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agosto 11, 2012

Il confronto Usa-Cina passa per le Filippine.

asia-cina-filippineLe dispute territoriali per le isole Paracel e Spratly nel Mar cinese meridionale e l'incidente di Scarborough Shoal. L'assertività cinese preoccupa gli Stati vicini. Manila ne approfitta per rinsaldare la cooperazione con gli Usa, che chiudono un occhio sulle violazioni dei diritti umani da parte delle Forze armate filippine.

La politica estera della Repubblica Popolare Cinese, ufficialmente, è basata sui cinque criteri di convivenza pacifica che dovrebbero - nelle intenzioni di Pechino - assicurare pace e stabilità in Asia e permettere alla Cina di proseguire nel suo percorso di crescita e modernizzazione.

Tra questi principi spiccano il rispetto per l’integrità territoriale, la sovranità e la non interferenza in questioni domestiche di altri Stati sovrani. Tali principi, tuttavia, sembrano in contrasto con le recenti prese di posizione del governo cinese riguardanti le zone di influenza economica esclusiva e le acque territoriali nel Mare Cinese Meridionale.

Nel 2010 Pechino ha definito la sovranità cinese nel Mare Cinese Meridionale un core interest, termine tradizionalmente utilizzato per fare riferimento a Taiwan, Tibet e Xinjiang, ovvero aree e problemi per i quali la Cina non ha intenzione di accettare compromessi ed è pronta ad utilizzare la forza. Questa dichiarazione è stata definita dagli analisti occidentali la “Dottrina Monroe con caratteristiche cinesi”. Come il presidente degli Stati Uniti James Monroe aveva richiesto alle potenze europee di astenersi dal interferire nelle vicende dell’America Latina nel 1823, così la Repubblica Popolare (Prc), attraverso la dichiarazione dell’esistenza di un interesse vitale nella zona, intima alle potenze non asiatiche e agli Stati confinanti di rispettare la propria zona di influenza nei “mari vicini”.

Pechino rivendica, infatti, lo sfruttamento esclusivo di un'area definita da una curva a U che comprende fino all'80% delle acque del Mare Cinese Meridionale, sovrapponendosi con le acque territoriali di Vietnam, Brunei, Indonesia e Filippine. Il governo cinese fino ad oggi ha rifiutato la prospettiva di un accordo multilaterale con l’Asean basato sulla Convenzione Onu sul diritto del Mare del 1982. Pechino preferirebbe negoziare con gli Stati vicini su base bilaterale, facendo valere in questo modo l’asimmetria di potere militare, economico e politico. La mancata approvazione di un codice multilaterale di condotta e di risoluzione delle dispute ha contribuito ad aumentare la tensione nel Sud Est asiatico, causando periodiche crisi bilaterali.

Il caso più recente è quello delle dispute con le Filippine. L’oggetto del contendere è la Scarborough Shoal, atollo a sud delle isole Spratyls, che Manila considera parte della municipalità di Masinloc Zambales e che Pechino rivendica come parte del territorio sovrano cinese. Questo gruppo di isole non ha un valore economico e commerciale intrinseco. Tuttavia il riconoscimento della sovranità su questa porzione di territorio permetterebbe alla Cina di controllare anche le 200 miglia nautiche di acque territoriali circostanti, ricche sia di giacimenti sotterranei di idrocarburi sia di risorse ittiche. La zona, inoltre, è fondamentale per il controllo delle linee di comunicazione marittima.

Ad aprile, la Marina delle Filippine ha intercettato otto imbarcazioni cinesi intente a pescare nelle acque filippine. In risposta Pechino ha inviato la Marina militare che ha permesso il rientro delle imbarcazioni; l'incidente ha portato a proteste diplomatiche formali tra i due paesi. Nelle ultime settimane la Commissione militare centrale e il Politburo cinesi hanno promosso alcuni passi fondamentali per la colonizzazione delle isole contese: il più rilevante è il riconoscimento dello status di prefettura e la nomina di rappresentanti locali per la città di Shansha, centro abitato sorto negli ultimi mesi nelle isole Spratyls. La prefettura di Shansa dovrebbe amministrare più di 200 isole incluse tra le isole Spratyls e isole Parcels e oltre a 2 milioni di kilometri quadrati di acque territoriali. Pechino, inoltre, ha avviato la costruzione di una base militare destinata “alla tutela della sicurezza nazionale e a condurre operazioni militari”.

Questa mossa ha condotto ad una protesta formale del governo delle Filippine. Oltre all’immediata presa di posizione diplomatica e al rifiuto di riconoscere la legittimità della “colonizzazione” delle isole Spratyls, la reazione più significativa da parte del governo filippino riguarda soprattutto il settore militare. Il presidente Benigno Aquino III ha annunciato un vasto programma di modernizzazione, mirato soprattutto all’espansione della Marina e dell’Aeronautica, che comprende l’acquisto di 12 caccia F-16 e tre fregate classe Hamilton dismessi dalle Forze armate americane. In totale il dipartimento della Difesa di Manila spenderà fino a 1 miliardo di dollari nei prossimi sei anni; il budget filippino, tuttavia, rimane una minuscola frazione di quello del gigante militare cinese che supera i 100 miliardi l’anno.

Al di là della modernizzazione delle forze armate avviata dal governo di Benigno Aquino III, che non sposta in modo significativo gli equilibri regionali, l’effetto più significativo creato dalla tensione tra Pechino e Manila è l’ulteriore rafforzamento del legame politico e militare con gli Stati Uniti, che dai tempi dell’indipendenza rappresenta l’asse centrale della politica estera delle Filippine.
L’arcipelago è stato una colonia americana dalla fine della guerra ispano-americana nel 1898 [vedi carta] alla seconda guerra mondiale. Nel 1951 Manila è entrata a far parte del sistema di alleanze hub and spoke dell’Asia-Pacifico, che lega Washington e partner locali con una serie di alleanze bilaterali. Durante la guerra fredda gli Stati Uniti hanno sostenuto fortemente il governo militare di Marcos, considerato un efficace baluardo contro il comunismo. Le Filippine, infatti, hanno compiuto la transizione verso la democrazia solo nel 1986 con la rivoluzione guidata da Corazón Aquino, madre dell’attuale presidente.

Dopo la guerra fredda, il governo Aquino ha approvato una risoluzione che decretava la chiusura delle basi americane nell’arcipelago. Nel 1995 il presidente Ramos, successore di Corazón Aquino, aveva tentato di reintrodurre un piccolo contingente americano nell’arcipelago, in risposta alla costruzione di una base cinese nelle isole Spratyls. Nel 1999 i due paesi hanno raggiunto un Visiting Forces Agreement che permette lo stazionamento provvisorio di truppe e esercitazioni militari congiunte. La più importante è l’annuale esercitazione congiunta Balkatan (spalla a spalla) che prevede la simulazione di uno scontro militare nell’arcipelago e nelle acque territoriali circostanti che coinvolge fino a 6000 soldati americani e filippini.
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Durante l’amministrazione di George W. Bush, Manila è stata in prima linea nella lotta al terrorismo. Il governo Arroyo, infatti, ha partecipato con un contingente sia alla guerra in Iraq sia al conflitto in Afghanistan. In cambio della collaborazione politica e militare nella lotta globale al terrorismo, gli Stati Uniti hanno contribuito economicamente e militarmente agli sforzi del governo filippino mirati al contrasto dei gruppi separatisti islamici, quali il Fronte del Moro e Abu Sayyaf, presenti soprattutto nella zona settentrionale di Mindanao. Questa collaborazione è stata intensificata nell’ultimo anno, attraverso un ampio utilizzo di droni dell’aeronautica militare americana in operazioni contro la leadership del gruppo Abu Sayyaf.
 
L’emergente rivalità geopolitica tra Stati Uniti e Cina e il re-engagement americano in Asia rendono ancora più rilevante il ruolo delle Filippine. Le recenti prese di posizione dell’Amministrazione Obama testimoniano, infatti, sia la volontà di ribadire la credibilità dell’impegno americano nella zona sia il pieno sostegno politico e diplomatico nei confronti del governo di Manila.

Durante lo scorso novembre il Segretario di Stato Clinton e il ministro degli Esteri Albert Del Rosario hanno sottoscritto la dichiarazione di Manila che riafferma il Trattato di alleanza firmato nel 1951 e conferma l’impegno di Washington nell’assicurare la sicurezza dell’alleato filippino e il sostegno americano nelle dispute con la Cina. La dichiarazione è stata accompagnata dall’aumento degli aiuti militari (Foreign Military Financiang), triplicati rispetto al 2011.

Le dispute nel Mare Cinese Meridionale, che riguardano non solo le Filippine ma la maggioranza degli Stati membri dell’Asean, hanno un altro effetto molto rilevante, complementare a quello di facilitare il “pivot" americano. Fino ad oggi l’architettura di sicurezza della regione si è basata prevalentemente sul sistema hub and spoke, con Washington come unico centro collegato ai vari raggi rappresentati dagli alleati asiatici. Questi ultimi però non sono legati da un accordo di sicurezza collettivo. La mancata risoluzione di dispute di tipo storico e politico ha sempre chiuso ogni possibilità in questo senso. L’attrito tra Filippine e Cina degli ultimi tempi, tuttavia, ha dato luogo ad una solidarietà senza precedenti non solo da parte degli altri membri dell’Asean ma anche da parte di Giappone e Australia. Il Giappone, ad esempio, a luglio ha fornito dieci navi alla Marina delle Filippine, ha proposto di partecipare alle esercitazioni Balikatan e di stazionare delle truppe in una base nel nord delle Filippine stesse.

Il Senato filippino a fine luglio ha ratificato il Visiting forces agreement con l’Australia. Questo accordo, che prevede esercitazioni militari congiunte in territorio delle Filippine e formazione del personale filippino in Australia, contribuisce a rafforzare la cooperazione politica bilaterale e segna un ulteriore passo verso l’evoluzione del sistema di alleanze hub and spoke della regione.

La solidarietà internazionale e l’appoggio americano sono determinanti non solo per la politica estera e di sicurezza delle Filippine, ma per la tenuta del sistema politico al suo interno.

Il ruolo strategico di Manila nel pivot asiatico degli Usa contribuisce a mettere in secondo piano le critiche della Chiesa cattolica, dell’Unione Europea e delle organizzazioni non governative internazionali per la scarsa tutela dei diritti umani. Sebbene le Filippine siano riconosciute come una democrazia stabile dalla comunità internazionale, il loro governo, soprattutto durante la presidenza Arroyo, ha attuato notevoli restrizioni alla libertà di stampa e di opinione. Inoltre, le Forze armate, agendo in modo parzialmente autonomo dall'esecutivo, hanno intrapreso una campagna di uccisioni mirate contro i gruppi di opposizione comunisti e i ribelli islamisti. Secondo le principali organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umani, i militari non avrebbero perseguito solo i membri del gruppo separatista islamico Abu Sayyaf, ma avrebbero arrestato e ucciso molti giornalisti ed esponenti dell’opposizione. La commissione Onu incaricata di indagare su questi avvenimenti, anche in seguito alle pressioni degli Stati Uniti, non ha riconosciuto una responsabilità diretta del governo. Le Forze armate e i gruppi paramilitari, secondo la commissione, operano spesso al di fuori della legalità e del controllo governativo soprattutto nelle zone settentrionali del paese. Organizzazioni quali Amnesty International e Human Rights Watch continuano a sottolineare il mancato perseguimento e contrasto dell'esecutivo di queste violazioni.

Questa vicenda fa emergere la disponibilità di Washington ad ignorare o a mettere in secondo piano le violazioni dei diritti umani e gli scarsi standard in materia di libertà fondamentali in nome delle esigenze strategiche dettate dalla competizione geopolitica con la Cina. L’amministrazione Obama non ha solo evitato di criticare il governo di Manila per le violazioni dei diritti umani e per le uccisioni mirate, ma ha messo a disposizione i propri droni per le campagne anti-terrorismo dirette a eliminare la leadership dei gruppi separatisti.

La vicenda delle dispute tra Cina e Filippine mette in evidenza diverse tendenze che indicano un progressivo passaggio a una politica di contenimento dell’ascesa cinese. In primo luogo, l’approfondimento dei legami militari con i partner locali e l’aumento degli aiuti militari a questi ultimi. In secondo luogo, la crescente solidarietà tra i diversi attori della zona testimonia come l’ampliamento dei core interest cinesi sia percepito come una minaccia, non soltanto dalle Filippine o da altri Stati coinvolti direttamente nelle dispute come il Vietnam, ma da gran parte gli attori rilevanti dell’Asia Orientale e Sud Orientale - quali Indonesia, Taiwan, Giappone e Australia.

Questa tendenza sta contribuendo a creare una spaccatura tra i membri dell’Asean, emersa nel vertice di fine luglio di Phnom Penh, durante il quale non è stato possibile trovare una posizione comune sulle dispute territoriali nel Mare Cinese Meridionale. L’Associazione degli Stati del Sud Est Asiatico, infatti, è sempre più divisa tra chi si oppone alle rivendicazioni territoriali cinesi, percependole come una minaccia alla loro sicurezza nazionale e integrità territoriale, e chi è allineato con la posizione cinese - Thailandia, Cambogia e Laos.

Questa divisione ha portato a quello che è stato definito dal segretario generale dell’Associazione Surin Pitsuwan il fallimento più evidente della storia dell’Asean.
fonte: liMes
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