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gennaio 03, 2011

La nuova vita di Mr. WikiLeaks

Una settimana nella campagna inglese ha fatto bene a Julian Assange. Quando scende dalla macchina che, come ogni giorno, lo accompagna a firmare il registro dei detenuti nel commissariato di Beccles, nel cuore del Suffolk, dove tutto è lento e tranquillo e le giornate sanno di pudding natalizio e tradizione, il fondatore di WikiLeaks è rilassato e tranquillo. Piumino verde oliva, maglione bianco e jeans, si muove con disinvoltura, nonostante il braccialetto elettronico alla caviglia. «Buona sera. Grazie per avermi aspettato qui sotto la neve. È stata coraggiosa», sorride stringendo la mano. Poi si incammina veloce verso l'ingresso: mancano 20 minuti alle cinque, orario di chiusura della stazione di polizia, e se non si presenterà ai poliziotti entro quell'ora sarà costretto a rinunciare alla campagna e a tornare in prigione, dove ha già passato nove giorni, accusato di stupro da due donne svedesi.

La nuova vita dell'uomo che da settimane catalizza l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale si svolge in questo angolo innevato dell'Inghilterra, famoso per la cacciae la pesca. Il Suffolk ha dato ospitalità ad Assange suo malgrado, solo perché il reporter Vaughan Smith ha messo a disposizione per gli arresti domiciliari la grande casa di campagna che ha da queste parti: ma dopo i primi giorni di caos ha chiuso su di lui una cortina di indifferenza. Qui la vita ha il ritmo lento delle zone di campagna e ad occupare le prime pagine dei giornali non ci sono le rivelazioni di WikiLeaks ma le fiere natalizie: l'unica trasgressione possibile dopo le cinque, quando tutto chiude, è una bevuta al pub. Un grosso cambiamento per un uomo che negli ultimi tre anni non ha avuto residenza fissa, muovendosi da una parte all'altra con uno zaino e un manipolo di fedelissimi e ha tenendo in scacco i servizi segreti di mezzo mondo.


(segue dalla copertina) Fuori dal commissariato passano pochi minuti prima che Assange ricompaia. «Il tempo di una firma e di una chiacchierata, è una persona gentile e tranquilla», racconterà dopo il poliziotto. Incollato al telefonino e atteso con impazienza da una giovane assistente che sfida la neve in minigonna e ballerine, l'australiano si concede solo per qualche battuta: «Sto bene, grazie. Lavoro. Ma mi riposo, anche. Buon Natale, davvero». Poi via, nella macchina scura dove la ragazza ha già acceso il motore. Lo attendono 20 minuti di auto fino a Ellingham House, la villa dove trascorre quelli che chiama «i miei arresti domiciliari ad alta tecnologia». È dall'interno di questa grande tenuta, che fino a pochi giorni fa si poteva affittare via Internet per matrimoni e battute di caccia ma ora è scomparsa dalla Rete, che il fondatore di WikiLeaks combatte la sua ultima battaglia. Chi la frequenta racconta delle sue lunghe passeggiate ma anche di riunioni infinite che vanno avanti anche ora che alcuni dei più stretti collaboratori sono partiti per Natale.


«Abbiamo pubblicato soltanto una piccola parte del materiale che abbiamo. Andremo avanti.


Non abbiamo altra scelta: pubblicare o morire», racconta a Paris Match intorno al camino. E poi: «Sono diventato un obiettivo perché certe organizzazioni potenti non possono perdere la faccia».


Pochi sono i visitatori ammessi dentro la villa. Chi non è espressamente invitato non è ben visto: «È una nota zona di caccia. C'è gente che spara. Non vorremmo che prendessero un curioso per un uccello da abbattere», dice ironico uno dei collaboratori. Avvertimento inutile: i grandi cancelli che delimitano la proprietà sono lontani dalla strada più di un chilometro. Un lago ghiacciato ed ettari di terreno li separano a loro volta dalla villa: impossibile arrivare senza essere notati. Forse per questo, come spiega il funzionario di polizia di Beccles «non c'è bisogno di protezione. Non abbiamo aumentato i turni, né richiamato gli agenti dalle ferie. Per noi va tutto bene».


Nonostante le sempre più numerose minacce di morte che Assange dice di continuare a ricevere, la maggiore occupazione della polizia qui sono le multe agli automobilisti in doppia fila. Probabilmente è la prima volta che i poliziotti hannoa che fare con un detenuto con il braccialetto elettronico. Di certo mai si erano trovati di fronte a qualcuno che usa il Suffolk per lanciare messaggi planetari: «Abbiamo scoperto in queste settimane che il sistema americano si avvicina a quello sovietico: che Visa, Mastercard, Paypal e Bank of America sono strumenti di controllo al servizio della Casa Bianca», ha detto ieri Assange. Di fronte a queste parole a Beccles e nella vicina Bungay la gente reagisce con indifferenza: «Ho capito che stava succedendo qualcosa quando ho visto la tv», dice Sylvia, abitante di Beccles. Il suo è un punto di vista condiviso: per la maggior parte della gente qui, Assange è praticamente uno sconosciuto. Delle sue battaglie non sono arrivati che echi lontani. Nulla a parte un cartello nella neve che chiede libertà per Bradley Manning, il soldato Usa accusato di essere la fonte delle rivelazioni del sito, segnala la sua presenza. Una realtà quasi paradossale per l'uomo che più di ogni altro fa parlare di sé il mondo da settimane.


«Ho visto la polizia e gli elicotteri quando è arrivato, ma lui no.


Neanche sapevo chi fosse. Noi amiamo la tranquillità, questo caos non ci piace», racconta Rob, falegname, la cui segheria è a pochi metri dalla villa. «Un po' di animazione è divertente. Ho venduto qualche paio di guanti ai giornalisti infreddoliti - sorride la signora Julie Bright, titolare di "Crossway", il negozio di articoli di caccia e cibo di animali che sta di fronte alla casa - ma ora sono andati via. E nessuno di noi andrebbe a guardare oltre ai muri per vedere cosa fa quell'uomo.


Non ci interessa».


Oltre i muri «quell'uomo» si prepara a combattere un'altra puntata della battaglia per evitare l'estradizione in Svezia e, in ultima istanza, negli Stati Uniti dove, dice «temo sempre di più di finire». Al Guardian dice che se ci fosse abbastanza pressione dall'opinione pubblica sarebbe «politicamente impossibile» per la Gran Bretagna estradarlo negli Stati Uniti. «Lì - ha aggiunto - ci sarebbe una grossa possibilità che io finisca ucciso, come ha fatto Jack Ruby»: il riferimento è all'uomo che uccise Lee Harvey Oswald, accusato di aver a sua volta assassinato il presidente Kennedy. Al Times ha raccontato delle due condizioni di detenzione: «Ho potuto chiamare solo quattro persone, oltre ai miei avvocati».


Ma anche della solidarietà di una guardia carceraria «Mi ha dato un biglietto. C'era scritto: in questo mondo ho solo due eroi: te e Martin Luther King».


Rob e Julie, se uno glielo riferisce, scuotono la testa, come la maggior parte degli abitanti di Beccles interrogati per questo articolo: «Gli auguriamo un Buon Natale: si goda il pudding, gli amici e la famiglia. La fama viene e va». Quella di Assange in questo angolo di Inghilterra è già svanita: ma nel resto del mondo, c'è da giurarci, durerà ancora.


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