l?odissea degli eritrei: venti giorni dispersi tra le onde.
"Eravamo stremati, stanchi, disperati, ma gli uomini di quel peschereccio, quando l'imbarcazione si è avvicinata, ci hanno dato soltanto un paio di bottiglie d'acqua e qualcosa da mangiare. Poi sono spariti, se ne sono andati via».
Hampton, 17 anni, eritreo, è il più giovane deicinque sopravvissuti all'ultima strage del mare nel canale di Sicilia. È in infermeria del centro di accoglienza di Lampedusa insieme agli altri tre uomini e una donna, tutti eritrei, cristiani.
Tutti partiti più di venti giorni fa dalle coste libiche insieme ad altri 73 connazionali. Compagni di viaggio morti per gli stenti della fame, della sete, per le ustioni del sole e dei vapori della benzina.
Racconta Hampton: «Non credevamo a quello che stava accadendo, gli uomini di quel peschereccio hanno visto che stavamo morendo, ma non ci hanno portato a bordo. Non erano italiani, parlavano inglese. Speravamo chemagaridesserorallarme, che segnalassero la nostra posizione
Eravamo stremati, da una barca ci hanno dato un paio di bottiglie d'acqua e poi sono spariti
"L'Occidente a occhi chiusi" non ha voluto vedere il barcone degli eritrei dispersi in mare, come durante il nazismo nessuno vedeva i convogli piombati pieni di ebrei. Duro il commento del gionale dei vescovi sull'ennesima strage dei migranti.
In un editoriale pubblicato in prima pagina, Marina Corradi sostiene che c'è "almeno un equivoco in cui non è ammissibile cadere. Nessuna politica di controllo dell'immigrazione consente a una comunicatà internazionale di lasciare una barca carica di naufragi al suo destino. E questa legge ordina: in mare si soccorre.
Poi, a terra, opereranno altre leggi: diritto d'asilo, accoglienza, respingimento. Poi. Ma le vite, si salvano".
Invece quel barcone vuoto dice del farsi avanti della "nuova legge del non vedere": "Come in un'abitudine, in un'assuefazione. Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei soto il nazismo - scrive Corradi - ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida, nelle stazioni di transito nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il totalistarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi.
Titti è l'unica delle trenta donne sopravvissute a questa strage. Con lei c'erano anche altri tre suoi familiari, due cugini ed un fratello che si erano imbarcati sul gommone della morte sperando di raggiungere l'Italia.
Parla con dificoltà in dialetto Tigrino, la lingua della regione eritrea vicino ad Asmara, ad ascoltarla c'è un suo connazionale che lavora per "Save trhe Children" nel centro di accoglienza di Lampedusa. «Sono arrivata in Libia alcuni mesi fa— diceTitti—è stato un viaggio faticoso e pieno di insidie e pericoli. Solo la forza dlla disperazione, la speranza di arrivare in Italia mi ha fatto superare tutte le difficoltà». Titti racconta che è stata per un paio di mesi a lavorare, «come una schiava», nelle case dei libici. «Con me—prosegue Titti—c'erano altre mie amiche ed altri connazionali, tutti in cerca di fortuna, tutti con la speranza di raggiungere l'Italia dove da anni vivono altri nostri parenti ed amici».
Titti smette poi di parlare, le spuntano le lacrime agli occhi, i ricordi di quiei giorni vissuti in mare in balia delle onde e delle intemperie del giorno e della notte.
Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche una infastidita avversione, sul Mediterraneo. L'Occidente a occhi chiusi". "Così è stata violata una legge antica - conclude - "che minaccia le nostre stesse radici. Le fondamenta. L'idea di cos'è un uomo, e di quanto infinitamente vale".
fonte: La Repubblica, 21/08/2009
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