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luglio 29, 2010

La centrale solare nel deserto, una sfida ai signori del petrolio.

Il Negev è una scatola di sabbia e di sogni, e al mattino ci appare da lontano, sul giallo del deserto, l’ultima versione della fantasia scientifica israeliana sul futuro: una grande struttura rotonda, una specie di ombrello semirovesciato ritto su gambe di acciaio, la proposta al mondo il cui padre, professor David Feinmann, ci accoglie con l’entusiasmo e la gioia di chi vuole cambiare il mondo, e sa come farlo. 

I pannelli solari di Feinmann sono il risultato della ricerca compiuta per 30 anni dal Centro nazionale per l’Energia Solare, a Sde Boker, il kibbutz dove David Ben Gurion si ritirò a fare l’agricoltore dopo aver fondato lo Stato d’Israele. 

Qui si capisce bene il suo paradosso: «Chi non crede nei miracoli non è realista».

Il Negev gli piaceva perché era aperto e vuoto di nemici per un popolo abituato a combattere e a soffrire da millenni, perché qui la fantasia poteva scatenarsi in ogni direzione, pulita come l’aria del deserto. Proprio il deserto, che è stato persino lo sfondo della consegna a Mosè delle tavole della legge, potrebbe essere ora di nuovo la madre di un messaggio basilare, quello dell’energia solare a basso costo, libera dalla logica micidiale dei pozzi di petrolio. 


Shimon Peres solo pochi giorni fa ha annunciato lo sviluppo dell’energia pulita in Israele come la prossima frontiera del sionismo: ha parlato della produzione e dell’uso di massa in Israele di un’auto a basso costo che marci ad elettricità; nel Negev si producono case completamente autosufficienti dal punto di vista energetico solo con l’uso del sole che brilla quasi tutto l’anno, e presto queste case diventeranno un grande progetto industriale a basso costo, destinato alle giovani coppie.

L’invenzione di Feinmann lui ce la spiega con accento britannico dopo che arriviamo a lui avendo già visitato altri spazi dell’International Institute for Desert Studies, 5.000 fra studiosi e studenti anche dai Paesi arabi ma anche dall’India, dalla Cina, dall’Africa, e, mi dicono, uno studente dalla Sicilia, che vivono nel campus e nei laboratori dove si studia come frati laici irrigazione, desalinizzazione, riciclaggio spasmodico fino all’ultima goccia, allevamento di pesci, vittorie varie sulla desertificazione tramite la coltivazione di piante e l’allevamento animale. I giovani partecipano ad invenzioni che producono il futuro dell’uomo specie per sfruttare l’acqua, la terra, le alghe, creando un nuovo rapporto naturale con la terra, ci spiegano nell’edificio centrale azzurro e bianco, dove invece dell’aria condizionata l’indispensabile raffreddamento è prodotto da un fontanone trasparente che con un sistema di tubi e sempre usando la medesima acqua produce una temperatura molto piacevole in tutte le stanze, le aule, la biblioteca.


Torniamo al sole da Feinmann: «Fino a oggi - spiega rigirando per le mani un quadratino che si rivela essere una cellula fotovoltaica - si sono usate queste cellule per trasformare la luce in elettricità. Ma costano moltissimo. Per produrre un watt si usa una cellula di dieci centimetri per dieci», ce la mostra di nuovo, come un giocattolo che solo lui sa usare. «L’altissimo costo impedisce che si produca dunque molta elettricità. Ma noi abbiamo trovato un semplice modo di estrarre dalla medesima cellula 1.500 watt: questa grande parabola è interamente costruita con specchi, che costano pochissimo, e là in alto, sull’antenna, è piazzata una cellula di 10 centimetri per 10. Otteniamo così 1.500 watt per quello che ne avrebbe prodotto dieci solo usando degli specchi, una struttura di acciaio, e un sistema idraulico perché la parabola si muova col sole. I costi in questo modo sono abbattuti quasi a zero, 1.500 volte di meno».

Vicino alla struttura rotonda ce n’è una lineare lunga come un serpente di cento metri, che concentra il sole e si muove in sintonia con esso, concentrando il suo enorme calore moltiplicato su un tubo in cui si muove un liquido che si accende di energia. La ditta Sollel ha firmato da poco un contratto con una compagnia americana, la PG&E, per costruire con questo sistema la più grande stazione energetica del mondo nel deserto Mojave della California: avrà circa 7.000 pannelli di questo genere e coprirà circa 14 chilometri quadrati. Fra quattro anni sarà in funzione e produrrà intorno a 553 megawatt di elettricità.


Feinmann, che vive dal 1976 con la sua famiglia a Sde Boker, suona e sente musica nei momenti liberi, e ha ormai collezionato il sesto nipotino: «Il lavoro è parte di un grande progetto costruito con gli europei, di cui i tedeschi sono i primi partner, le cellule sono made in Germany». Sogna che Israele sia indipendente dall’energia petrolifera, anche se capisce bene che si tratta di un obiettivo lontano dalla possibilità di una realizzazione veloce: «Noi, un Paese piccolo, abbiamo bisogno di 50 miliardi di kilowatt l’anno. Da 12 chilometri quadrati col mio sistema possiamo ricavarne 2 miliardi l’anno. Insomma con sei chilometri quadrati di deserto, si fa un miliardo di kilowatt».


Lo dice con un guizzo di entusiasmo come fosse da ieri che l’ha capito, con un entusiastico ammiccamento al futuro: che Israele almeno metta in cantiere qualcosa di serio e grande, finalmente!, è il suo messaggio. «C’è stata e c’è difficoltà burocratica a cedere territorio, finanziamenti statali, fiducia, ma mi sembra che oggi qualcosa si muova, qualcosa si sta svegliando. Vede, io lavoro a questa idea - spiega - da quando ho capito una cosa: Israele consuma solo un terzo dell’uno per cento dell’energia del mondo, e i nostri politici hanno sempre pensato che, se i fornitori dovessero chiuderci la porta in faccia, potremmo sempre comprare dagli Usa o dall’Europa. Ma io invece temo che il giorno dei serbatoi secchi qualcuno potrebbe chiedere agli Usa, per esempio, di consegnare Israele su un vassoio in cambio della solita fornitura. 

E allora è bene prepararsi se non all’autosufficienza, alla minore dipendenza possibile. Per ora le nostre proposte suscitano nel mondo enorme interesse, tutti i giorni ho proposte dal mondo intero. Qui si va più lentamente, siamo certo più poveri e quindi cauti; ma sono fiero che la proposta dell’energia pulita a basso costo venga al mondo da Israele, da Sde Boker. Anche se non mi figuro chissà quali contenuti trascendentali, dato che la pace e la guerra prima ancora di essere causati dalla storia sono componenti dell’anima, pure mi rendo conto anche che in queste strutture sotto il sole c’è una bella proposta di cooperazione energetica, adatta al mondo intero. Basta un po’ di sole». Che, come dice Shimon Peres, è più affidabile degli Arabi Sauditi.



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