Forse nessuno ci ha mai fatto caso, ma l'idea di utilizzare una lente negativa per ingrandire è vecchia di 400 anni.
Galileo Galilei (1564-1642) aveva sentito parlare di uno strano congegno brevettato in Olanda nel 1608 dal fabbricante di occhiali Haus Lippershey (o forse da Zaccaria Jansen, suo compagno di lavoro) che permetteva di mostrare vicini gli oggetti lontani. Lo scienziato pisano, pur non conoscendone la costituzione, riuscì a ricostruirlo sulla base di una serie di ragionamenti che ci sono stati conservati nelle sue opere e fu tra i primi a puntarlo sul firmamento, dedicandosi sistematicamente allo studio degli astri.
Il cannocchiale galileiano era concettualmente molto semplice: l'obbiettivo era costituito da una singola lente convergente, mentre l'oculare era ancora una lente singola, ma divergente (che per definizione si definisce negativa), contrariamente alla soluzione kepleriana che ne prevedeva una positiva. La lente oculare andava in questo modo collocata prima del fuoco, ossia verso l'obbiettivo (si veda lo schema qui sotto).
Anche in questo caso, come in tutte le configurazioni afocali, il fascio luminoso emergente dall'oculare doveva risultare parallelo, di modo da essere successivamente focalizzato dall'occhio. Tuttavia non è facile determinare il fuoco virtuale di una lente negativa, in quando le immagini prodotte, anch'esse virtuali, non si possono raccogliere su uno schermo. Se si conosce il potere diottrico della lente — che in questo caso sarà ovviamente negativo — è sufficiente farne l'inverso: se, per ipotesi, la lente ha -20 diottrie, la sua focale, in valore assoluto, è pari a 1/20 di metro, vale a dire 5 cm; in questo caso sarà quindi sufficiente sistemare la lente a 5 cm dal fuoco dell'obbiettivo. Se non si conosce il potere diottrico bisognerà procedere per tentativi, allontanando e avvicinando l'oculare all'obbiettivo e, nello stesso tempo, controllando la macchia luminosa che si produce su uno schermo bianco posto dietro il cannocchiale: quando viene raggiunta la condizione telescopica, la macchia luminosa, più o meno del diametro della lente oculare, non muta dimensioni spostando lo schermo avanti e indietro.
Il principale vantaggio di questo telescopio — che si potrebbe benissimo perfezionare sostituendo alle lenti singole dei doppietti acromatici di focale equivalente — è abbastanza immediato: trovandosi l'oculare prima del fuoco lo strumento risulta più compatto rispetto agli altri casi. Altro vantaggio è che l'immagine, essendo virtuale, è automaticamente dritta e per un impiego terrestre non occorrerebbero prismi raddrizzatori da inserire nel cammino ottico. Purtroppo, però, gli svantaggi non sono pochi:
• gli ingrandimenti ottenibili sono limitati e quindi non consentono osservazioni interessanti sui pianeti o sulle stelle doppie (i migliori cannocchiali costruiti da Galileo arrivavano sì no a 30x);
• non è possibile utilizzare in alcun modo un reticolo. Questo era già un inconveniente coi vecchi oculari Huygens o HM, come abbiamo visto, con la differenza, però, che con questi ultimi si potrebbe inserire un crocicchio tra le 2 lenti, se uno ha la pazienza di smontarle e rimontarle ogni volta; col galileiano invece sarebbe impossibile, perché il piano focale di fatto non esiste;
• la pupilla d'uscita cade all'interno dello strumento: essa è l'immagine (virtuale) dell'obbiettivo data dall'oculare e la si può vedere guardando entro quest'ultimo da una certa distanza; non è quindi possibile porre l'occhio in coincidenza con essa e per potersi avvicinare a tale condizione, se non si vuole avere un campo di veduta ridottissimo, bisogna letteralmente "incollare" l'occhio all'oculare.
• se pensate di diaframmare l'obbiettivo, per limitare l'ingresso di luce, come nella osservazione solare, o per ridurre eventuali aberrazioni residue, in realtà diaframmerete anche il campo visivo, già di per sé molto piccolo.
Tuttavia, questa insolita configurazione non è scomparsa al giorno d'oggi, perché è ancora sfruttata nei piccoli binocoli da teatro; per quanto siano spesso curati nell'estetica con meticolosità certosina e utilizzati come accessorio di classe dalle dame impellicciate che si recano all'opera, dal punto di vista astronomico sono poco più che dei giocattoli. Danno al massimo 3 o 4 ingrandimenti e sono scomodi da usare; se desiderate un binocolo tascabile è dunque meglio ripiegare su un compatto 8x20 o 10x25 coi prismi a tetto (e che potrete tranquillamente utilizzare anche a teatro).
Galileo Galilei (1564-1642) aveva sentito parlare di uno strano congegno brevettato in Olanda nel 1608 dal fabbricante di occhiali Haus Lippershey (o forse da Zaccaria Jansen, suo compagno di lavoro) che permetteva di mostrare vicini gli oggetti lontani. Lo scienziato pisano, pur non conoscendone la costituzione, riuscì a ricostruirlo sulla base di una serie di ragionamenti che ci sono stati conservati nelle sue opere e fu tra i primi a puntarlo sul firmamento, dedicandosi sistematicamente allo studio degli astri.
Il cannocchiale galileiano era concettualmente molto semplice: l'obbiettivo era costituito da una singola lente convergente, mentre l'oculare era ancora una lente singola, ma divergente (che per definizione si definisce negativa), contrariamente alla soluzione kepleriana che ne prevedeva una positiva. La lente oculare andava in questo modo collocata prima del fuoco, ossia verso l'obbiettivo (si veda lo schema qui sotto).
Anche in questo caso, come in tutte le configurazioni afocali, il fascio luminoso emergente dall'oculare doveva risultare parallelo, di modo da essere successivamente focalizzato dall'occhio. Tuttavia non è facile determinare il fuoco virtuale di una lente negativa, in quando le immagini prodotte, anch'esse virtuali, non si possono raccogliere su uno schermo. Se si conosce il potere diottrico della lente — che in questo caso sarà ovviamente negativo — è sufficiente farne l'inverso: se, per ipotesi, la lente ha -20 diottrie, la sua focale, in valore assoluto, è pari a 1/20 di metro, vale a dire 5 cm; in questo caso sarà quindi sufficiente sistemare la lente a 5 cm dal fuoco dell'obbiettivo. Se non si conosce il potere diottrico bisognerà procedere per tentativi, allontanando e avvicinando l'oculare all'obbiettivo e, nello stesso tempo, controllando la macchia luminosa che si produce su uno schermo bianco posto dietro il cannocchiale: quando viene raggiunta la condizione telescopica, la macchia luminosa, più o meno del diametro della lente oculare, non muta dimensioni spostando lo schermo avanti e indietro.
Il principale vantaggio di questo telescopio — che si potrebbe benissimo perfezionare sostituendo alle lenti singole dei doppietti acromatici di focale equivalente — è abbastanza immediato: trovandosi l'oculare prima del fuoco lo strumento risulta più compatto rispetto agli altri casi. Altro vantaggio è che l'immagine, essendo virtuale, è automaticamente dritta e per un impiego terrestre non occorrerebbero prismi raddrizzatori da inserire nel cammino ottico. Purtroppo, però, gli svantaggi non sono pochi:
• gli ingrandimenti ottenibili sono limitati e quindi non consentono osservazioni interessanti sui pianeti o sulle stelle doppie (i migliori cannocchiali costruiti da Galileo arrivavano sì no a 30x);
• non è possibile utilizzare in alcun modo un reticolo. Questo era già un inconveniente coi vecchi oculari Huygens o HM, come abbiamo visto, con la differenza, però, che con questi ultimi si potrebbe inserire un crocicchio tra le 2 lenti, se uno ha la pazienza di smontarle e rimontarle ogni volta; col galileiano invece sarebbe impossibile, perché il piano focale di fatto non esiste;
• la pupilla d'uscita cade all'interno dello strumento: essa è l'immagine (virtuale) dell'obbiettivo data dall'oculare e la si può vedere guardando entro quest'ultimo da una certa distanza; non è quindi possibile porre l'occhio in coincidenza con essa e per potersi avvicinare a tale condizione, se non si vuole avere un campo di veduta ridottissimo, bisogna letteralmente "incollare" l'occhio all'oculare.
• se pensate di diaframmare l'obbiettivo, per limitare l'ingresso di luce, come nella osservazione solare, o per ridurre eventuali aberrazioni residue, in realtà diaframmerete anche il campo visivo, già di per sé molto piccolo.
Tuttavia, questa insolita configurazione non è scomparsa al giorno d'oggi, perché è ancora sfruttata nei piccoli binocoli da teatro; per quanto siano spesso curati nell'estetica con meticolosità certosina e utilizzati come accessorio di classe dalle dame impellicciate che si recano all'opera, dal punto di vista astronomico sono poco più che dei giocattoli. Danno al massimo 3 o 4 ingrandimenti e sono scomodi da usare; se desiderate un binocolo tascabile è dunque meglio ripiegare su un compatto 8x20 o 10x25 coi prismi a tetto (e che potrete tranquillamente utilizzare anche a teatro).
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