Seguimi in Twitter Seguimi in Facebook Seguimi in Pinterest Seguimi in LinkedIn Sottoscrivi il feed

dicembre 25, 2012

Le banche fanno dieci miliardi di utile grazie a Monti: e tutto nero su bianco nel rapporto riservato Abi presentato al FMI.
 Le banche fanno dieci miliardi di utile grazie a Monti, riciclaggio di denaro e nessuna condanna!

Dall’Italia agli Usa passando per l’Inghilterra e la Svizzera la situazione delle banche è una sola: privilegiati. Anche se in ognuno di questi casi la loro condizione si è manifestata in maniera del tutto diversa. Lo status nel Belpaese non può che essere legato però alla politica e in particolare al Governo tecnico guidato da Mario Monti.

IL CASO ITALIA E IL RAPPORTO RISERVATO ABI.
È tutto nero su bianco nel rapporto riservato Abi presentato al fondo monetario internazionale: nel biennio 2012 – 2013 ai grandi istituti di credito italiani verrà riservato un utile di dieci miliardi di euro. Un dato possibile soltanto grazie allepolitiche di tassazione che il premier ha messo in campo contro i cittadini con il pagamento di tasse gravose come ad esempio l’ultima, quella che ha reso amaro il Natale, l’Imu. Infatti questo è l’unico dato positivo che arriva per l’Italia.E contrasta nettamente con l’aumento della disoccupazione (schizzata all’11,1%) e con l’incremento del debito pubblico (cifra storica  che arriva a circa 2mila miliardi di euro). Dov’è quindi la crisi? Di sicuro non certo nelle casse delle banche ma nelle tasche del cittadino che non arriva a fine mese.
abi
TUTTI I NUMERI.
Il rapporto delle banche parte dal 2011 quando Berlusconi era ancora al Governo. In quell’anno hanno chiuso con un disavanzo di 23,1 miliardi di euro. Con le tasse imposte dal governo Monti non solo è stato ripianato tutto il rosso dell’anno precedente ma si è arrivato a fatturare un utile di 4 miliardi di euro. Una differenza totale che è di 27 miliardi di euro (provenienti quasi tutti dalle tasse imposte agli italiani). Con questo andamento si prevede che gli utili aumenteranno di 6,5 miliardi di euro nei successivi dodici mesi che rappresentano il 2013. In totale si parla di dieci miliardi di euro.
I dati sono stati snocciolati dal segretario generale della Fabi Lando Maria Sileoni in una tavola rotonda a Roma. Il documento è destinato al fondo monetario italiano ma doveva essere tenuto lontano dagli occhi dei sindacati italiani che lottano contro la trattativa da 20- 30mila esuberi messa in campo da Banche e Governo.

Numeri che dimostrano lo stato di salute delle Banche nonostante l’Abi abbia fatto di tutto per dimostrare l’esatto contrario: la crisi degli istituti di credito e il loro stato di indigenza.
E invece ci sono anche altri dati che dimostrano l’ottima salute dei grandi istituti di credito: il mercato dei prestiti a famiglie e imprese passa dallo +0,5% quest’anno al +1,9% dell’anno prossimo. Bene anche il margine di interesse che, dopo un lieve calo dell’1,2% quest’anno, schizzerà a +2,5% nel 2013. Il roe (utile netto su patrimonio) aumenta dell’1,1% e poi dell’1,7%.

La crescita dei prestiti non rimborsati, andrà praticamente a scemare:  si passa dal 27,6% dello scorso anno al 18,4% del 2012 e al 13,8% del 2013. Ci sarà un biennio previsto in miglioramento che arriva dal + 3,8% al  +4%.

Numeri che, nonostante la loro difficoltà oggettiva di interpretazione, si commentano da soli. Il messaggio delle banche alla politica dovrebbe essere uno solo: Grazie Monti. E intanto gli italiani soffriranno ogni giorno di più la fame.
banche soldi
IL CASO USA: LE BANCHE RICICLANO DENARO SPORCO E NESSUN ARRESTO
In Italia le banche le risana il Governo Monti. Negli Usa, lo Stato più giustizialista del mondo progredito, dove esiste la pena di morte per chi uccide e il carcere per chi viene beccato sulla strada a sfrecciare a folle velocità, le Banche che riciclano denaro sporco se la cavano soltanto con una multa.

Il caso è relativo al colosso bancario HSBC che è stato accusato e condannato del riciclaggio di miliardi di dollari che provenivano dai cartelli della droga messicani o dei gruppo legati ad Al Quaeda.

Lo scandalo vero però non è questo ma il comportamento sanzionatorio adottato dal Dipartimento di Giustizia. Non solo ha concesso all’istituto di credito di evitare un processo che ne avrebbe
danneggiato l’immagine. Gli ha permesso di cavarsela soltanto con una multa di 1,9 miliardi di dollari.
Una cifra che messa in questo modo potrebbe significare molto ma in un contesto dove girano miliardi e miliardi di dollari all’anno è davvero una cifra irrisoria, quasi come il pagamento di una multa da cento euro per chi ne guadagna duemila al mese.

Nessuno degli alti dirigenti dell’istituto di credito si è dovuto presentare in aula e nessuno ha pagato col carcere il grave reato finanziario commesso. Alla faccia di quegli automobilisti ubriachi che restano anche settimane e settimane dietro le sbarre soltanto per aver bevuto troppo o per aver guidato a folle velocità. Un privilegio , quello dei banchieri, che supera i confini degli stati e a cui nessuno è riuscito a mettere fine.

Un messaggio che ha lanciato anche Matt Taibi redattore di Rolling Stone e autore di Griftopia: Una storia di banchieri e di politici, e la più audace presa di potere nella storia americana.

“La cosa sorprendente di questa logica –si legge su ComedonChisciotte.it – è che ribadisce esattamente un concetto contrario alla verità. Il messaggio che si manda a tutti, quando  le banche commettono crimini e nessuno viene punito, è che le banche possono farlo di nuovo. Quando si capisce che non c’è nessuna sanzione penale, se si commettono anche i più evidenti tipi di reato, quello che viene in mente a tutti, anche agli investitori di tutto il mondo, è che il sistema bancario è intrinsecamente pericoloso. E così, il messaggio è che questa non è affatto una mossa giusta per conservare il sistema bancario. In realtà, questa è una mossa incredibilmente distruttiva che mina la fiducia nell’intero mondo del sistema bancario. E’ una decisione incredibile che sorprendentemente viene condivisa anche da gente della comunità finanziaria”.

C’è di più: la banca in questione ha violato la legge sul segreto bancario facendo circolare 9 miliardi di dollari che non sono stati controllati come diceva la legge. Crimini perpetrati all’aria aperta e per i quali nessuno pagherà mai per davvero. E tutto finisce con una multa che al massimo potrà essere reintegrata con due mesi di utili.
soldi
IL CASO GRAN BRETAGNA, LA STANDARD CHARTERED-
Dagli Stati Uniti alla Gran Bretagna il discorso non è tanto diverso. Infatti la Standard Charteted Bank (Britannica) è stata accusata dal dipartimento dei Servizi Finanziari di New York proprio perché una filiale americana aveva nascosto l’identità di clienti iraniani tra il 2001 e il 2010.

Un fatto che si sarebbe verificato su circa 60mila transazioni che avrebbero fruttato la “modica cifra” di 250miliardi di dollari, denaro ricevuto grazie a spese bancarie legate alle sue attività in Iran. Accuse che sarebbero confutate in 30mila pagine di documenti comprese mail interne alla Scb che descrivono le violazioni internazionali.  Le transazioni in dollari si concludevano nelle banche europee del Regno Unito e nel Medio Oriente. Erano liquidate attraverso la filiale di New York.  E anche per questo caso è previsto soltanto il pagamento di una multa e il licenziamento di alcuni impiegati di basso profilo.  Anche in questo caso la parola d’ordine è una sola: privilegio.
standard chartered
IL CASO SVIZZERA E LA LIBOR.
E negli scandali delle grosse banche privilegiate dal sistema non poteva mancare la Svizzera.Coinvolta perché Ubs (Unione Banche Svizzere) ha annunciato di essere giunta a un patteggiamento di 1,5 milioni di dollari per porre fine allo scandalo Libor.

Il patteggiamento è stato effettuato grazie a un accordo con le autorità degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Svizzera stessa.  Anche qui niente processi, niente arresti e pagamenti pecuniari irrisori facilmente recuperabili. In un’unica parola: privilegi.

Cosa è avvenuto in questo caso? E’ stato manipolato l’indice di riferimento interbancario, sulla base di cui si calcolano gli interessi dei mutui. La banca ha ritenuto di riconoscersi colpevole dell’accusa di frode per aver manipolato i tassi benchmark, incluso lo yen libor della sua filiale giapponese.
Una sanzione tre volte più ampia di quella inflitta alla britannica Barclay’s che aveva commesso lo stesso reato e ha pagato 450milioni di euro.

Ma oltre alla multa cosa succederà? Anche qui una sanzione irrisoria che colpisce dal basso. In quaranta infatti lasceranno l’istituto ma i capi rimarranno al loro posto nonostante è prevista una grave perdita che arriverà da questa multa.

Sembrerebbe a questo punto riduttivo ma è così: i banchieri vengono protetti in ogni dove e non rischiano da nessuna parte né le patrie galere e nemmeno (caso italiano) di finire in braghe di tela.
Chi paga per l’ennesima volta? I cittadini puniti anche per il minimo sbaglio.
libor2000EFF
 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 
Unione Europea: tedeschi e francesi sono i primi a predicar bene e a razzolare male.
unione-europeaUnione europea: ognuno per sé Dio per tutti

«Tedeschi e francesi sono dunque i primi a predicar bene e a razzolare male: chiedono ai periferici di subire il salasso in nome della salvezza dell’Unione ma sono proprio Germania e Francia che per primi respingono ulteriori cessioni di sovranità. A dimostrazione che gli Stati nazionali, se sono tali, non hanno alcuna intenzione di farsi da parte. Solo ai “debitori” vien chiesto di immolarsi sull’altare della moneta unica».

Divergenze tra banchieri centrali
Dopo la Fed americana e la Banca centrale canadese, anche la Banca d’Inghilterra si avvia ad abbandonare il dogma dell’inflation targeting.

Allo scopo di stimolare la ripresa dell’economia, la politica monetaria continuerà ad essere espansiva (tassi a zero costanti) anche a costo di veder salire i prezzi oltre la soglia prefissata. Si ammette, scoperta dell’acqua calda, che l’inflazione è un fenomeno che non dipende in prima istanza dalla quantità di moneta messa in circolazione. Ben Bernanke è stato esplicito, la Fed prenderà come indicatore principale il tasso di disoccupazione, che dovrà essere portato al 6,5%. [1]
unione europa
Se avesse fatto questo annuncio prima delle elezioni, si sarebbe detto che si trattava di una mossa per facilitare la rielezione di Obama. Invece l’ha detto a rielezione compiuta, a dimostrazione che questa grande crisi sta conducendo le banche centrali anglosassoni ad abbandonare la dottrina monetarista per rispolverare quello che potremmo definire un keynesismo temperato.

Non è dello stesso avviso la Bce di Draghi. Vero è che Francoforte, dall’inizio della crisi finanziaria ha portato il suo bilancio a oltre i tremila miliardi di euro, ma solo allo scopo di salvare le banche dalla bancarotta e non nell’ottica anticiclica di stimolare la ripresa. Pochi giorni prima che i banchieri anglosassoni annunciassero la loro svolta, Draghi, in quel di Budapest, dopo aver definito “irresponsabile” la politica del governo ungherese — “è inaccettabile far leva sull’inflazione per abbassare il debito pubblico” — ribadiva i due dogmi intangibili su cui è stata costruita l’Unione economica europea e che tanti danni hanno procurato, anzitutto ai paesi “periferici”: «Un requisito chiave della credibilità della politica monetaria è l’indipendenza della banca centrale. Alla fine il successo nel mantenere la stabilità dei prezzi dipende dalla credibilità» e quindi difesa intransigente dei Tratti europei e dello statuto della Bce. [2]
unione-europea allargamento
Soluzione greca
Di terapie keynesiane, per quanto temperate, Draghi, per nome e per conto del dominus dell’Unione, ovvero della Germania e della Francia di Sarkhollande che gli funge da spalla, non ne vuole sentir parlare. Quale sia il loro paradigma è evidente e lo stanno sperimentando sulla carne viva del popolo greco. È il modello export oriented, ovvero tutto il contrario del fare leva sulla crescita della domanda aggregata keynesiana (aumento del potere d’acquisto dei salari e intervento massiccio della spesa pubblica).

I mercati, leggi la grande finanza predatoria che lucra sui debiti sovrani, hanno festeggiato il successo del buyback — il riacquisto da parte del governo di Atene a prezzi scontati di circa 30 miliardi di titoli in mano ai creditori ad un prezzo di poco più di un terzo del valore nominale. Adesso la Grecia potrà ricevere gli “aiuti” internazionali promessi (43,7 miliardi), ovvero indebitarsi ancora di più. Sembra una logica folle, ma non lo è. Impiccato ai debiti, il governo ellenico sta ficcando il suo popolo sul Letto di Procuste, allo scopo dichiarato di portarlo alla fame e così obbligarlo a lavorare per salari da terzo mondo (la chiamano “competitività). Lo scopo non è solo raggiungere il pareggio di bilancio, ma passare dal disavanzo delle partite correnti ad un avanzo. In parole povere: crollo dei consumi interni attraverso un forte calo delle importazioni, per ottenere un aumento del surplus commerciale con l’estero.

Si tratta della medesima terapia-salasso imposta a tutti i Piigs, tra cui l’Italia. Draghi si è così felicitato per il “successo” delle draconiane misure d’austerità imposte ai “periferici”. Nel corso del suo intervento al Parlamento europeo Draghi ha testualmente dichiarato:

«È incoraggiante constatare che ora la correzione degli squilibri è chiaramente in corso. Per esempio le esportazioni di beni e servizi in Spagna sono aumentate del 27% dal 2009, del 14% in Irlanda, del 22% in Portogallo e del 21% in Italia. Questi quattro Paesi stanno anche assistendo a miglioramenti dei costi unitari del lavoro».
Europa Europe 3D
Tutto va bene madama la marchesa. Ci vuole la faccia tosta di Draghi per considerare questo indicatore come determinante, dimenticando il crollo della produzione industriale che ha spazzato via milioni di posti di lavoro, portato alla chiusura di centinaia di migliaia di aziende, abbassato drasticamente i consumi e portato in Italia il rischio di povertà al 30%

Ma questo è esattamente quello che vogliono Draghi e la setta dei neoliberisti: ottenere la “crescita” attraverso la “competitività” facendo deliberatamente leva sull’aumento della miseria sociale. Si salveranno così l’Italia e gli altri Piigs? Certo che no, ma si salveranno le grandi banche d’affari e con loro la bisca globale dove il capitale finanziario gioca d’azzardo la sua liquidità e le sue rendite.

La camicia di forza dell’euro

Così si vogliono salvare l’Unione europea e la moneta unica, che ne costituisce la spina dorsale. Ci riusciranno? No che non ci riusciranno. Le terapie adottate non conducono al superamento dei profondi squilibri regionali interni all’Unione e che l’euro ha fortemente accentuato. Le terapie neoliberiste, in barba ai proclami, stanno consolidando questi squilibri, li stanno pietrificando, creando un’Europa di serie A e una di serie B, dove i paesi periferici diventeranno una specie di colonia interna, fornitori di forza lavoro a basso costo e di semilavorati per l’industria tedesca e dei suoi satelliti e, attraverso il ricatto dei debiti sovrani, erogatori di risorse finanziarie per tenere in piedi i traballanti sistemi bancari dei paesi di serie A e con essi tutta la famelica finanza speculativa globale.

Questo è l’esito delle politiche liberiste, dell’accanimento terapeutico a tenere in vita l’euro zombi. Si sapeva che il cambio fisso tra valute di paesi strutturalmente diversi non può che portare a squilibri crescenti delle partite correnti, e che per mantenersi a galla i paesi più deboli avrebbero dovuto gioco forza, fare leva su drastiche e antipopolari politiche deflazionistiche. L’euro è stato come una camicia di forza per l’economia italiana. Alienata la sovranità monetaria il paese è stato privato di un mezzo decisivo (tra cui la svalutazione competitiva) per difendere se stesso dall’assalto dei competitori internazionali e quelli che si rivelano i più devastanti non sono fuori dalla Ue ma dentro. Come sostiene Alberto Bagnai, l’euro non è solo una moneta, è un regime politico. [5]
bilancio_2011_-_capitoli_spesa
Disunione europea
Per quanti sforzi facciano in senso contrario, gli apprendisti stregoni dell’euro falliranno. Gli spirti che hanno suscitato non spingono verso una maggiore integrazione ma, al contrario, verso la disintegrazione dell’Unione e quindi la fine della moneta unica. Tra le due tendenze, quella alla definitiva unificazione politica dell’Unione (la quale implica tra le altre cose un’unica politica di bilancio, una unica politica fiscale e quindi la mutualizzazione dei debiti sovrani) e quella opposta, alla risovranizzazione nazionale, è quest’ultima che, sul medio periodo, si affermerà.

I seguaci del partito unico eurista percepiscono questo fallimento del loro disegno e se la vanno prendendo coi “populismi nascenti”. La lotta contro questi presunti populismi sta anzi diventando il loro cavallo di battaglia, il loro spaventapasseri. A ben guardare le cose stanno diversamente, stanno che gli euristi sono impigliati nelle loro stesse insolubili contraddizioni e la minaccia del populismo è solo un parafulmine, uno schermo dietro al quale nascondere le loro stesse divisioni.

E’ bastato che la finanza speculativa, rassicurata dalla promessa di Draghi dell’estate scorsa, cessasse di stare col fiato sul collo dell’euro, che le divisioni sono tornate a galla più acute di prima.
Due casi, a questo riguardo, sono davvero istruttivi. Il mancato accordo sul bilancio dell’Unione e il pasticcio sulla vigilanza bancaria. Sul bilancio, apparentemente, il disaccordo verteva sulla consistenza dei tagli da apportare. 80 o 100 come chiedono gli inglesi? Se si tiene conto che il bilancio annuale dell’Unione europea ammonta a circa 142 miliardi di euro (dati del 2011), ci si rende conto dell’assurdo. Un’Unione che pretende di procedere verso una progressiva unificazione politica e che ha un bilancio che corrisponde al misero l’1% della ricchezza prodotta ogni anno, discute non di aumentarlo ma di tagliarlo. Tanto più assurdo se si pensa che quest’Unione, almeno nei desiderata recentemente confermati dal presidente del Consiglio europeo Van Rompuy, prevede in due anni l’unificazione delle politiche di bilancio e la definitiva cessione di sovranità politica degli stati membri. [6] Se si accapigliano sull’entità dei tagli al già castigato bilancio come potranno passare ad un bilancio unico?
report_disunione
Ed infatti il summit dei capi di governo della Ue del 13 e del 14 dicembre il piano di van Rompuy non l’ha minimamente preso in considerazione. Se ne parlerà più avanti, alle calende greche.
I tecno-oligarchi europei, seguiti dai primi ministri e dai presidenti dei vari paesi hanno pensato bene di camuffare le loro irriducibili divisioni spacciando l’accordo sulla vigilanza bancaria come un “grande successo”. Ma anche qui non è tutt’oro quel che riluce. E’ vero, la Bce avocherà a se, entro il 2014, la vigilanza sulle circa 200 banche considerate sistemiche, to big to fail, togliendola dalle mani delle diverse banche centrali. Ma da qui a dire che è stato fatto un passo decisivo verso l’unione bancaria ce ne vuole.

Anzitutto non è un cambiamento di sostanza, visto che le attuali banche centrali sono già mere filiali della Bce ed a Francoforte ubbidiscono e per conto della Bce vigilano già de facto. In secondo luogo non è stato trovato un dispositivo per risolvere le crisi bancarie, ciò implicherebbe che i vari paesi accettino di mettere in un fondo comune le risorse per farvi fronte. Questo a conferma, usiamo una metafora, che gli “egoismi nazionali” continuano a prevalere sui cosiddetti interessi comuni. «Ammette un responsabile europeo: “In molti paesi, non c’è in questo momento appetito per una condivisione dei rischi”».

In terzo luogo la vigilanza non si estende alle circa 4mila banche dell’Unione, mentre la crisi dei muti sub-prime del 2007-2008 negli Usa fu innescata dal fallimento di banche medie e piccole (e solo dopo raggiunse colossi come la Lehman Brothers). Last but not least lo stratagemma di sottoporre a vigilanza solo le banche cosiddette sistemiche è stata una clausola fortemente voluta dalla Merkel proprio per proteggere la fitta rete di scassate sparkasse tedesche, che il governo di Berlino da anni sostiene lautamente aggirando i Trattati.
unione-europea1
Tedeschi e francesi sono dunque i primi a predicar bene e a razzolare male: chiedono ai periferici di subire il salasso in nome della salvezza dell’Unione ma sono proprio Germania e Francia che per primi respingono ulteriori cessioni di sovranità. A dimostrazione che gli Stati nazionali, se sono tali, non hanno alcuna intenzione di farsi da parte. Solo ai “debitori” vien chiesto di immolarsi sull’altare della moneta unica.

Per tornare al recente vertice europeo: si istituirà una vigilanza monca, ma siamo ben lontani dall’istituzione di un meccanismo comune per disinnescare la bomba prossima ventura, quella di default bancari a catena, né il recente vertice europeo ha minimamente tentato, dato che sul tavolo c’era la questione bancaria, di porre rimedio al credit crunch, ovvero al paradosso che le banche, pur essendo satolle grazie alla liquidità fornitagli dalla Bce, la usano non per farla circolare nell’economia che produce ricchezza reale, ma la fanno volteggiare nell’iper-spazio della finanza speculativa. Ognuno per sé, Dio per tutti. Tutto come prima quindi, ma sempre peggio.

E siccome l’economia materiale, quella che crea beni e servizi, è in profonda depressione, tenendo conto che le terapie d’austerità ce la inchiodano, è facile prevedere come ineluttabile lo scoppio di una bolla finanziaria europea di enormi proporzioni. La finanza farà la fine di Icaro che, deciso a volare e costruite le ali con la cera, una volta preso il volo, avvicinatosi troppo al sole, questo ne sciolse la cera e finì per schiantarsi in mare. Il piccolo dettaglio è che con questa bolla si schianterà anche l’euro, rendendo vani tutti gli immensi sacrifici che i popoli, tra cui il nostro, sono stati condannati a sopportare.

Ci dicono: non è la prima volta che fate questa previsione ma la papera ancora galleggia. Signori, non siamo una Sibilla Cumana, non sappiamo il quando, noi vi indichiamo qual è la tendenza, che il destino dell’euro è segnato e che chiunque abbia a cuore quello dei popoli dovrebbe, invece di aggrapparsi ad uno zombi, agire per riconquistare la sovranità ed evitare la catastrofe.
Euro domino piigs
NOTE:
[1] Riccardo Sorrentino, Il Sole 24 Ore del 16 dicembre
[2] Il Sole 24 Ore del 8 dicembre
[3] Il Sole 24 Ore del 17 dicembre
[4] Rapporto Istata sulla coesione sociale, LA STAMPA del 18 dicembre
[5] Alberto Bagnai, Il tramonto dell’euro
[6] Corriere della Sera del 5 dicembre
[7] Beda Romano, Il Sole 24 ore del 13 dicembre
 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 
Il Natale in Francia viene celebrato in modo differente a seconda della località e della regione di appartenenza.
natale_franciaIl Natale in Francia viene celebrato in modo differente a seconda della località e della regione di appartenenza.
Accanto ad una tradizione più che altro commerciale, vissuta in particolare nelle grandi città turistiche come Parigi, si affiancano quelle appartenenti ad una cultura più popolare.

Regioni come l'Alsazia o città come Strasburgo, Colmar o Marsiglia, diventano così luogo prediletto per i classici mercatini di Natale, ricchi di illuminazioni, botteghe artigianali, decorazioni e una gustosa gastronomia natalizia.

tolosa_natale
L'usanza nella famiglia francese è quella di preparare il presepe natalizio, formato da piccoli statuine d'argilla (che chiamano santouns), vestite con i costumi tradizionali. Rappresentano i personaggi del proprio paese, come il sindaco, il parroco, le maestre, il farmacista e così via, che vanno ad aggiungersi alle classiche figure di sempre.

La tradizione è stata tramandata di generazione in generazione sin dal diciassettesimo secolo, ed è molto viva soprattutto nelle località della Provenza (Marsiglia, Aix en Provence o Augagne).

I bambini amano in particolare la figura del piccolo Ravi, un allegro personaggio che con una lanterna fa luce verso il sentiero in direzione del presepe. Il Natale a Marsiglia, si arricchisce delle celebrazioni della Fiera dei Santoun, una grande mostra di presepi dalla grandissima precisione e realismo.
Parigi-a-Natale-450x308
I bambini francesi ricevono i doni da Gesù Bambino (Petit Jésus) o da Pere Noel, assistito dal devoto Pre Fouettard, che ha il compito di ricordare al barbuto babbo natale il comportamento di ogni bambino durante l'anno appena trascorso. In alcune parti della nazione (nel settentrione) il Babbo Natale usa fare visita ai bambini per ben due volte: il 6 dicembre, nel giorno di San Nicola e il giorno di Natale.

L'usanza inoltre vuole gli adulti scambiarsi i regali non il giorno di Natale, bensì quello di Capodanno, il giorno di Saint-Sylvestre. Nel Nord della Francia, il periodo natalizio viene preannunciato dalla festa di San Martino, dove i bambini vengono impegnati a costruire delle tipiche lanterne, usate poi per andare cercare il santo e il suo fidato asinello. In altre parti della Francia, i bambini usano lasciare le proprie scarpette vicino al camino, per essere riempite con frutta, dolci e noci dal Babbo Natale.
natale francia
Ogni regione francese conserva le proprie tradizioni con orgoglio. In Provenza per esempio, l'atmosfera natalizia viene impreziosita dai canti tipici degli antichi pastorali e dalle tante luci dei tradizionali falò, fatti con il classico ceppo d'abete.
 
Nel piccolo paesino di Carprentràs, sempre in  Provenza, si usa invece dedicare alla Madonna un vaso di rosa di Gerico (Selaginella lepidophylla), una pianta particolare proveniente dalla Terra Santa. La leggenda vuole che la Vergine Maria in viaggio verso Nazareth benedì la pianta con la vita eterna. Nelle località di mare, si ha la tradizionale pesca natalizia, da non perdere quelle di Nizza o anche Cannes.
natale-parigi
La Francia nel periodo di Natale diventa un luogo dalle atmosfere incantate, uno dei periodi più belli per visitarla. Consigliamo la lettura delle pagine seguenti, dedicate alle città francesi in dettaglio.
Il-Natale-in-Francia_02
 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 

dicembre 08, 2012

La Exxon odia i vostri bambini, un messaggio forte e preoccupante quello lanciato in America.
exxonLa Exxon odia i vostri bambini. Un messaggio forte e preoccupante quello lanciato in America. Un falso spot televisivo di Exxon, una delle principali compagnie petrolifere statunitensi di rilevanza mondiale, mostra un dipendente della società intento a sottolineare i vantaggi economici del petrolio, senza dare alcuna importanza al clima e soprattutto alla salute delle generazioni che verranno.

“Sappiamo tutti che la crisi climatica lacererà il mondo e i vostri figli, ma non ci interessa, perché ci farà ricchi” dice l’uomo nello spot. L’indifferenza delle lobbies del petrolio finirà per portare il pianeta alla rovina. E’ questo il senso della campagna ExxonHatesYourChildren.com portata avanti da Oil Change International e The Other 98%, che sta tentando di convincere il Congresso americano ad eliminare i sussidi destinati ai combustibili fossili.

I due gruppi stanno tentando di far circolare i loro annunci nei mercati in cui si trovano anche quelli dell’American Petroleum Institute, con un messaggio molto diverso. Se la società petrolifera nel suo spot sostiene che l’oro nero è utile, “per lo sviluppo energetico perché produce più posti di lavoro, di reddito e di energia”, lo spot pubblicitario invece punta il dito contro la multinazionale del petrolio, che “mette profitti al di sopra dell’azione contro il cambiamento climatico”.

Dicono gli attivisti: “Immaginate che il vostro governo abbia affidato ad una società un affare, la costruzione del tuo parco giochi locale. Poi, che la società abbia scaricato rifiuti tossici dove i vostri bambini giocano tutti i giorni, solo perché era la cosa più redditizia da fare”. Tale società è Exxon, il parco giochi è il nostro pianeta, e l’affare ricevuto sono le massicce elargizioni governative, denunciano.
Exxon-logo_0
Cosa fare? Proteggere i propri figli sarebbe la prima cosa, esigendo anche che la società in questione ripaghi interamente i danni, fino all’assistenza medica necessaria per i bambini danneggiati dalle conseguenze dell’inquinamento. Infine, basterebbe che il governo smettesse di sostenere con i sussidi tali società. Il fatto che la società continui a produrre, inquinando, per Oil Change International e The Other 98%, significa solo una cosa, che odia i bambini.
 
Ma su The Hill la società ha accusato i due gruppi di aver fatto una campagna troppo aggressiva chiamando in causa i più piccoli: “La campagna è offensiva per le migliaia di lavoratori della ExxonMobil e gli appaltatori che lavorano duramente ogni giorno per fornire un prodotto essenziale in modo sicuro e nel rispetto dell’ambiente”. Inoltre, secondo Exxon, “il consumo di energia e il cambiamento climatico sono sfide importanti e critiche che attendono la società ma che non saranno risolte con campagne mediatiche che si basano sul linguaggio provocatorio e false accuse”.

La Exxon ha dunque storto il naso, guardando alla forma ma alla sostanza del messaggio, condivisibile in tutte le sue sfaccettature. Le società petrolifere continuano a prosperare indisturbate, aiutate dai governi, incrementando l’inquinamento, danneggiando la salute del pianeta e dei suoi abitanti, in primis i bambini, e provocando un aumento delle temperature globali. Anche in Italia, Legambiente ha denunciato il fatto che ogni anno la quantità di sussidi a sostegno delle fonti fossili cresce sempre di più.

È tempo di “smettere di alimentare il disastro climatico” che grava sui contribuenti a livello mondiale. Per questo gli attivisti americani che hanno realizzato lo spot hanno inviato un appello al Congresso e al Presidente Usa, chiedendo di lavorare insieme per eliminare tutti i sussidi ai combustibili fossili. Un’altra denuncia, di recente, è stata fatta attraverso il cortometraggio di Greenpeace, Uno al giorno, secondo cui il carbone provoca una morte prematura al giorno.
 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 
La povertà è il più grosso business che i ricchi abbiano mai inventato, un vero e proprio bombardamento sociale.
La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito “dibattito”, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di “rigore”.

In realtà il bombardamento sociale del “rigore finanziario” non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili. Anche il “rigore” è un business, ed il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business.

In questi anni è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali. La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente.

Pochi giorni fa il governo tedesco ha potuto annunciare trionfalmente che l’obiettivo del pareggio di bilancio è stato raggiunto con un anno di anticipo, e ciò soprattutto grazie al fatto che la Germania ha potuto finanziare il suo debito pubblico a tasso zero, poiché, contestualmente, sono stati i Paesi del Sud dell’Europa non solo a pagare tassi di interesse più alti, ma anche ad indebitarsi maggiormente. Dopo un anno in cui ci si era sempre detto che “il problema è il debito”, si è poi scoperto che il governo Monti non soltanto non ha ridotto il debito pubblico, ma lo ha aumentato. Il cosiddetto “spread” si è rivelato così una tassa sulla povertà, un’elemosina dei poveri nei confronti dei ricchi.
poveri
Procede intanto l’addestramento dei poveri all’uso degli strumenti finanziari. Il governo Monti ha rilanciato la “Social Card” di tremontiana memoria, annunciando la sperimentazione in alcune città e Regioni di una nuova versione familiare della carta. Viste le cifre in ballo per questa carta prepagata, il vantaggio per le famiglie è pressoché inesistente, semmai il vantaggio è per BancoPosta che la gestisce.
Lo scopo della social card è in realtà quello di allargare il target dei servizi finanziari. Nata negli USA, anche lì “in via sperimentale”, la Social Security Card si è diffusa a macchia d’olio, tanto che i fruitori della carta nel 2013 ammonteranno già a dieci milioni, secondo le stime di Comerica, l’istituto di credito di Dallas a cui il Tesoro americano ha affidato il business.

I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari. Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario. Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma oggi c’è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito.

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria”. Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere.
 
Il governo britannico ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario.
poverta-pensioni
Anche la Banca d’Italia ha impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito.

La Banca Mondiale, nella sua veste di agenzia specializzata dell’ONU, rappresenta l’avanguardia in questo progetto di soccorso mondiale agli “unbanked”. Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale sino al luglio scorso, ha profuso più di tutti il suo personale impegno nella “financial inclusion”. Zoellick costituisce il prototipo del perfetto bombanchiere: proviene da Goldman Sachs e, nel periodo in cui ha fatto parte dell’amministrazione Bush, è stato uno dei promotori più zelanti dell’aggressione all’Iraq. Zoellick è anche un ospite d’onore, pressoché fisso, del Consiglio Atlantico della NATO.

Le banche in questo periodo hanno una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare.

L’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico, sarebbe invece quella di rendere definitiva la “financial inclusion”, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli.


 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 
L’Argentina ha incassato in meno di una settimana due vittorie all’insegna della difesa della propria sovranità economica.

L’Argentina ha incassato in meno di una settimana due vittorie all’insegna della difesa della propria sovranità economica e dell’indipendenza nazionale.

La prima di tipo giudiziario e l’altra più politica consistente in una iniziativa legislativa che riveste un grande significato per il Paese sudamericano che con Cristina Kirchner sta rinnovando tutti i grandi temi della tradizione peronista e che per questo si è attirata la piena ostilità della finanza Usa e del suo maggiordomo alla Casa Bianca.


La corte d’appello di New York ha bloccato l’attuazione della sentenza emessa la settimana scorsa dal giudice federale,Thomas Griesa, con la quale si intimava a Buenos Aires di pagare 1,33 miliardi di dollari ai detentori dei titoli che avevano respinto le due ristrutturazioni del debito nazionale nel 2005 e 2010, a seguito della bancarotta dichiarata dal governo argentino nel 2001. Detentori che, detto per inciso, sono esclusivamente fondi speculativi Usa che avevano presentato ricorso al tribunale di New York per ottenere il rimborso al valore nominale pieno di quei titoli in bancarotta e che essi avevano acquistato ad una cifra oscillante tra i 20 e i 25 centesimi per dollaro.

Una bella pretesa quella dei banditi di Wall Street ma che evidentemente ha trovato in un tribunale federale un altro bandito togato pronto a sostenerla. Griesa aveva stabilito che l’Argentina depositasse entro il 15 dicembre in un fondo di garanzia quei 1,3 miliardi di dollari pretesi dagli speculatori. La data nella quale l’Argentina dovrà pagare 3,3 miliardi agli obbligazionisti che hanno invece accettato le ristrutturazioni per una cifra tra il 60 e l’85%. Il giudice aveva infatti minacciato di bloccare questa seconda operazione, peraltro solo sul territorio Usa, il che avrebbe comportato quella che in gergo viene chiamata “bancarotta tecnica”.

La corte d’appello ha invece dato tempo fino al 27 febbraio al governo Kirchner di preparare una adeguata difesa che non potrà che dimostrare l’assurdità delle pretese dei criminali in livrea di Wall Street. Allo stesso tempo potranno essere rimborsati gli obbligazionisti che hanno accettato la ristrutturazione del debito. Non è un caso poi che la sentenza del giudice Griesa avesse seguito di pochi giorni il declassamento di ben cinque gradini dei titoli di Stato argentini da parte delle agenzie di rating Usa e l’aumento da 1.000 a 4.200 punti base delle quotazioni dei Cds (Credit default swaps) a 5 anni sul debito argentino, quei derivati che proteggono dal rischio di bancarotta.

La seconda vittoria ottenuta non dal governo della signora Kirchner ma dall’Argentina nel suo complesso consiste nella approvazione di una Legge al Senato che è diventata immediatamente operativa. Essa considera “immorale e illegale” qualunque forma di speculazione finanziaria sui mercati internazionali che sia basata sui derivati. Ma non solo: abolisce la possibilità tecnica delle speculazioni finanziarie in Borsa perché toglie alle banche e alle istituzioni finanziarie che operano in Argentina la possibilità di muoversi in maniera autonoma sul Mercato.
 
Argentinamap
L’economia torna in tal modo sotto il controllo del Parlamento e del governo visto che la legge stabilisce che la finanza resta e deve essere il braccio operativo dell’economia alla quale deve essere subalterna e che deve essere sottoposta al completo controllo dello Stato centrale in tutte le sue attività.
Di conseguenza le banche e le finanziarie internazionali potranno andare in Borsa o sui mercati dei capitali con l’unico obiettivo di investire subito i soldi così rastrellati  per l’apertura di crediti agevolati alle medie e piccole imprese, per investire in industrie nazionali e assumere nuovo personale. Combattere la disoccupazione giovanile resta infatti la priorità assoluta in campo politico, economico e sociale. Altrimenti, ha spiegato Cristina Kirchner, banche e società estere possono anche andare a investire in Europa dove li accoglieranno a braccia aperte.

Le banche ordinarie, ha spiegato il Presidente argentino, devono occuparsi di investire i soldi dei correntisti nell’economia reale, quella delle merci, e non quella della carta straccia. Lo Stato garantisce ogni tipo di risparmio e ogni forma di investimento, purché si riferisca all’economia reale. Chi vuole investire soldi nella finanza speculativa lo fa a proprio rischio e pericolo attraverso “banche speciali” che dovranno esporre un avvertimento alla clientela, nel quale si avverte che non esiste nessuna garanzia nazionale su tali operazioni.
 
Ricerca personalizzata
 
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog: 

Random Posts