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febbraio 22, 2011

Da marzo Telecom Italia potrà limitare il "file sharing"
Anche Telecom Italia avvierà un'attività di filtraggio del traffico di rete tesa a ridurre il quantitativo di banda occupato, in primis, dai software di file sharing. Secondo quanto illustrato nel comunicato dell'azienda, pubblicato sia sul sito web "ImpresaSemplice" (servizi destinati alle imprese), sia su 187.it, Telecom Italia "nel rispetto del principio di parità di trattamento e ove necessario, si riserva la facoltà di introdurre per tutte le offerte e/o i profili commerciali che prevedono traffico dati, meccanismi temporanei e non discriminatori di limitazione all’uso delle risorse di rete disponibili".

L'operatore telefonico non bloccherà, quindi, automaticamente, tutto il traffico peer-to-peer ma potrà imporre delle restrizioni, a livello di singola centrale, ove si dovessero presentare fenomeni di saturazione della banda disponibile.

All'atto pratico, spiega Telecom, "limitatamente alle sole centrali in cui si verificano fenomeni di congestione di traffico, (la società, n.d.r.) potrà intervenire sulle applicazioni che comportano un maggior consumo di risorse di rete (peer to peer, file sharing ecc.) limitando la banda dedicata a queste ultime ad un valore massimo proporzionale alla banda complessiva disponibile sulla singola centrale". Si tratterà, insomma, secondo quanto dichiarato, di limitazioni che entreranno in vigore "al bisogno", nelle situazioni in cui la centrale telefonica si trova a gestire maggior traffico e solamente per garantire un adeguato livello di performance a tutti gli abbonati.

Nella descrizione delle novità, che entreranno in vigore dal prossimo 1° marzo (dopo l'applicazione di alcune modifiche alle condizioni contrattuali), facendo riferimento alle applicazioni interessate dalla "policy", accanto alle dizioni "file sharing" e "peer-to-peer" c'è il termine "eccetera" che purtroppo mal chiarisce quali altri servizi potrebbero essere interessati dalle restrizioni. Inoltre, tra i software "peer-to-peer" non ci sono solamente noti software "succhia-banda": lo stesso client VoIP Skype è un programma che poggia su una rete simile (un network "peer-to-peer" non possiede nodi gerarchizzati ma ciascuno di essi può fungere sia da client che da server).

In questa pagina Telecom dovrebbe pubblicare ed aggiornare la lista delle centrali telefoniche interessate dalla nuova misura. Accanto a ciascuna di esse, dovrebbero essere riportate anche le fasce orarie durante le quali potrebbero essere poste in atto le rimodulazioni di banda.

La società guidata da Franco Bernabé sembra voler puntare su una politica tesa ad ottimizzare l'utilizzo, da parte dei clienti, delle risorse attualmente disponibili. Forse anche nell'ottica del recente lancio di servizio come CuboVision e CuboMusica: realizzata dalla stessa Telecom, si tratta di prodotti che permettono di distribuire contenuti multimediali in Rete dietro il versamento di importi variabili.

Tali applicazioni risulterebbero penalizzate nelle situazioni in cui la banda disponibile dovesse tendere a saturarsi: è quindi probabilmente anche per questo motivo che ex monopolista ha deciso di introdurre qualche lacciuolo.

Il comunicato Telecom Italia rivolto agli utenti "consumer" è consultabile cliccando qui; quello riservato ai clienti "business" è disponibile, invece, in questa pagina.



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febbraio 19, 2011

Brancusi, lo scultore romeno nel logo Google che espresse attraverso le sue sculture, la vera dimensione dell'essere umano e della società.
Constantin Brancusi è stato uno scultore romeno nato esattamente 135 anni fa a Pestisani in Romania.

Oggi Google trasforma il proprio logo per dedicarlo all'artista che eseguì sculture per il giardino pubblico di Trgu Jiu, forse le più famose lasciate al proprio paese. Brancusi strinse amicizia con Modigliani, Satie e Duchamp. Espresse attraverso le sue sculture, la vera dimensione dell'essere umano e della società, nell'abbandono della modernità e nel ritorno ad uno stile di vita primitivo (primitivismo).

Dopo la prima guerra mondiale inserì nelle sue opere l'astrazione, ricercando la forma-tipo, la forma genitrice. Brancusi morì a Parigi nel 1957. Le sue opere sono esposte al Museum of Art di Filadelfia, al Guggenheim e al Modern Artdi New York, all'Atelier Brâncuşi di Parigi, al Museul de Arta di Craiova, al Hirshhorn Museum di Washington al Centro Pompidou di Parigi al Museum of Art di Pasadena, al Peggy Guggenheim di Venezia, al Art Institut di Chicago e alla National Gallery of Art di Washington.

Constantin Brâncuşi (Peştişani, 19 febbraio 1876 – Parigi, 16 marzo 1957) è stato uno scultore romeno.

Dopo studi di scultura all'Accademia di Bucarest lavorò a Vienna e Monaco (1899-1904) per trasferirsi poi a Parigi, dove frequentò gli studi di Antonin Mercié e di Rodin. Nel 1908 strinse amicizia con Modigliani, Satie e Duchamp; nel 1913 espose tre sculture alla mostra dell'Armony Show di New York. Dal 1914 al 1918 creò una serie di sculture il legno che testimoniano il suo interesse per il primitivismo.

Dopo la prima guerra mondiale accentuò nelle sue opere il gusto per l'astrazione, alla ricerca della forma-tipo, della forma genitrice. Nel 1937 tornò in Romania, dove eseguì sculture per il giardino pubblico di Târgu Jiu, e fu in India, dove progettò un tempio della meditazione per il maragià di Indore. Tra i suoi allievi si può annoverare Isamu Noguchi.

Il Parco di Târgu Jiu.


Le sculture per il giardino pubblico di Târgu Jiu, forse l'opera più importante che Constantin Brâncuşi ha lasciato al proprio paese, presentano alcune particolarità interessanti:

* Il complesso si sviluppa lungo un viale che parte dalla riva del fiume Jiu, dove si trova il complesso formato da un tavolo e dei sedili noto come La mensa del silenzio fino a giungere all'estremo opposto del parco dove, in prossimità dell'entrata principale, si trova la Porta del bacio, finemente e riccamente scolpita;
* Il viale in questione si trova in asse con la chiesa ortodossa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, la principale della città, e corre lungo il 45º parallelo;
* Circa due chilometri oltre, sempre sullo stesso asse ed ormai all'esterno dell'abitato, si trova un altro parco, di fatto un grande prato con sentieri tracciati, bassi cespugli e panchine, in cui si erge la Colonna dell'infinito, rappresentazione di quella tendenza all'infinito tipica dello scultore. Dai primi del 2003 l'immagine della Colonna dell'infinito è stata inserita al centro dello stemma di Târgu Jiu.

Brâncuşi aveva cominciato a vendere supporti in legno da unire a sculture in marmo o bronzo. La Cariatide del 1914 ad esempio fu venduta nel 1916 a John Quinn – uno dei mecenati di Brâncuşi – come scultura a sé stante e come tale fu presentata alla Sculptor's Gallery nel 1922.

In due occasioni documentate si ha l'opportunità di osservare il modo che questo artista ha di procedere nell'elaborazione dei Gruppi mobili: nel 1913 scolpisce in legno il Primo passo che distruggerà dopo l'esposizione alla Photo Secession Gallery di New York (1914), tenendo solo la testa col titolo di Primo grido e successivamente associandola a varie opere. E nel 1921 "senza saper come" colloca Adamo sotto Eva. Eva era stata scolpita nel 1920 ed esisteva già come scultura autonoma, mentre Adamo era precedentemente associato a Coppa in legno.


Si può inoltre tranquillamente affermare che gli accostamenti fra piedistallo e scultura contengono una forte componente di casualità riconducibile all'amicizia con Marcel Duchamp e quindi agli ambienti dadaisti. I piedistalli su cui poggiano la maggior parte degli uccelli di Brâncuşi sono composti da forme impilate o accatastate le une sulle altre, la separatezza di queste forme: legni tagliati, pietre cruciformi, marmi cilindrici sottolinea chiaramente che le basi su cui si elevano le sculture sono contingenti, staccabili e suscettibili di esser sistemate diversamente. Di fatto i basamenti non si presentano come mero supporto, esso è un elemento a se stante che l'artista considera opera esso stesso. In alcune esposizioni come quella del 1926 alla Brummer Gallery di New York, lo scultore rumeno espone i basamenti senza sculture sovrapposte.

Brâncuşi intuisce la possibilità di sviluppare una forte energia creando un legame fra opposti: materia lasciata grezza e polito, le curvature organiche e le strutture geometriche. È come se partendo dal basso l'artista cercasse di liberarsi da una condizione materiale, in uno spirito che rimanda al pensiero orientale.


Opere.

* Il bacio (1907-1908)
* Ritratto della baronessa R.F. (1909)
* Musa addormentata (1909-1910)
* Maiastra (1910-1912)
* Una musa (1912)
* Maiastra (1912)
* Mademoiselle Pogany (1913)
* Princesse X (1915-1916)
* Il bacio (1916)
* La strega (1916-1924)
* Timidezza (1917)
* Il bambino nel mondo (1917)
* Musa addormentata III (1917-1918)
* Colonna senza fine (1918)
* Musa addormentata (1919-1920)
* L'uccello d'oro (1919-1920)
* L'inizio del mondo (1920)
* Colonna senza fine (1920 circa)
* Adamo (1921)
* Adamo ed Eva (1921)
* Socrate (1921-1922)
* Pesce (1922)
* Nuovo nato (1923 circa)
* Il gallo (1924)
* Pesce (1924)
* Uccello nello spazio (1927)
* Mademoiselle Pogany III (1931)
* Uccello nello spazio (1931-1936)
* Uccello nello spazio (1932-1940)
* Il gallo (1935)
* Colonna senza fine (1937)
* La porta del bacio (1937-1938)
* Mensa del silenzio (1937-1938)



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febbraio 07, 2011

Nel granaio del mondo: dove nasce la battaglia del cibo.
Mohamed Bouazizi, il giovane ambulante tunisino che si è dato fuoco a dicembre avviando la rivoluzione del gelsomino, non lo sapeva. Ma parte della sua disperazione, e di tutti quelli che sono scesi in piazza per le rivolte del pane a Tunisi o al Cairo, nasce proprio nella città di Calvino. Il più grande silos della Terra.

A Ginevra passa molta della produzione agricola mondiale. Questo è l'epicentro del terremoto delle materie prime che sta facendo impazzire equilibri politici e sociali. Una corsa sfrenata, con rialzi spettacolari e prezzi mai visti prima. Lo zucchero ai massimi da trent'anni, il caffè che ha superato le quotazioni degli anni Novanta. Grano, mais e soia con incrementi dal 30 al 70% rispetto a un anno fa. Un ottovolante nel piatto. I prodotti non arrivano mai fisicamente in Svizzera.

(segue dalla copertina) Eppure sono le 400 aziende specializzate nelle commodities agricole che decidono i destini di quello che mangiamo,o quantomeno il loro prezzo. Un ruolo sempre più forte e controverso, iniziato oltre un secolo fa, quando il mitico Orient Express faceva tappa a Losanna e i commercianti svizzeri organizzavano già il collegamento delle merci tra Asia ed Europa.

La cucina di Jean-Louis Gourbin non assomiglia a nessun'altra. Schermi al plasma, numeri che lampeggiano, montagne russe di istogrammi. Una sala trading sulle rive del lago Lemano che profuma di grano, mais, caffè. «In questo momento stiamo sorvegliando il riso», racconta bacchettando con una penna sui televisori. I coltivatori americani hanno appena annunciato l'ennesima riduzione dei raccolti. Gourbin è un vivandiere particolare, alle prese con sofisticati contratti finanziari, equilibri geopolitici, sorprese del meteo.

Sul suo tavolo sono arrivati aggiornamenti sulle piogge torrenziali in Malesia, che rischiano di compromettere la produzione di olio di Palma, mentre la Costa d'Avorio ha improvvisamente bloccato le esportazioni di cacao.

«Il nostro lavoro sta diventando sempre più complesso e imprevedibile», dice il direttore di Bunge Europe, azienda leader dell'intermediazione di derrate.

Tutto accade in pochi chilometri quadrati. A Ginevra si smerciano ogni giorno milioni di tonnellate di cibo. Ci sono le sedi delle più importanti società di trading, come Bunge, Cargill o Louis Dreyfus. Questa città che non ha affacci sul mare né porti è paradossalmente il quartier generale di molte aziende di trasporto che organizzano navi container e traversate transoceaniche per le derrate.

Le compagnie assicurative coprono i rischi, le banche finanziano i contratti, gli avvocati forniscono la consulenza legale. «Nessun'altra città riunisce tutte le competenze necessarie per l'intermediazione di materie prime attraverso il mondo», spiega con orgoglio Geert Descheemaeker, segretario generale del Gtsa, Geneva Trading and Shipping Association.

L'aumento delle imposte sul settore in Gran Bretagna ha definitivamente convinto molte aziende a traslocare da Londra a Ginevra. «Dalla prima impennata dei prezzi delle commodities nel 2008 - continua Descheemaeker - questa città è diventata per tutti " the place to be "». Nel settore lavorano almeno 8mila persone, con un giro d'affari annuo paria oltre 600 miliardi di euro. Dal 2006, le aziende registrate a Ginevra nell'intermediazione di materie prime agricole sono raddoppiate. Quando, a novembre, è stata organizzata la fiera Global Grain si sono registrati migliaia di rappresentanti da oltre cinquanta paesi.

La febbre delle commodities agricole ha contagiato anche le università svizzere che offrono nuove specializzazioni. «Mancano professionisti, molte aziende fanno vere e proprie aste per accaparrarsi i giovani diplomati - racconta il segretario del Gtsa - per chi lavora in questo settore non esiste disoccupazione». Prima di diventare il borsino mondiale del cibo, la città svizzera era diventata famosa per i petrodollari.

A Ginevra si scambia un terzo della produzione di petrolio e quasi tutto il greggio (80%) in provenienza da Russia e Kazakistan. «Ma il nostro è un mercato aperto e più trasparente di quello del petrolio», assicura Jean-Louis Gourbin. «Non abbiamo bisogno di speculare sui prezzi, i nostri guadagni provengono dalla logistica che offriamo e dalla nostra lunga competenza nel settore», dice ancora il direttore di Bunge Europe, che l'anno scorso ha comprato e rivenduto 141 milioni di tonnellate di materie prime, un giro d'affari di 13,8 miliardi di dollari.

Tra il 2007 e il 2008, durante la prima crisi delle materie prime, il Programma alimentare mondiale aveva calcolato che 150 milioni di persone erano rimaste senza cibo. I segnali per l'anno appena cominciato non sono buoni: i futures hanno toccato nuovi record e tutti gli esperti prevedono che i rincari alimentari continueranno. «Non possiamo permettere che pochi speculatori affamino milioni di persone», ha ripetuto Nicolas Sarkozy partecipando al forum economico di Davos, a poca distanza da Ginevra. Il presidente francese ha messo tra le priorità del G20 le misure per contenere la volatilità dei mercati agricoli.


Ma nelle stanze ovattate di Ginevra nessun operatore accetta il ruolo di imputato. Gli speculatori, rispondono, sono a Londra e New York. «Non siamo finanzieri - precisa il direttore di Bunge - ma commercianti. Mettiamo in collegamento domanda e offerta. Lavoriamo con prodotti solidi e reali, non siamo per nulla nel mondo virtuale dei derivati».

Il Fondo monetario internazionale e persino la Commissione Europea ha smentito Sarkozy, sostenendo che non sono i titoli derivati ad aver provocato l'impennata del prezzo delle derrate. «Diciamo che ci sono molti indizi e nessuna prova». Emmanuel Fragnière, docente di gestione del rischio alla Haute Ecole di Ginevra, punta lo sguardo sul distretto finanziario della città. Dal 2002, i contratti a termine sulle materie prime sono aumentati del 500%. Quasi metà dei silo di stoccaggio, spiega ancora l'esperto, appartengono oggi alle banche. «Nessuno vorrà ammetterlo e i controlli sono difficili - aggiunge Fragnière - ma ci sono performance di alcuni istituti di credito che parlano chiaro».

Nella rue de la Confédération, davanti alla famosa cioccolateria Gilles Desplanches, l'immobile azzurro di Bnp-Paribas ospita quattrocento trader specializzati nelle materie prime. JacquesOlivier Thomann è il responsabile del settore delle commodities.

«I contratti a medio o breve termine sono sempre stati uno strumento per garantire le operazioni del settore, mai un mezzo fine a se stesso». Secondo questo banchiere in grisaglia gran parte dei rincari alimentari di questi mesi provengono dai cataclismi naturali. Gli incendi in Russia, il fenomeno di Nina in Asia. E poi c'è la crescita demografica, il boom dei paesi emergenti. «La vera sfida per regolamentare i prezzi nonè sui mercati finanziari - aggiunge Thomann - ma nell'economia reale».

Quest'anno la richiesta di terre coltivate raggiungerà un altro massimo storico, pari a 1,744 miliardi di tonnellate, mentre l'offerta diminuirà a 1,718 miliardi. Le regole dell'agricoltura, conclude il banchiere, sono cambiate. I contadini possono decidere all'improvviso di cambiare coltura per aumentare il reddito, come sta accadendo negli Usa o in America Latina con i biocarburanti. E le rivolte del pane saranno veramente il pericolo del prossimo decennio? «Qualunque previsione può essere cancellata da eventi esterni, climatici o politici».

La febbre del cibo è appena cominciata.


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Sprechi, liti e superbonus, l'Aci rischia il collasso
Le mani della politica dietro la crisi dell'associazione. Nell'ultimo bilancio il buco è di 34 milioni di euro, ma i dirigenti continuano a incassare premi di produzione e a investire in consulenze.

Annunciato piano di dismissione degli immobili, ceduta una banca, e i dipendenti cominciano a temere di perdere il posto di lavoro

Un ente "padronale", blindato, metà associazione e metà carrozzone di Stato, con amministratori rimasti sempre in sella a dispetto di tutto e dirigenti che incassano premi di produzione anche a fronte di perdite di bilancio a quattro zeri. Questo, e molto altro per la verità, è l'Aci, Automobile club d'Italia.

Depositario di una storia sportiva a dir poco gloriosa, impresa con 3 mila persone a libro paga e 1 miliardo di euro all'anno di giro d'affari. E anche holding su cui hanno messo addosso gli occhi - e talvolta anche le mani - i falchi del Pdl, a cominciare dai ministri Michela Vittoria Brambilla e Ignazio La Russa. Il club, chiamiamolo così, ha 106 sedi provinciali e gestisce e in regime di monopolio business milionari: dal Gran Premio di Monza che da solo vale 60 milioni di euro, al Pra, il Pubblico registro automobilistico, che porta in cassa 220 milioni all'anno.

Ma i conti sono in rosso e adesso i nodi di una gestione ad personam arrivano al pettine, con un buco nell'ultimo bilancio di 34 milioni di euro. Risultato? Nei giorni scorsi al prezzo simbolico di un euro l'Aci è stata costretta a cedere a Intesa Sanpaolo la controllata Banca Sara. E per ripianare i conti il presidente Enrico Gelpi, numero due della Federazione internazionale dell'auto, e il segretario generale Ascanio Rozera, deus ex machina dell'ente, hanno annunciato un piano di dismissione degli immobili. I sindacati sono preoccupati: "La svalutazione del patrimonio sta rendendo l'Aci sempre più fragile, a rischio sono centinaia di posti di lavoro", denuncia Daniele Nola della Funzione pubblica Cgil, mentre in alcuni sedi sull'orlo del crac i dipendenti iniziano a non ricevere più lo stipendio, come accade a Palermo.

Ma lo spreco prosegue senza sosta e i vertici dell'ente continuano indisturbati a spendere milioni di euro in consulenze esterne e a versare mega gettoni ai consiglieri d'amministrazione seduti sulle poltrone di una miriade di controllate, la gran parte in perdita. Ma quante sono le sezioni in difficoltà e quali gli sprechi a livello centrale? Chi ha governato l'Aci negli anni del crac? E, soprattutto, chi ha messo le mani sul cuore economico dell'ente, a partire dell'Aci Milano?

I bilanci in rosso.

Se fino al 2008, nonostante le spese per ripianare i deficit delle società controllate, l'Automobile club registrava un avanzo di 800 mila euro, da due anni è in rosso costante e le previsioni per questo 2011 non sono sicuramente migliori. Nel 2009 la perdita accertata è di 30 milioni di euro, che diventano 34 nel 2010 e per il 2011 si stima un buco da 16 milioni. "Colpa della riduzione della domanda di auto, e quindi delle entrate del Pra, ma anche dei mancati utili delle controllate", ha spiegato il presidente Gelpi ai sindacati. In realtà non un rubinetto di spesa è stato chiuso. E nulla è stato fatto per ridurre il deficit delle Aci locali, molte delle quali sono sull'orlo del fallimento. In base agli ultimi rendiconti delle sezioni locali, su 106 ben 57 sono in perdita.

Con record come quello dell'Aci Palermo, che segna un meno 6 milioni di euro e da quattro mesi non paga gli stipendi a 20 lavoratori di una controllata (Aci service): "Da cinque anni i cda che hanno guidato la sezione di Palermo hanno sperperato le risorse e accumulato debiti nei confronti dell'erario nel disinteresse di tutti", dice Marianna Flauto della Uil. In perdita, tra le altre, anche le sedi di Ancona (rosso da 2 milioni di euro segnato dal 2008), Cagliari (1 milione), Catanzaro (1 milione), Macerata (1 milione con tanto d'ipoteca sulla sede) Lecco (4 milioni, con 2 milioni da restituire alla sezione centrale), Padova (1,7 milioni), Roma (5 milioni) e Venezia (2 milioni). Ma i vertici a Roma stanno facendo qualcosa per invertire la rotta? Ci sono amministratori che hanno lasciato la poltrona dopo questi disastri?

Il Comitato esecutivo presieduto da Gelpi nella seduta dello scorso 18 ottobre ha approvato senza battere ciglio i bilanci di previsione degli Automobile club di Agrigento (che segna un rosso da 500 mila euro da rendiconto 2008), Ragusa (1 milione di deficit) e Reggio Calabria (300 mila euro di buco), limitandosi a invitare "gli organi di Palermo a porre ogni iniziativa necessaria al ripristino dell'equilibrio gestionale". Bocciati invece i bilanci di Caltanissetta e Bolzano e commissariate nel 2010 le sedi di Nuoro, Macerata, Oristano, Reggio Calabria, Salerno, Pistoia, Brescia, Venezia, Brescia e Padova. Insomma, è stato fatto poco o nulla.

Non va meglio poi sul fronte delle controllate, che portano il giro d'affari dell'Aci a quasi un miliardo. Le principali sono Aci informatica che lavora solo per l'ente, Aci Vallelunga che gestisce l'autodromo omonimo, Aci sport che cura le manifestazioni sportive, Aci Progei che cura un patrimonio immobiliare che vale decine di milioni, l'agenzia di viaggi Ventura, la compagnia di assicurazioni Sara, e Aci Mondadori che si occupa delle pubblicazioni e delle iniziative collegate alla casa editrice del premier Silvio Berlusconi. A parte la società informatica, le altre sono quasi tutte in rosso perenne, a partire da quella sulla carta più redditizia, e cioè Sara assicurazioni, che non a caso a fine dicembre ha ceduto una sua controllata, Banca Sara: istituto di credito nato nel 2002 alla Banca di Roma, passato poi nel 2004 all'Aci che contava di sfruttare la propria ramificazione territoriale per incrementarne i fatturati. In realtà Banca Sara si è rivelata subito una zavorra e in pochi mesi si è svalutata per 34 milioni di euro. Per trovare un acquirente si è mosso il gotha della finanza vicina al premier Berlusconi: prima il suo socio Ennio Doris con Mediolanum e poi quella Banca Intesa di Corrado Passera che con Palazzo Chigi ha già portato a termine l'operazione Alitalia. Alla fine, il 23 dicembre scorso, Intesa ha rilevato al prezzo simbolico di un euro Banca Sara. Almeno così una voce di spesa a vuoto è stata eliminata.

Poltrone e consulenze.

Ma che le controllate siano in attivo o in perdita conta poco, perché vale la regola d'oro della capogruppo: e cioè che chi è in sella rimane amministratore a vita al di là dei risultati di gestione. Al vertice dell'Aci c'è da quattro mandati consecutivi il potentissimo segretario Ascanio Rozera, che guadagna 320 mila all'anno per avere il controllo quasi assoluto della macchina dirigenziale. È lui che impartisce trasferimenti e piazza suoi uomini nelle sedi di mezza Italia: a partire dal direttore Fabrizio Turci, che Rozera ha voluto alla direzione dell'Aci Milano, e che il mese scorso è appena entrato anche nella Sias, ente che gestisce l'autodromo di Monza con relativo ghiottissimo Gran premio. È Rozera che dà tre poltrone a Francesco Cervadoro, direttore Aci delle sedi di Catanzaro e Reggio Calabria, con altro incarico a Roma come responsabile "funzione progettuale".

Ed è sempre il deus ex machina Rozera, dal '72 all'Aci, che avvia l'investimento di 6 milioni di euro per realizzare nel suo Comune di nascita, Sessa Aurunca (Caserta), il primo centro di guida sicura dell'Aci nel Sud Italia.

Se Rozera è l'uomo forte, dal 2008 il presidente dell'Aci è Enrico Gelpi, comasco, numero due della Fia, che per la guida dell'Automobile club guadagna 270 mila euro all'anno. Al vertice ci sono poi i vicepresidenti, alcuni con doppia e tripla poltrona. Un esempio? Pasquale De Vita, storico presidente dell'Unione petrolifera italiana, ma che da oltre dieci anni amministra l'Aci di Roma e Aci informatica. Nel comitato esecutivo c'è poi Angelo Sticchi Damiani, che presiede l'Aci di Lecce e Aci consult. Sono loro gli uomini che da anni guidano il carrozzone, senza mai frenare le spese.
Non a caso proprio in un comitato esecutivo recente, quello dello scorso 15 luglio, è stata presa la decisione di dare a quasi tutti i 100 dirigenti il premio di produzione, nonostante l'andamento negativo della spesa.

Un premio caduto a pioggia perfino su chi, in un primo momento, gli stessi organi interni dell'Aci ritenevano di escludere: il Comitato di controllo aveva, a esempio, espressamente detto che non era stato in grado di verificare il raggiungimento degli obiettivi gestionali per due dirigenti, perché questi non avevano avuto assegnato alcun obiettivo specifico. Bene, il Comitato esecutivo ha comunque deciso di premiarli con il massimo consentito, è cioè un bonus pari al 30 per cento della retribuzione base. Premi per tutti, quindi, anche se i dirigenti non hanno fatto nulla nemmeno per ridurre i tassi record d'assenteismo che si registrano all'Aci: dalla direzione centrale, che a ottobre ha fatto registrare un assenteismo del 19,40 per cento, al record delle sede di Agrigento che arriva al 30 per cento.

Lo spreco continua. Se i vertici hanno ritenuto necessario spendere 20 mila euro per piazzare gazebo ai concerti di Irene Grandi fatti in estate a Gardone Riviera e Verona, nonostante i problemi di bilancio nel comitato del 19 ottobre è stato autorizzato un prelievo dal fondo di riserva per coprire le spese impreviste della "Settimana delle conferenza della Fia" che si è svolta a Cernobbio: la spesa prevista per l'evento era di 370 mila euro, ma alla fine il costo è stato di 630 mila euro. Ma l'Aci si sa, paga sempre. Non un euro in meno è stato speso poi in consulenze: scorrendo l'elenco degli incarichi esterni affidati nel 2010, spuntano pagamenti da 1.100 euro per 3 articoli sulla rivista giuridica online dell'Aci o per 18 mila euro solo per attività di supporto all'organizzazione di un premio di laurea.

Le beghe dei partiti.

L'Aci però fa sempre gola. Perché? Quali sono i meccanismi che portano la politica a intervenire nella sua gestione? Una sede ambitissima è quella di Milano, dalla quale si governa la Sias, la società che gestisce il Gran premio di Monza che da sola vale 50 milioni di euro. Sull'Aci Milano si è fiondata il ministro Michela Vittoria Brambilla, scatenando una guerra che ha portato ben tre procure, quelle di Monza, Milano e Roma, a indagare sul rinnovo del cda e l'acquisto sospetto di tessere associative. Tutto inizia l'estate scorsa quando per procedere al rinnovo delle cariche, la Brambilla invia come commissario Massimiliano Ermolli, figlio di quel Bruno da sempre manager fedelissimo di Berlusconi dai tempi di Fininvest. Ermolli junior decide subito di escludere una lista, che si chiamava "Per la trasparenza", guidata da Iacopo Bini Smaghi, cinquantenne ex manager dell'Altea (società del settore auto), che assicurava nel suo programma di far "fuori la politica dall'Aci milanese".

Ermolli fa di più: da commissario si candida nell'altra lista rimasta in corsa, l'unica. Risultato? Il 22 luglio, sotto la supervisione del neo direttore, quel Turci fedelissimo di Rozera, viene eletto dai soci tesserati il consiglio direttivo, che indica presidente Carlo Edoardo Valli, già guida della Camera di commercio brianzola e imprenditore molto noto in Lombardia. Con lui al vertice dell'Aci salgono, tra gli altri, anche il compagno del ministro Brambilla, Eros Maggioni, e il figlio del ministro La Russa, Antonio junior. Il Pdl prende il comando.

Si scatena una guerra, con gli esclusi che presentano esposti alla procure di Milano e Monza, che subito avviano indagini ipotizzando il reato di truffa per l'acquisto anomalo di alcune tessere Aci nei giorni precedenti le elezioni, come ad esempio quelle vendute da una sezione a Lissone perfino a una signora ottantenne residente però a Introibo. Sempre a Lissone, poi, nei giorni precedenti il rinnovo del vertice dell'Aci milanese, fa incetta di tessere la Edilimpianti srl, azienda di Vedano che lavora nell'indotto del Gran premio di Monza gestito dalla Sias. Una circostanza che non sorprende, visti i legami tra l'Aci Milano e l'autodromo monzese. Non a caso uno dei primi atti varati dal comitato direttivo targato Pdl è stato quello di nominare il cda della Sias. Ne fanno parte adesso, tra gli altri, Michele Nappi (che è anche nel comitato dell'Aci milanese) Pier Fausto Giuliani (tesoriere dei Circoli della libertà della Brambilla) e Fabrizio Turci, il direttore della sezione lombarda. Il cerchio si chiude e i conflitti d'interesse crescono come funghi. Ma la guerra degli esclusi è tutt'altro che conclusa. Gli avvocati dello studio legale Nava per conto di Bini Smaghi hanno denunciato un presunto danno erariale commesso dai vertici dell'Aci Milano e dal ministro Brambilla. Il motivo?

Non aver rispettato le norme della Finanziaria Tremonti approvata nel marzo scorso, che obbliga gli enti pubblici a ridurre a 3 i componenti degli organi direttivi: "Invece a luglio si è proceduto alla nomina di un comitato a 9, con conseguente danno erariale e nullità degli atti, in primis la nomina del cda della Sias", si legge nell'esposto. E lo stesso presidente Gelpi, in una lettera del 7 dicembre scorso, mette in dubbio la validità dei comitati direttivi a 9 componenti eletti dopo il varo della Finanziaria. Lo scontro continua e c'è chi giura che si sposterà a Roma: in scadenza questa volta è il comitato nazionale, con Rozera intenzionato a prendere il posto di Gelpi.

fonte: La Repubblica


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