Se Google diventa Gandhi, cosa succede? E' il fatto del giorno. La rete non poteva non discuterne. Dunque Google ha smesso di censurare i suoi risultati in Cina, sul dominio "cn".
Almeno ha smesso di farlo quando la si interroga in inglese: c'è chi sostiene, sulla base di test, che non avvenga lo stesso se l'interrogazione avviene in cinese standard (semplificato per il web) e che nella versione in lingua locale vi sarebbe ancora l'avvertenza che i risultati sono filtrati "secondo quanto prescritto dalle leggi locali".
Il che sarebbe un dato politico importante perché ridurrebbe a una prova di forza quella che al momento sembra una vera e propria azione di disobbedienza civile. In ogni caso quello che ha fatto Google è di rilevanza politica primaria, l'avesse fatto anche solo con l'obiettivo di arrivare ad un accordo migliorativo con i cinesi.
In molti cercano in questo gesto motivazioni oscure o perlomeno non dette. Si può anche arrivare a dirsi che con questo gesto Google mette in mora le giustizie e i governi di mezzo mondo, Italia compresa, dove da un po' di tempo si discutono logiche e scelte dell'azienda di Brin e Page e ci si chiede: a quali legge ubbidisce Google?
Ebbene ieri Google ha detto che se le leggi sono quelle del totalitarismo, non c'è possibilità di impresa economica. E lo ha fatto impugnando la migliore delle bandiere, quella della libertà di espressione e della riservatezza delle comunicazioni.
Altri parlano di "cyberguerre". Google non ha nascosto che questo aspetto esiste ed è una forma di pressione indebita sulle operazioni di un'azienda tecnologica straniere in terra cinese. Un aspetto che riguarda altre aziende, ben 20, che, colpite dallo stesso attacco intrusivo, tacciono.
Seguo da lontano, ma con attenzione, queste vicende. Da anni le aziende occidentali denunciano che le pratiche di stato cinesi hanno una mira precisa e non sono agitate alla cieca. Mirano a favorire le aziende del paese, contro quelle straniere.
Ora la disubbidienza di Google è utile perché apre parecchie contraddizioni. Vediamole:
1) Fosse pure la disubbidienza limitata al solo motore in inglese, il governo cinese non può fingere che il problema non esista. Deve rispondere. E se deciderà per un'esclusione di Google dal mercato nazionale o per un'azione punitiva, la decisione non sarà senza conseguenze. Ne verrà invalidata la formula d'oro su cui regge l'immagine politica della Cina: che autoritarismo politico e sviluppo economico siano compatibili, che siano anzi "la" formula vincente. Qui si sta parlando della possibilità di tenere intrapresa economica nel paese, oltre che della libertà di espressione, e Google si è limitata a dire: così non si può andare avanti.
2) La mossa di Google segnala in modo inequivocabile che la società cinese non è - come scrivono tutti gli osservatori più qualificati da Rampini in poi - monolitica. Su quei pezzi oltre il monolitismo, certo minoritari, sta scommettendo Google
3) La decisione di Mountain View porta in primo piano il valore strategico della rete nello sviluppo economico e nelle relazioni internazionali: ne dovrebbe risentire il dibattito interno di ogni paese, prima l'Italia, e sprovincializzarsi di conseguenza.
4) Google ricorda - ma dovrebbe farlo anche a se stessa - che la rete è una dimensione di rottura del controllo politico e un fattore di libertà. Lo è stata storicamente. Lo è ancora. Tra questi valori, primario è quello della trasparenza (ricordarlo a se stessi...). Sempre. Fosse pure una bandiera ideologica, amen, resta la migliore.
5) Mette di fronte alla necessità di agire anche le altre aziende che operano nei servizi internet in Cina. Cosa farà la già nota Yahoo! fresca di autocritica per aver consegnato i dati di un dissidente alla giustizia cinese? Qui si parla, in parte, della stessa cosa. Cosa farà la Microsoft? La libertà vale meno della beneficenza?
6) Le cyberguerre appaiono per quelle che sono: guerre sporche di stati, apparati e interessi. L'opposto della libertà, economica e personale. E' così dovunque. O no?
Almeno ha smesso di farlo quando la si interroga in inglese: c'è chi sostiene, sulla base di test, che non avvenga lo stesso se l'interrogazione avviene in cinese standard (semplificato per il web) e che nella versione in lingua locale vi sarebbe ancora l'avvertenza che i risultati sono filtrati "secondo quanto prescritto dalle leggi locali".
Il che sarebbe un dato politico importante perché ridurrebbe a una prova di forza quella che al momento sembra una vera e propria azione di disobbedienza civile. In ogni caso quello che ha fatto Google è di rilevanza politica primaria, l'avesse fatto anche solo con l'obiettivo di arrivare ad un accordo migliorativo con i cinesi.
In molti cercano in questo gesto motivazioni oscure o perlomeno non dette. Si può anche arrivare a dirsi che con questo gesto Google mette in mora le giustizie e i governi di mezzo mondo, Italia compresa, dove da un po' di tempo si discutono logiche e scelte dell'azienda di Brin e Page e ci si chiede: a quali legge ubbidisce Google?
Ebbene ieri Google ha detto che se le leggi sono quelle del totalitarismo, non c'è possibilità di impresa economica. E lo ha fatto impugnando la migliore delle bandiere, quella della libertà di espressione e della riservatezza delle comunicazioni.
Altri parlano di "cyberguerre". Google non ha nascosto che questo aspetto esiste ed è una forma di pressione indebita sulle operazioni di un'azienda tecnologica straniere in terra cinese. Un aspetto che riguarda altre aziende, ben 20, che, colpite dallo stesso attacco intrusivo, tacciono.
Seguo da lontano, ma con attenzione, queste vicende. Da anni le aziende occidentali denunciano che le pratiche di stato cinesi hanno una mira precisa e non sono agitate alla cieca. Mirano a favorire le aziende del paese, contro quelle straniere.
Ora la disubbidienza di Google è utile perché apre parecchie contraddizioni. Vediamole:
1) Fosse pure la disubbidienza limitata al solo motore in inglese, il governo cinese non può fingere che il problema non esista. Deve rispondere. E se deciderà per un'esclusione di Google dal mercato nazionale o per un'azione punitiva, la decisione non sarà senza conseguenze. Ne verrà invalidata la formula d'oro su cui regge l'immagine politica della Cina: che autoritarismo politico e sviluppo economico siano compatibili, che siano anzi "la" formula vincente. Qui si sta parlando della possibilità di tenere intrapresa economica nel paese, oltre che della libertà di espressione, e Google si è limitata a dire: così non si può andare avanti.
2) La mossa di Google segnala in modo inequivocabile che la società cinese non è - come scrivono tutti gli osservatori più qualificati da Rampini in poi - monolitica. Su quei pezzi oltre il monolitismo, certo minoritari, sta scommettendo Google
3) La decisione di Mountain View porta in primo piano il valore strategico della rete nello sviluppo economico e nelle relazioni internazionali: ne dovrebbe risentire il dibattito interno di ogni paese, prima l'Italia, e sprovincializzarsi di conseguenza.
4) Google ricorda - ma dovrebbe farlo anche a se stessa - che la rete è una dimensione di rottura del controllo politico e un fattore di libertà. Lo è stata storicamente. Lo è ancora. Tra questi valori, primario è quello della trasparenza (ricordarlo a se stessi...). Sempre. Fosse pure una bandiera ideologica, amen, resta la migliore.
5) Mette di fronte alla necessità di agire anche le altre aziende che operano nei servizi internet in Cina. Cosa farà la già nota Yahoo! fresca di autocritica per aver consegnato i dati di un dissidente alla giustizia cinese? Qui si parla, in parte, della stessa cosa. Cosa farà la Microsoft? La libertà vale meno della beneficenza?
6) Le cyberguerre appaiono per quelle che sono: guerre sporche di stati, apparati e interessi. L'opposto della libertà, economica e personale. E' così dovunque. O no?
fonte: La Repubblica
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