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maggio 10, 2025

Popoli tribali dell’Equatoria Centrale.

Nelle regioni dell’Equatoria Centrale ed Orientale si contano decine di gruppi e sotto-gruppi etnici, considerati tra i più isolati e poveri al mondo, per via della paralisi in cui il paese versa da decenni, ma ricchissimi in tradizioni e scevri dall’appiattimento dei tempi moderni, che spesso è nemico delle culture identitarie dei popoli.

 

Visitare uno degli accampamenti Mundari nei dintorni di Terakeka, il loro capoluogo, è senza dubbio una delle esperienze più affascinanti ed emozionanti del Sudan del Sud. Un tuffo in un passato ancora incredibilmente attuale, tra scenari surreali di pastori cosparsi di cenere e mandrie bovine di centinaia di capi, i cui intrecci indefinibili di lunghe corna a mezzaluna, si perdono tra la fuliggine sprigionata dalle grosse pire di letame, in una spessa coltre di fumo che scherma il sole e oscura il cielo, tingendo l’atmosfera di toni argentei ed arancioni. Una visione quasi onirica che gli amanti della fotografia apprezzeranno particolarmente.

 

A est di Juba si estendono le fertili piane rurali in prossimità delle cittadine di Torit e Kapoeta, movimentate sporadicamente da qualche altura rocciosa, dove un piccolo universo di popoli, conserva intatti i propri usi e costumi, le proprie religioni e riti ancestrali, le proprie economie di sussistenza, che si tramandano di generazione in generazione dalla notte dei tempi. Qui una moltitudine di sperduti villaggi di fango, rami e paglia, accolgono società arcaiche, in prevalenza di allevatori e agricoltori, ma anche, all’occorrenza, di abili cacciatori e pescatori.

 

I pastori Jiye, appartenenti al grande gruppo delle popolazioni Karamojong e Turkana, dalle caratteristiche danze e cerimonie tribali, abitano le terre nei dintorni di Kapoeta, assieme ai Toposa, allevatori anch’essi che condividono le stesse origini nilotiche, costituendone il clan principale. Famosi per i loro villaggi recintati, chiamati boma, le cui abitazioni sono decorate di teschi animali, i Toposa sono organizzati in società fortemente gerarchiche, in cui il culto estetico del corpo ne è parte preponderante, secondo una complessa simbologia, espressa in elaborati addobbi e vistose scarificazioni sul viso e sul corpo, indicativi dello status e del ruolo che ciascun individuo occupa nella società.

 

Altrettanto caratteristici e significativi sono gli ornamenti di perline e le scarificazioni identitarie degli allevatori Larim, una tribù che si arroccò tempo addietro tra le colline di Boya per sfuggire alle guerre e al furto di bestiame, costruendo case di argilla e paglia, riccamente decorate di altrettanti motivi simbolici. La loro economia e vita sociale ruota attorno al mercato rurale chiamato Camp 15, dove passano le giornate a fumare il tabacco nelle pipe artigianali, scambiando merci e bestiame, soprattutto con i vicini clan dei Didinga.

Nei dintorni della cittadina di Torit, un paesaggio montuoso e roccioso ha offerto invece riparo all’antico Regno dei Lotuko, popolo che si stabilì nella zona nel XV secolo, divenendo sedentari e vivendo di agricoltura, allevamento e pesca. La loro economia e spiritualità ruota attorno alla ciclicità delle stagioni, in cui particolare importanza riveste la figura del capo-stregone, addetto ad officiare i riti propiziatori per l’abbondanza delle piogge e dei raccolti.

 

Caratteristica comune a questi popoli fortemente identitari, e a tante altre tribù che abitano le terre sud-sudanesi, è senza dubbio il profondo attaccamento alle proprie tradizioni ancestrali che si perpetuano intatte da secoli, motivate da credenze animiste e culti antichissimi, nonostante la diffusione in Sud Sudan della religione cristiana. Incentrati su cerimonie sacrificali propiziatorie, iniziazioni e riti di passaggio all’età adulta, e dal culto degli antenati, i loro riti sono prevalentemente regolati dalla ciclicità delle piogge e dagli eventi naturali, officiati da un capo spirituale. Visitare i villaggi e le comunità rurali di quella che venne chiamata Equatoria dai primi coloni, significa fare un tuffo in una dimensione autentica che va ben oltre la storia, in una sfera temporale che appartiene ancora al mito e alla natura. Complice l’isolamento forzato, ma anche in parte voluto, di queste popolazioni, in un paese che ha sofferto particolarmente di contrasti internazionali ed interni, ma che oggi è sempre più orientato verso l’agognata stabilità.

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