Caracas entra nel mercato comune del Sud sfruttando la sospensione del Paraguay. La scelta politica di Argentina, Brasile e Uruguay supera i dubbi giuridici ed economici. Vittoria per Chávez, che però rinuncia all'anti-imperialismo e si allea con i moderati della regione. L'incognita sulla sua salute.
L’integrazione latino-americana, malgrado i segni di stanchezza recenti, non si ferma; è alimentata dal boom economico degli ultimi anni e contempla soluzioni a sopresa, come lo spettacolare avvicinamento tra il presidente del Venezuela Hugo Chávez e i governi di sinistra moderata che in questa rubrica erano stati definiti “lulisti”.
Un avvicinamento sancito dall’adesione del Venezuela al Mercosur, stabilita al vertice di Brasilia del 31 luglio. La sospensione del Paraguay in seguito alla rimozione di Lugo ha tolto di mezzo l’ultimo ostacolo rappresentato dalla mancata ratifica del Senato di Asunción all'ingresso di Caracas nell'organizzazione. Il successo è in particolare per Chávez, che al risultato diplomatico unisce un rientro personale nella scena internazionale con cui vuole segnalare di aver definitivamente superato il cancro.
Qualcuno ha suggerito che il vertice del Mercosur sarebbe anche servito a far fare al presidente venezuelano un controllo da parte di medici brasiliani: da tempo circolano voci sul fatto che Cuba sarebbe stata preferita al Brasile come sede delle cure per il fatto che avrebbe potuto assicurare una maggior riservatezza, ma che poi i medici cubani si sarebbero rivelati al di sotto delle aspettative, aggravando i problemi di salute di Chávez. La fonte dell’indiscrezione, secondo cui il controllo sarebbe stato fatto da due medici brasiliani e due medici cubani assieme, è però il solito Nelson Bocaranda, una specie di Dagospia venezuelano le cui informazioni sono sempre sorprendenti ma quasi mai direttamente verificabili o smentibili.
C’è in più la diagnosi di Rafael Marquina, il medico venezuelano residente a Miami che lo scorso febbraio per primo rivelò la nuova operazione cui era stato sottoposto Chávez, e secondo il quale al di là delle dichiarazioni trionfalistiche del presidente - che garantisce di essere ormai guarito - il male sarebbe in realtà incurabile. Semplicemente, le cure avrebbero ottenuto una momentanea remissione; una forte dose di steroidi avrebbe fatto recuperare al colonnello bolivariano uno stato di euforia. Marquina ammette però che le fonti che aveva all’Ospedale Militare di Caracas da un po’ di tempo non possono più passargli nuove informazioni e che dunque si basa su quanto già sapeva.
Salute di Chávez a parte, non mancano altre perplessità. Non solo il governo del Paraguay, un cui ricorso al Tribunale del Mercosur è stato peraltro respinto, ma anche personalità come il vicepresidente dell’Uruguay Danilo Astori, il giurista uruguayano Heber Arbuet e i diplomatici brasiliani Luis Felipe Lampreia e Rubens Barboza hanno espresso perplessità sulla legalità del processo di ammissione del Venezuela, dal momento che la semplice sospensione del Paraguay senza espulsione non implica che il suo assenso non sia più necessario. Il presidente uruguayano Pepe Mujica ha però spiegato che “il politico supera ampliamente il giuridico”; il modo in cui la politica ha forzato il diritto indica l’importanza che i governi di Brasile, Argentina e Uruguay hanno dato a questo sviluppo.
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Significativamente, dopo aver classificato come “colpo di Stato” la destituzione di Lugo - per il fatto che pur essendosi formalmente rispettata la procedura costituzionale il Senato paraguayano non gli avrebbe concesso un congruo periodo di tempo per difendersi - gli altri membri del Mercosur hanno deciso la sospensione del Paraguay senza concedere i tre mesi di tempo che Convenzione di Vienna e Protocollo di Usuhaia danno al paese sanzionato affinchè questo possa presentare le proprie controdeduzioni. Come i partiti paraguayani hanno voluto togliere di mezzo il presidente vescovo prima che potesse interferire con l'imminente campagna elettorale per il suo successore, così i governi del Mercosur hanno voluto approfittare dell’occasione per ammettere il Venezuela prima che le nuove elezioni paraguayane potessero far riammettere Asunción ma al contempo riproponessero il problema del veto.
Altro problema: proprio in contemporanea con l’ingresso nel Mercosur, Chávez ha annunciato l’intenzione di uscire dal Patto di San José di Costa Rica, uno strumento di garanzia dei diritti umani dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) che ad esempio in Argentina ha rango costituzionale. Il presidente ha garantito che il Venezuela intende rimanere nell’Osa, ma tutto sembra voler indicare che col Venezuela bolivariano nel Mercosur diventeranno meno importanti certe garanzie dello Stato di diritto, in favore di un’altra concezione della democrazia che tende piuttosto a enfatizzare la figura dei presidenti eletti con mandato plebiscitario. Va però ricordato che l’opposizione venezuelana è d’accordo con l’adesione al Mercosur, e che erano stati alcuni suoi esponenti a convincere il Senato brasiliano a dare il via libera alla ratifica.
In teoria, l’integrazione della ricchezza petrolifera venezuelana (2,3 milioni di barili al giorno) alla grande industria brasiliana, a quella piccola e media argentina, al settore finanziario uruguayano e all’agroindustria di tutti i paesi dà una marcia in più a un’area che, come ha detto Dilma Rousseff nel suo discorso di benvenuto, adesso “si estende dalla Paragonia ai Caraibi”. Vari analisti stimano che con un saldo della bilancia commerciale strutturalmente alto e un import da 30 miliardi di dollari l’anno, di cui solo 5 che in precedenza venivano dal Mercosur, il Venezuela permetterebbe di triplicare l’interscambio tra i soci, quando tra qualche mese sarà stata adottata la tariffa doganale esterna comune. Già al momento di aderire Chávez si è presentato firmando un contratto per l’acquisto di sei aerei E190 dalla brasiliana Embraer, per 270 milioni di dollari; un'ordinazione che potrebbe salire a 14 aerei, per un valore di 900 milioni. Sempre in occasione del vertice è stato firmato un accordo tra la società petrolifera statale venezuelana Pdvsa e l’argentina Ypf, appena rinazionalizzata dal governo di Cristina Kirchner.
Non è tutto oro quello che luccica: gli imprenditori brasiliani e argentini vendono volentieri al Venezuela, ma sono poco entusiasti all’idea di investire in un paese il cui leader è famoso per nazionalizzazioni e interventi estemporanei. Inoltre, un tallone d’Achille del Mercosur è l’accentuata litigiosità tra i partner, al di là delle foto di circostanza dei leader durante i vertici. Ultimissimo, il litigio tra Argentina e Uruguay per una storia di licitazioni nel dragaggio del Canale Martín García nel Rio de la Plata. Proprio il nazionalismo economico di Cristina Kirchner ha accentuato le occasioni di litigio, ed è probabile che il Venezuela chavista accrescerà il problema, piuttosto che contribuire a risolverlo. D’altra parte, malgrado l'adesione formale al Mercosur Caracas non ha ancora ratificato il Trattato di Asunción - che sarebbe in teoria il pilastro dell’area - nè il Protocollo di Ouro Preto, da cui dipende la struttura istituzionale. La stampa brasiliana aggiunge che il Venezuela intenderebbe chiedere di sottrarre alla concorrenza regionale una lista di almeno 800 prodotti.
Tutto ciò dimostrerebbe come il regime bolivariano non sarebbe tanto interessato al tema economico dell’integrazione, quanto a quello politico della creazione di un “nuovo polo di potere mondiale”, come pure è stato definito a Brasilia da Cristina Kirchner. Questa rubrica ha segnalato più volte la progressiva perdita di influenza sia degli Stati Uniti sia della Spagna ) in America Latina. Ma anche la Primavera Araba, con la caduta di Gheddafi e la crisi che sembra ormai irreversibile di Assad, dovrebbe aver gravemente compromesso i progetti chavisti di alleanza con i paesi del cosiddetto “Asse del Male”. A questo punto, per il leader bolivariano diventa più importante approfondire il rapporto con il Brasile, che attraverso il gruppo dei Brics sembra aver trovato la chiave per influire negli equilibri mondiali. D’altra parte la malattia e il riavvicinamento con la Colombia hanno un po’ attenuato l’immagine autoritaria e radicale di Chávez, mentre la destituzione di Lugo ha accresciuto i punti di contatto tra lui e l’asse Dilma-Cristina; quest’ultima è a sua volta in una fase di radicalizzazione.
Sembrano essere venute meno, nell'immediato, alcune ragioni di differenziazioni tra il modello che questa rubrica ha definito “lulista” e quello “chavista”.
Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Liberal, L’Occidentale, Limes, Longitude, Theorema, Risk, Agi Energia. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche.
L’integrazione latino-americana, malgrado i segni di stanchezza recenti, non si ferma; è alimentata dal boom economico degli ultimi anni e contempla soluzioni a sopresa, come lo spettacolare avvicinamento tra il presidente del Venezuela Hugo Chávez e i governi di sinistra moderata che in questa rubrica erano stati definiti “lulisti”.
Un avvicinamento sancito dall’adesione del Venezuela al Mercosur, stabilita al vertice di Brasilia del 31 luglio. La sospensione del Paraguay in seguito alla rimozione di Lugo ha tolto di mezzo l’ultimo ostacolo rappresentato dalla mancata ratifica del Senato di Asunción all'ingresso di Caracas nell'organizzazione. Il successo è in particolare per Chávez, che al risultato diplomatico unisce un rientro personale nella scena internazionale con cui vuole segnalare di aver definitivamente superato il cancro.
Qualcuno ha suggerito che il vertice del Mercosur sarebbe anche servito a far fare al presidente venezuelano un controllo da parte di medici brasiliani: da tempo circolano voci sul fatto che Cuba sarebbe stata preferita al Brasile come sede delle cure per il fatto che avrebbe potuto assicurare una maggior riservatezza, ma che poi i medici cubani si sarebbero rivelati al di sotto delle aspettative, aggravando i problemi di salute di Chávez. La fonte dell’indiscrezione, secondo cui il controllo sarebbe stato fatto da due medici brasiliani e due medici cubani assieme, è però il solito Nelson Bocaranda, una specie di Dagospia venezuelano le cui informazioni sono sempre sorprendenti ma quasi mai direttamente verificabili o smentibili.
C’è in più la diagnosi di Rafael Marquina, il medico venezuelano residente a Miami che lo scorso febbraio per primo rivelò la nuova operazione cui era stato sottoposto Chávez, e secondo il quale al di là delle dichiarazioni trionfalistiche del presidente - che garantisce di essere ormai guarito - il male sarebbe in realtà incurabile. Semplicemente, le cure avrebbero ottenuto una momentanea remissione; una forte dose di steroidi avrebbe fatto recuperare al colonnello bolivariano uno stato di euforia. Marquina ammette però che le fonti che aveva all’Ospedale Militare di Caracas da un po’ di tempo non possono più passargli nuove informazioni e che dunque si basa su quanto già sapeva.
Salute di Chávez a parte, non mancano altre perplessità. Non solo il governo del Paraguay, un cui ricorso al Tribunale del Mercosur è stato peraltro respinto, ma anche personalità come il vicepresidente dell’Uruguay Danilo Astori, il giurista uruguayano Heber Arbuet e i diplomatici brasiliani Luis Felipe Lampreia e Rubens Barboza hanno espresso perplessità sulla legalità del processo di ammissione del Venezuela, dal momento che la semplice sospensione del Paraguay senza espulsione non implica che il suo assenso non sia più necessario. Il presidente uruguayano Pepe Mujica ha però spiegato che “il politico supera ampliamente il giuridico”; il modo in cui la politica ha forzato il diritto indica l’importanza che i governi di Brasile, Argentina e Uruguay hanno dato a questo sviluppo.
Significativamente, dopo aver classificato come “colpo di Stato” la destituzione di Lugo - per il fatto che pur essendosi formalmente rispettata la procedura costituzionale il Senato paraguayano non gli avrebbe concesso un congruo periodo di tempo per difendersi - gli altri membri del Mercosur hanno deciso la sospensione del Paraguay senza concedere i tre mesi di tempo che Convenzione di Vienna e Protocollo di Usuhaia danno al paese sanzionato affinchè questo possa presentare le proprie controdeduzioni. Come i partiti paraguayani hanno voluto togliere di mezzo il presidente vescovo prima che potesse interferire con l'imminente campagna elettorale per il suo successore, così i governi del Mercosur hanno voluto approfittare dell’occasione per ammettere il Venezuela prima che le nuove elezioni paraguayane potessero far riammettere Asunción ma al contempo riproponessero il problema del veto.
Altro problema: proprio in contemporanea con l’ingresso nel Mercosur, Chávez ha annunciato l’intenzione di uscire dal Patto di San José di Costa Rica, uno strumento di garanzia dei diritti umani dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa) che ad esempio in Argentina ha rango costituzionale. Il presidente ha garantito che il Venezuela intende rimanere nell’Osa, ma tutto sembra voler indicare che col Venezuela bolivariano nel Mercosur diventeranno meno importanti certe garanzie dello Stato di diritto, in favore di un’altra concezione della democrazia che tende piuttosto a enfatizzare la figura dei presidenti eletti con mandato plebiscitario. Va però ricordato che l’opposizione venezuelana è d’accordo con l’adesione al Mercosur, e che erano stati alcuni suoi esponenti a convincere il Senato brasiliano a dare il via libera alla ratifica.
In teoria, l’integrazione della ricchezza petrolifera venezuelana (2,3 milioni di barili al giorno) alla grande industria brasiliana, a quella piccola e media argentina, al settore finanziario uruguayano e all’agroindustria di tutti i paesi dà una marcia in più a un’area che, come ha detto Dilma Rousseff nel suo discorso di benvenuto, adesso “si estende dalla Paragonia ai Caraibi”. Vari analisti stimano che con un saldo della bilancia commerciale strutturalmente alto e un import da 30 miliardi di dollari l’anno, di cui solo 5 che in precedenza venivano dal Mercosur, il Venezuela permetterebbe di triplicare l’interscambio tra i soci, quando tra qualche mese sarà stata adottata la tariffa doganale esterna comune. Già al momento di aderire Chávez si è presentato firmando un contratto per l’acquisto di sei aerei E190 dalla brasiliana Embraer, per 270 milioni di dollari; un'ordinazione che potrebbe salire a 14 aerei, per un valore di 900 milioni. Sempre in occasione del vertice è stato firmato un accordo tra la società petrolifera statale venezuelana Pdvsa e l’argentina Ypf, appena rinazionalizzata dal governo di Cristina Kirchner.
Non è tutto oro quello che luccica: gli imprenditori brasiliani e argentini vendono volentieri al Venezuela, ma sono poco entusiasti all’idea di investire in un paese il cui leader è famoso per nazionalizzazioni e interventi estemporanei. Inoltre, un tallone d’Achille del Mercosur è l’accentuata litigiosità tra i partner, al di là delle foto di circostanza dei leader durante i vertici. Ultimissimo, il litigio tra Argentina e Uruguay per una storia di licitazioni nel dragaggio del Canale Martín García nel Rio de la Plata. Proprio il nazionalismo economico di Cristina Kirchner ha accentuato le occasioni di litigio, ed è probabile che il Venezuela chavista accrescerà il problema, piuttosto che contribuire a risolverlo. D’altra parte, malgrado l'adesione formale al Mercosur Caracas non ha ancora ratificato il Trattato di Asunción - che sarebbe in teoria il pilastro dell’area - nè il Protocollo di Ouro Preto, da cui dipende la struttura istituzionale. La stampa brasiliana aggiunge che il Venezuela intenderebbe chiedere di sottrarre alla concorrenza regionale una lista di almeno 800 prodotti.
Tutto ciò dimostrerebbe come il regime bolivariano non sarebbe tanto interessato al tema economico dell’integrazione, quanto a quello politico della creazione di un “nuovo polo di potere mondiale”, come pure è stato definito a Brasilia da Cristina Kirchner. Questa rubrica ha segnalato più volte la progressiva perdita di influenza sia degli Stati Uniti sia della Spagna ) in America Latina. Ma anche la Primavera Araba, con la caduta di Gheddafi e la crisi che sembra ormai irreversibile di Assad, dovrebbe aver gravemente compromesso i progetti chavisti di alleanza con i paesi del cosiddetto “Asse del Male”. A questo punto, per il leader bolivariano diventa più importante approfondire il rapporto con il Brasile, che attraverso il gruppo dei Brics sembra aver trovato la chiave per influire negli equilibri mondiali. D’altra parte la malattia e il riavvicinamento con la Colombia hanno un po’ attenuato l’immagine autoritaria e radicale di Chávez, mentre la destituzione di Lugo ha accresciuto i punti di contatto tra lui e l’asse Dilma-Cristina; quest’ultima è a sua volta in una fase di radicalizzazione.
Sembrano essere venute meno, nell'immediato, alcune ragioni di differenziazioni tra il modello che questa rubrica ha definito “lulista” e quello “chavista”.
Maurizio Stefanini, giornalista professionista e saggista. Free lance, collabora con Il Foglio, Libero, Liberal, L’Occidentale, Limes, Longitude, Theorema, Risk, Agi Energia. Ha redatto il capitolo sull’Emisfero Occidentale in Nomos & Kaos Rapporto Nomisma 2010-2011 sulle prospettive economico-strategiche. Specialista in politica comparata, processi di transizione alla democrazia, problemi del Terzo Mondo, in particolare dell’America Latina, e rievocazioni storiche.
fonte: liMes
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