questi innovatori stanno offrendo soluzioni migliori ai problemi che affliggono l’umanità, e lo fanno con uno spirito collaborativo e allo stesso tempo più indipendente, trovando il tempo per esplorare idée, per lavorare con altri e formulare proposte che cambieranno il mondo”.
Proposte come The Sub, uno micro-incubatore/living space nel quale risiedono dalle 5 alle 10 aziende individuali e nel quale si intersecano le energie che gentrificano la città (leggi giovani affaristi arrivati) e tipi alternativi in odore di ribelione e rivoluzione, o come Comcate, una startup fondata da un adolescete che aiuta le amministrazioni pubbliche a rispondere meglio alle rimostranze dei cittadini, oppure come Venture Hack una startp che offre servizi di consulenza ad altre startup, principalmente le one-man show (startup con un sola persona) come le chiamano qui.
Ma il nuovo boom teco-economico non poteva non creare nuovi divari, sopratutto tra le legioni di nuovi arrivati, giovani di classe media e capitalisti di ventura in missione affaristica dai grandi centri finanziari e i residenti storici della città che sono adesso esasperati dall’esplosione degli affitti (l’affitto medio in città si aggira sui 3000 dollari mensili, e questo per un due camere con bagno, se vi si aggiungono il garage e una terza stanza si supera anche i 4000, dall’incremento degli sfratti per far posto ai lavoratori falcotosi delle aziende digitali, dal costo della vita (per vivere in città una famiglia di 4 persone deve guadagnare 85 mila dollari l’anno), dal continuo stato di intasamento delle sue strade (con circa 750 mila residenti e costretta tra il Pacifico e la baia, la città ogni giorno è meta di milioni di pendolari che arrivano in treno, autobus, traghetto, aereo e metropolitana), dai prezzi esosissimi al ristorante e dalle file continue per entrare in locali per milionari nelle quali sono tutti milionari, dall’aumento dello smog, della polluzione acustica, e in generale da un ritmo di vita che non ha più niente a che fare con lo stile rilassato per il quale San Francisco era diventata famosa.
“E’ una situazione insostenibile”, dichiara Tom Foremsky, ex corrispondente del Guardian e creatore del blog Silicon Valley Watcher, “Per tutte le loro pretenzioni di voler cambiare il mondo le aziende hi-tech si comportano con totale indifferenza per i problemi dei meno abbienti di San Francisco, si fanno beffe propiro di quella che dovrebbero essere la loro missione. Com’è possible che possano ignorare la crisi abitativa, la sparizione dei piccoli negozi, il traffico caotico e la fame dei senza tetto che dormono sulla soglia dei loro uffici?”.
A novembre scorso mentre lanciava una IPO multimiliardaria a Wall Strteet, la sede di Twitter era picchetatta da senza casa e da attivisti politici. Quest’anno ad attirare gli strali della sinistra cittadina sono stati gli autobus che ogni giorno trasportano i lavoratori (circa 30 mila) di aziende come Google, facebook, e Intel tra i loro campus di Silicon Valley e San Francisco. Bloccati dai senza casa e dagli attivisti di Occupy alle fermate degli autobus pubblici hanno attirato l’attenzione dei media internazionali e costretto le aziende a pagare finalmente per l’uso delle strutture pubbliche.
Anche Marc Benioff, fondatore di Salesforce e nativo di San Francisco da 4 generazioni, è indignato dalla taccagneria delle aziende hi-tech.
“Guadagnano miliardi di dollari e potrebbero ritornare una piccolo percentuale alla città”, ha affermato Benioff che sostiene i dimostranti, “I senza casa, gli asili nido e le scuole sono un logico target filantropico”. Benioff da parte sua ha donato 100 milioni di dollari all’Università della California San Francisco per costruire un nuovo ospedale per bambini.
Ma mentre la polemica imperversa i residenti più anziani della città la prendono con filosofia. Per molti si tratta solo di un’altro dei boom e bust che si ripetono ciclicamente e dei quali San Francisco approfitta per cambiare la pelle preservando nel contempo la sua unicità.
fonte: L’Espresso
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