Era il 1° novembre 1952, il giorno in cui si realizzava il sogno di Edward Teller, fisico statunitense di origini ungheresi tanto brillante quanto discusso.
Esplodeva quel giorno la prima bomba a idrogeno. Che, incidentalmente, cancellava dalle carte geografiche l'isola di Elugelab, nelle Marshall, liberando una potenza di 10,4 megatoni, vale a dire oltre dieci milioni di tonnellate di tritolo equivalente.
Per la prima volta, per dirla con i fisici, l'uomo otteneva la fusione termonucleare incontrollata. E iniziava a inseguire un sogno ancora più ambizioso, e molto più nobile. Sfruttare la sconfinata energia della fusione per ottenere energia pulita e virtualmente inesauribile.
Oggi, a quasi sessant'anni da quel test, il mondo saluta con sollievo l'accordo Start 2, firmato da Barack Obama e Dmitri Medvedev per ridurre di un ulteriore 30 per cento gli arsenali nucleari di Stati Uniti e Russia, imponendo un tetto massimo di 1550 testate operative. Sempre troppe, ma comunque un passo cruciale in vista di un futuro un po' meno minaccioso.
Sapete che acqua bevete?.
Di passi avanti, invece, la fusione termonucleare controllata ne ha fatti davvero pochi, timidi e incerti. Come spiega l'articolo di Michael Moyer a p. 46, sono due gli esperimenti attualmente in fase di sviluppo che potrebbero portare a un risultato positivo - la National Ignition Facility statunitense e il progetto internazionale ITER - ma l'esito è tutt'altro che scontato. E, soprattutto, non è detto che in un futuro, né prossimo né remoto, saremo in grado di confinare con continuità i plasmi alle altissime temperature necessarie per tenere in funzione un «reattore a fusione». Riuscire a imprigionare l'energia del Sole, insomma, non è proprio come bere un bicchiere d'acqua.
Un gruppo di ricercatori italiani ha analizzato, nell'ambito di un progetto dell'Unione Europea, molte delle acque minerali imbottigliate in vendita sul territorio nazionale. Indagando soprattutto sui cosiddetti elementi presenti in tracce, la cui concentrazione non è indicata sull'etichetta perché la legge non lo richiede. Tra essi, alluminio, arsenico, berillio, uranio e altri potenziali contaminanti nocivi per la salute.
I risultati dell'indagine - particolarmente importante in un paese che è il maggior consumatore mondiale di acqua minerale - hanno evidenziato molte luci e poche ombre. Ma soprattutto hanno fatto emergere la necessità di una profonda revisione delle norme, che spesso in Italia sono più severe per l'acqua del rubinetto che per quella in bottiglia, le cui etichette dovrebbero riportare informazioni più dettagliate riguardo alla composizione. È esemplare il caso del berillio - un cancerogeno di classe A - che nelle acque potabili non può superare una concentrazione di 4 microgrammi per litro mentre non è sottoposto ad alcuna restrizione per quanto concerne le acque minerali.
Sarebbe dunque quanto mai opportuno per la salute dei cittadini che le acque in bottiglia, salvo il caso di specifiche acque con indicazioni terapeutiche, fossero sottoposte almeno agli stessi vincoli dell'acqua di rubinetto.
Esplodeva quel giorno la prima bomba a idrogeno. Che, incidentalmente, cancellava dalle carte geografiche l'isola di Elugelab, nelle Marshall, liberando una potenza di 10,4 megatoni, vale a dire oltre dieci milioni di tonnellate di tritolo equivalente.
Per la prima volta, per dirla con i fisici, l'uomo otteneva la fusione termonucleare incontrollata. E iniziava a inseguire un sogno ancora più ambizioso, e molto più nobile. Sfruttare la sconfinata energia della fusione per ottenere energia pulita e virtualmente inesauribile.
Oggi, a quasi sessant'anni da quel test, il mondo saluta con sollievo l'accordo Start 2, firmato da Barack Obama e Dmitri Medvedev per ridurre di un ulteriore 30 per cento gli arsenali nucleari di Stati Uniti e Russia, imponendo un tetto massimo di 1550 testate operative. Sempre troppe, ma comunque un passo cruciale in vista di un futuro un po' meno minaccioso.
Sapete che acqua bevete?.
Di passi avanti, invece, la fusione termonucleare controllata ne ha fatti davvero pochi, timidi e incerti. Come spiega l'articolo di Michael Moyer a p. 46, sono due gli esperimenti attualmente in fase di sviluppo che potrebbero portare a un risultato positivo - la National Ignition Facility statunitense e il progetto internazionale ITER - ma l'esito è tutt'altro che scontato. E, soprattutto, non è detto che in un futuro, né prossimo né remoto, saremo in grado di confinare con continuità i plasmi alle altissime temperature necessarie per tenere in funzione un «reattore a fusione». Riuscire a imprigionare l'energia del Sole, insomma, non è proprio come bere un bicchiere d'acqua.
Un gruppo di ricercatori italiani ha analizzato, nell'ambito di un progetto dell'Unione Europea, molte delle acque minerali imbottigliate in vendita sul territorio nazionale. Indagando soprattutto sui cosiddetti elementi presenti in tracce, la cui concentrazione non è indicata sull'etichetta perché la legge non lo richiede. Tra essi, alluminio, arsenico, berillio, uranio e altri potenziali contaminanti nocivi per la salute.
I risultati dell'indagine - particolarmente importante in un paese che è il maggior consumatore mondiale di acqua minerale - hanno evidenziato molte luci e poche ombre. Ma soprattutto hanno fatto emergere la necessità di una profonda revisione delle norme, che spesso in Italia sono più severe per l'acqua del rubinetto che per quella in bottiglia, le cui etichette dovrebbero riportare informazioni più dettagliate riguardo alla composizione. È esemplare il caso del berillio - un cancerogeno di classe A - che nelle acque potabili non può superare una concentrazione di 4 microgrammi per litro mentre non è sottoposto ad alcuna restrizione per quanto concerne le acque minerali.
Sarebbe dunque quanto mai opportuno per la salute dei cittadini che le acque in bottiglia, salvo il caso di specifiche acque con indicazioni terapeutiche, fossero sottoposte almeno agli stessi vincoli dell'acqua di rubinetto.
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