L’art. 2 n. 17 del Regolamento (UE) 2019/2088 definisce come sostenibile «investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale, misurato, ad esempio, mediante indicatori chiave di efficienza delle risorse concernenti l’impiego di energia, l’impiego di energie rinnovabili, l’utilizzo di materie prime e di risorse idriche e l’uso del suolo, la produzione di rifiuti, le emissioni di gas a effetto serra nonché l’impatto sulla biodiversità e l’economia circolare o un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo sociale, in particolare un investimento che contribuisce alla lotta contro la disuguaglianza, o che promuove la coesione sociale, l’integrazione sociale e le relazioni industriali, o un investimento in capitale umano o in comunità economicamente o socialmente svantaggiate a condizione che tali investimenti non arrechino un danno significativo a nessuno di tali obiettivi e che le imprese che beneficiano di tali investimenti rispettino prassi di buona governance, in particolare per quanto riguarda strutture di gestione solide, relazioni con il personale, remunerazione del personale e rispetto degli obblighi fiscali».
Il tema degli investimenti sostenibili deve essere inquadrato in quello più generale degli investimenti tout court in quanto il Regolamento (UE) 2019/2088 si limita a disciplinare specificamente l’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari, intesi in senso ampio, intervenendo in particolare sulla trasparenza, sulle informazioni precontrattuali e sulla consulenza nel quadro di altri corpi normativi. Tali sono la Direttiva 2014/65/UE (MIFID II), relativa ai mercati degli strumenti finanziari, la Direttiva (UE) 2016/97 (IDD) sulla distribuzione assicurativa; a queste si aggiungono il Regolamento DLT Pilot e il Regolamento MICA che riguardano rispettivamente gli strumenti finanziari DLT e le cripto-attività (asset-referenced token comunemente definiti stablecoin, e-money token, utility token, tutte le altre tipologie di cripto-asset che non rientrano nelle tre precedenti categorie) nonché la Direttiva (UE) 2023/2673 sui contratti di servizi finanziari, bancari, assicurativi e di previdenza individuale stipulati a distanza tra professionisti e consumatori.
Il tema generale degli investimenti è complesso sia dal punto di vista economico, sia da quello normativo e lo è ancora di più quando si discorre di investimenti sostenibili, specie per coloro che non conoscono a fondo la materia.
QUALI RISCHI
Detta complessità discende dal fatto che in ogni investimento è immanente un rischio che non è sempre pienamente comprensibile da parte del consumatore. Com’è noto, i prodotti di investimento comportano l’impiego finanziario di un capitale a fronte di un’attesa di rendimento correlata al rischio sottostante. Siffatto rischio presenta due aspetti da considerare: quello economico dipendente dall’andamento dei mercati (influenzati da molteplici fattori come ad esempio la politica monetaria delle banche centrali, gli andamenti dell’economia reale, le catastrofi ambientali, i rivolgimenti sociali, le instabilità politiche di aree significative, le guerre) e/o delle attività dell’impresa emittente (ad esempio, scarse entrate, difficoltà congiunturali, crisi) che si riverberano sui rendimenti e anche sul capitale investito; quello giuridico connesso al tipo di prodotto finanziario acquistato, che può essere costruito in modo da mitigare o amplificare quello di mercato e dell’emittente con apposite tecniche (clausole di protezione totale o parziale del capitale, sua restituzione condizionata o subordinata, effetto leva ecc.). A tutto questo si deve aggiunge anche lo specifico «rischio di sostenibilità», definito dall’art. 2 n. 22 del Regolamento UE 2019/2088 come «un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell’investimento».
La disciplina italo europea che regola gli investimenti è dunque inevitabilmente caratterizzata dalla complessità e dalla elevata tecnicalità (in particolare, MIFID II e IDD recepite nel Testo unico della finanza e nel Codice delle assicurazioni private, oltre ai regolamenti delegati europei e a quelli della CONSOB e dell’IVASS). Per questo è importante conoscere almeno alcuni profili normativi più significativi che regolano le operazioni di investimento che il consumatore chiede agli intermediari assicurativi, finanziari e bancari.
LA NORMATIVA
A tal fine, occorre partire da alcuni punti essenziali della normativa. In primo luogo, occorre distinguere gli strumenti finanziari e i prodotti complessi dai prodotti misti assicurativi (PRIP – prodotti di investimento preassemblati -, IBIP – prodotti di investimento assicurativi collegati ad attivi sottostanti di vari rami -, PRIIP – prodotti di investimento e assicurativi preassemblati). Vi sono poi i prodotti finanziari sostenibili, ossia quelli che promuovono caratteristiche ambientali o sociali o hanno come obiettivo quello di produrre effetti positivi per l’ambiente e la società (considerando n. 21 del Regolamento 2019/2088).
Individuare in primo luogo la tipologia di prodotto in cui investire è molto importante in quanto le modalità di distribuzione cambiano proprio secondo il tipo scelto. In proposito, è opportuno evidenziare che la MIFID II, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, reca la disciplina più risalente, mentre la IDD è più recente; a queste si sono aggiunti il Regolamento DLT Pilot, il Regolamento MICA e la Direttiva 2023/2673. Il modello di regolazione alla base della MIFID II e della IDD e delle normative più recenti è improntato sulle regole di organizzazione che conformano l’attività e sulle regole di condotta che normano la distribuzione, ma quello sulla distribuzione assicurativa è più evoluto e, pur se in parte, più efficace.
Le tutele per i consumatori (inclusi nella categoria più ampia dei clienti al dettaglio) che la MIFID II, la IDD e, a seguire, le altre normative approntano, sono di regola collocate sia “a monte” sul piano dell’organizzazione e delle procedure interne degli intermediari, sia “a valle” su quello della distribuzione dei prodotti.
Sul piano della organizzazione la MIFID II prescrive la governance degli strumenti finanziari e dei prodotti complessi, consistente in un’articolata procedura di creazione approvazione e revisione degli stessi che impone agli intermediari di crearli in modo da soddisfare le esigenze e corrispondere alle caratteristiche di un preciso target di clientela al quale sono destinati. Significativo è il divieto di vendere un prodotto a tipologie di clienti diverse da quella per la quale è stato creato. Anche la IDD prevede la governance del prodotto, chiamata Product Oversight and Governance (POG) dei produttori e dei distributori, e contiene una più puntuale descrizione del contenuto delle varie attività di creazione, approvazione, monitoraggio, testing e revisione. La policy prevede misure adeguate nel caso dei prodotti suscettibili di arrecare pregiudizio ai clienti e individua le modalità per gestire correttamente i conflitti di interesse che possono insorgere nella fase di design o sopravvenire nel corso della vita del prodotto. Questa previsione è sicuramente efficace ai fini della protezione dei clienti e segna un avanzamento della tutela rispetto a quanto previsto dalla MIFID II che invece non contempla almeno espressamente analoga prescrizione. D’altra parte, come già evidenziato, la MIFID II pone dei divieti di vendere i prodotti alla clientela diversa da quella di riferimento, mentre la disciplina assicurativa non prevede questo divieto.
Sul piano della distribuzione sono previste delle regole di condotta che, in tutti i settori dispongono in primo luogo le informazioni precontrattuali da fornire al cliente, ma con delle differenze. Ad esempio, per i prodotti assicurativi sono regolati il KID (documento contenente le informazioni chiave), il DIP danni, il DIP vita e l’IPID per gli IBIP; per gli strumenti finanziari le informazioni riguardano ad esempio il prospetto informativo nel collocamento e i flussi informativi in sede di valutazione di adeguatezza e appropriatezza, alle quali si aggiungono le regole di informazione per i prodotti sostenibili, volte a rafforzare la trasparenza.
IL CONTRATTO
In sede di stipula del contratto, in estrema sintesi, dovrebbe accadere questo. Per gli strumenti finanziari e i prodotti complessi sono previste la valutazione di adeguatezza in caso di consulenza e di gestione individuale di portafogli di investimento e quella di appropriatezza per l’erogazione degli altri servizi, tranne l’ipotesi di modalità di sola esecuzione degli stessi. La consulenza dunque non è estesa a tutti i servizi come pure la verifica dell’adeguatezza del prodotto al profilo del consumatore (obiettivi di investimento, sostenibilità delle eventuali perdite, situazione finanziaria). Al contrario, per i prodotti assicurativi è sempre imposto l’obbligo di valutare l’idoneità del prodotto a soddisfare i bisogni del cliente e prescritto l’obbligo di consulenza, con la relativa valutazione di adeguatezza, per i prodotti finanziari IBIP: in questo settore la tutela del consumatore è quindi più elevata.
Per i prodotti finanziari, previdenziali e assicurativi distribuiti a distanza la Direttiva 2023/2673 (che ha un campo di applicazione residuale) regola l’informazione precontrattuale introduce una innovazione rispetto al precedente regime, disponendo che i professionisti sono tenuti «a fornire al consumatore spiegazioni adeguate sui contratti di servizi finanziari proposti» in un ulteriore documento per consentirgli di valutare se siano adatti alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria. L’obbligo di fornire spiegazioni adeguate è previsto in una modalità particolare quando il professionista fornisce dette spiegazioni tramite strumenti online interamente automatizzati, quali chatbot, robo-advice, strumenti interattivi o mezzi analoghi. Per far sì che comprenda gli effetti che il contratto può avere sulla sua situazione economica, nella fase precontrattuale il consumatore deve avere la possibilità di ottenere gratuitamente l’intervento umano durante l’orario di lavoro del professionista. Regole in parte diverse e tutele più avanzate sono contemplate dal Regolamento DLT Pilot e dal Regolamento MICA in ragione delle peculiarità di queste negoziazioni online e dei prodotti offerti.
Queste sono dunque le protezioni che la disciplina pone a favore del consumatore in sede di distribuzione dei prodotti finanziari, assicurativi e delle cripto-attività.
LE CRITICITÀ
Questa disciplina così articolata e differenziata presenta delle criticità che vanno affrontate partendo dalla considerazione che, in ogni caso, l’educazione finanziaria non basta per consentire al consumatore di investire correttamente secondo le sue esigenze: è certamente di aiuto, ma non è sufficiente per effettuare scelte adeguate ai propri bisogni e obiettivi di investimento in ragione della complessità dei prodotti di cui si è discusso.
In primo luogo, si deve rilevare che oramai non si distingue più agevolmente tra mercato finanziario, assicurativo e bancario anche in ragione della commistione dei canali distributivi: occorrerebbe allora creare regole di comportamento analoghe per tutti i prodotti, limitando le differenze là dove giustificate dal principio di proporzionalità. Questo aiuterebbe maggiormente i consumatori a scegliere consapevolmente e a controllare se sono state rispettate, e in che modo, le tutele che la normativa gli offre.
In secondo luogo, occorre semplificare le informazioni precontrattuali sulla falsariga dei documenti precontrattuali assicurativi. Non dovrebbe essere così difficile creare dei documenti informativi standardizzati che contengano gli aspetti essenziali del prodotto offerto, magari prendendo a modello le «spiegazioni adeguate» introdotte dalla Direttiva 2023/2673.
In terzo luogo, la tutela del cliente in sede distributiva può essere più efficace se si ricorre sempre alla consulenza o almeno alla valutazione di adeguatezza ai bisogni del cliente da applicare a tutti i tipi di prodotti. In effetti, la valutazione di appropriatezza, attualmente di troppo larga applicazione, serve soltanto a verificare se il cliente ha le conoscenze sufficienti a comprendere il prodotto che acquista, ma non offre alcuna tutela reale relativa all’adeguatezza del prodotto alle proprie esigenze: pertanto, andrebbe eliminata.
Anche la consulenza presenta, tuttavia, degli aspetti critici, costituiti dal conflitto di interessi che spesso induce l’intermediario a raccomandare prodotti non del tutto adeguati agli interessi del consumatore, ma idonei a realizzare prioritariamente i propri. Questo problema impone una riflessione sul miglioramento delle norme sulla consulenza. Si potrebbe pensare di imporre una consulenza che sia sempre indipendente, nel senso che imponga all’intermediario di prospettare al consumatore un’ampia gamma di prodotti presenti sul mercato e tra questi scegliere quello più adeguato; nel contempo. si potrebbe implementare quella erogata da consulenti terzi rispetto agli intermediari. In alternativa, più radicale, si potrebbe addirittura prescrivere soltanto quest’ultima: il cliente chiede una consulenza ad un terzo e poi si reca dall’intermediario per acquistare i prodotti raccomandati.
In conclusione, la maggiore uniformazione della disciplina, la semplificazione delle informazioni precontrattuali e la generalizzazione della valutazione di appropriatezza e della consulenza indipendente e/o erogata da soggetti indipendenti potrebbero essere le linee di sviluppo da seguire per rafforzare la tutela dell’investitore consumatore in un mondo che è sempre più complesso e orientato verso la sostenibilità.
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