Novemila profughi che avevano diritto all'asilo sono spariti nei campi libici. Così la linea dura porta l'Italia fuori dal diritto. E il reato di clandestinità moltiplica il lavoro della polizia
Non c'è solo la linea dura sull'immigrazione. Con la storia dei gommoni e delle stragi, adesso l'Italia vuole dimostrare l'incapacità del governo di Malta nel pattugliare le acque di propria competenza.
E impossessarsi così di gran parte della sua Sar, la zona di soccorso e ricerca in mare stabilita da una convenzione internazionale del 1979. Lo ha ammesso qualche giorno fa il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ai microfoni Rai di "Radio anch'io": "La Sar di Malta è estesa come l'Italia, mentre Malta è grande come Roma ".
Parole un po' più eleganti di quelle pronunciate dal ministro per le Riforme, Umberto Bossi, quando nelle stesse ore ha attaccato il governo dell'isola: "Malta è grande come uno sputo, non ci stanno neanche i maltesi". L'ennesima dimostrazione di diplomazia da osteria che, secondo lo staff del ministro dell'Interno della Valletta, Carmelo Mifsud Bonnici, nasconde il vero obiettivo dell'Italia: espropriare Malta e, attraverso il controllo della zona di soccorso, esercitare diritti sui giacimenti di gas e petrolio ancora da sfruttare a sud del canale di Sicilia.
Un confronto giocato sulla pelle di migliaia di profughi e di decine di morti in pochi giorni. Mentre la polizia, attraverso il segretario generale del sindacato Siap, Giuseppe Tiani, denuncia già il fallimento della legge sul reato di clandestinità: in vigore da un mese, intaserà le questure e gli uffici giudiziari senza dare risultati. Il patto ancora segreto con la Libia è, poi, diventato oggetto di uno scontro con l'Unione europea: alla richiesta di chiarimenti, il premier Silvio Berlusconi ha risposto minacciando di bloccare "il funzionamento della Ue".
Quello che si nasconde dietro il patto con Gheddafi si può ricostruire con pochi numeri. È vero che gli sbarchi a Lampedusa, in Sicilia e in Sardegna si sono ridotti dai 18.901 immigrati del periodo gennaio-agosto 2008 ai 7.016 di quest'anno. Ma se si considera che il 75 per cento di queste persone ha chiesto asilo perché fuggite da guerre e dittature, significa che nel 2009 almeno 9 mila uomini, donne, ragazzi, bambini non hanno potuto trovare nessun riparo grazie alla linea dura voluta dalla Lega e da Berlusconi.
Un popolo di desaparecidos verso i quali l'Italia aveva l'obbligo dell'accoglienza in base alla Convenzione di Ginevra e alla nostra Costituzione. È invece dimostrato che i richiedenti asilo e gli emigranti economici riconsegnati dall'Italia alla Libia in questi mesi siano stati rinchiusi in carcere o nei 15 campi di detenzione allestiti tra la costa e il deserto. Sono stati cioè impediti "dell'effettivo esercizio delle libertà democratiche" protette dall'articolo 10 della Costituzione, a cominciare dalla libertà personale. Ma l'Italia di Berlusconi non è più il Paese dei principi che hanno ispirato la Repubblica. Lo prova quanto è accaduto ai cinque eritrei, tra cui una ragazza e due minori, sopravvissuti su un gommone alla deriva nel Mediterraneo e soccorsi soltanto a 12 miglia da Lampedusa.
Il limite delle acque territoriali italiane, non un miglio oltre: nonostante il gommone fosse stato avvistato e ignorato da una decina di pescherecci, fotografato da un ricognitore impegnato nell'operazione di pattugliamento europeo Frontex e rifornito nell'ultima fase della traversata dalla Marina maltese. Titti Tazrar, 27 anni, e gli altri quattro eritrei con lei, pur essendo sopravvissuti alla morte per sete di 75 compagni di viaggio e avendo diritto di richiedere asilo in Italia, sono stati denunciati per immigrazione clandestina. "Un atto dovuto ", hanno dichiarato gli investigatori della Procura di Agrigento.
Nella corta memoria italiana ci si è già dimenticati che prima dell'approvazione del pacchetto sicurezza, un mese fa, mandare a processo cinque profughi sarebbe stato un gesto di inciviltà. Oltre che uno spreco di denaro pubblico. Perché alla fine il giudice deve comunque decidere il "non luogo a procedere". Con i respingimenti di massa di questi giorni l'Italia è così uscita dal club di Paesi che garantiscono il diritto internazionale. Secondo le convenzioni delle Nazioni Unite, quelli ordinati da Silvio Berlusconi, e avallati dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, e della Difesa, Ignazio La Russa, sono atti di pirateria.
Se si dovesse applicare a loro lo stesso rigore che la Lega ha preteso per gli immigrati, l'Italia dovrebbe essere condannata davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo, come è già accaduto nel 2005. Con l'aggravante, questa volta, della premeditazione: "Per contrastare l'immigrazione clandestina non bisogna essere buonisti ma cattivi, determinati ", aveva detto il ministro dell'Interno in febbraio in un convegno ad Avellino. Fino al 2008, invece, le vedette della Marina e della Finanza collaboravano con Malta e si spingevano in Africa se c'erano persone da salvare. Lunedì scorso, in prefettura a Milano, Maroni ha anche sostenuto che i profughi respinti vengono assistiti in Libia dall'Acnur, l'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. Una bugia. Contattati da "L'espresso", funzionari dell'Acnur a Ginevra smentiscono di poter assistere i rifugiati respinti dall'Italia: "La Libia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 e tanto meno ha una legislazione che regola la materia", spiegano, "per questo l'Alto commissariato non ha nessun riconoscimento formale da parte delle autorità libiche. In Libia abbiamo accesso soltanto ad alcuni centri di detenzione e soltanto su autorizzazione. Abbiamo così scoperto che le persone spariscono.
Vengono spostate continuamente. E la nostra paura è che gli oppositori eritrei siano rimpatriati in Eritrea". Qualcuno forse un giorno si chiederà come potevano gli italiani e il loro governo non sapere. La Convenzione Sar (Search and rescue, ricerca e soccorso) firmata ad Amburgo è stata ratificata a Roma nel 1984. L'accordo obbliga gli Stati che si affacciano sul mare a mantenere un servizio di salvataggio in collaborazione con i Paesi confinanti.
L'area di competenza maltese è un trapezio rettangolo di circa 250 mila chilometri quadrati. Si estende dalle acque al largo della Tunisia fino a una fetta di mare a sud di Creta e si sovrappone alla Sar italiana per decine di miglia proprio intorno a Lampedusa. Un'area che coincide con la regione di controllo del traffico aereo e anche di pagamento dei diritti di sorvolo che Malta ha ereditato dalla dominazione britannica. Ma che, secondo studi geologici, potrebbe racchiudere alcuni dei campi di idrocarburi ad alta profondità più ricchi del Mediterraneo. Eredità di quando, fino a cinque milioni di anni fa, il Mare Nostrum era un basso lago salato. Proprio in questi giorni il governo della Valletta ha deciso di uscire allo scoperto: la loro Marina soccorre con viveri e carburante i gommoni prima che si avvicinino alle proprie coste e li accompagna fino al confine delle acque italiane. In questo modo, secondo Malta, sono garantite sia la Convenzione di Ginevra sia le regole Sar. Uno scaricabarile al quale l'Unione Europea assiste lontana.
La comprensibile paura dei 400 mila abitanti di Malta, tanti quanti una città come Bologna, è che il mercanteggiare continuo tra Berlusconi e Gheddafi sposti gli sbarchi da Lampedusa al loro arcipelago. Da queste parti hanno sempre mantenuto buoni rapporti con la Libia. E sanno che il regime di Tripoli non può fermare gli emigranti che salgono dall'Africa.
Il rischio di un nuovo fallimento della diplomazia show italiana è alle porte. Mentre sul pacchetto sicurezza aumentano le perplessità di agenti e funzionari. "La condanna al pagamento dell'ammenda da 5 mila a 10 mila euro rappresenta una sentenza inutile, che non sarà mai eseguita", osserva Giuseppe Tiani, segretario generale del Siap, "per giungere alla quale lo Stato dovrà, per contro, impiegare ingenti risorse umane, logistiche, economiche e giudiziarie". Un esempio? Eccolo: "Uno straniero clandestino viene fermato a Pavia", racconta Tiani, "e subito dopo, previa denuncia all'autorità giudiziaria, è trattenuto nel centro di espulsione di Bari, individuato dal ministero quale centro più vicino con disponibilità di posti.
Ebbene, la questura di Bari dovrà successivamente curare la traduzione dello straniero davanti al giudice di Pavia per presenziare all'udienza. Si moltiplichi questo sforzo tante volte quanti saranno gli stranieri che saranno trasferiti da una città all'altra per presenziare alle rispettive udienze. Un costo enorme, per sentirli condannare a una ammenda che non potranno mai pagare. Subito dopo lo straniero sarà riaccompagnato al centro di espulsione di provenienza da dove, se mai identificato, sarà rimpatriato. Esattamente come già avveniva prima".
fonte: L’Espresso
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