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giugno 10, 2009

Per l'Italia la fiction: tra promesse fasulle e clamorose assenze como nel caso Fiat-Opel.

Per Berlusconi il reality: le feste in villa e i voli di Stato per gli amici.

Sono anni che alla Confindustria, in Banca d'Italia, all'Abi e in ogni sede dove si rappresentano interessi economici consistenti, scorrono fiumi di parole sulla compattezza del Paese e delle sue strutture di leadership. Fare squadra, organizzare cabine di regia, creare classe dirigente. Dopo avere assistito alla stupefacente prestazione dell'establishment italiano nella battaglia per la conquista di Opel, anche l'osservatore meno informato non può non restare sbalordito dal funzionamento delle nostre strutture di governo durante il negoziato con il governo della Repubblica federale e la presentazione da parte della Fiat del piano industriale per la gestione della casa automobilistica tedesca.
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Ci vuole niente, infatti, a riconoscere che si è trattato di un'autentica guerra asimmetrica. Da un lato si è vista la Fiat giocare la sua battaglia, con tutti i suoi limiti, tutta imprenditoriale e di mercato, di fronte allo schieramento dei poteri tedeschi, comprensivi del sindacato, dei Länder, delle banche, e delle coalizioni che si creavano intorno al 'kombinat' di Magna, entità austro-russo-canadese che fa da termometro dei rapporti fra l'economia della Rft e le opportunità ancora tutte da esplorare degli spazi economici con la 'demokratura' russa di Putin e Medvedev.

Da una parte, in sostanza, abbiamo visto schierata la potenza di relazioni e di potere politico del Paese centrale dell'Europa: era sufficiente verificare orientamenti e giudizi del ministro Karl-Theodor zu Guttenberg, il ruolo di perno diplomatico di Angela Merkel e l'azione di lobbying filorussa esercitata dall'ex cancelliere Spd Gerhard Schröder per accorgersi di uno schieramento difensivo poderoso, legato esplicitamente alla strategia di tutelare l'assetto neocorporativo dell'economia tedesca, la sua rete istituzionale e la sua futura proiezione globale.

"Una soap opera", l'ha definita l'ad della Fiat Sergio Marchionne; ma la definizione è riduttiva. Perché non mette nel giusto rilievo il completo squilibrio con cui si è giocata questa partita europea e mondiale: da una parte un blocco di potere politico coalizzato, connesso alle istituzioni politiche americane e alla presidenza di Barack Obama. Dall'altro un 'player' solitario, seppure galvanizzato dal successo nella trattativa 'global' con la Chrysler. Che si trattasse di un'impresa segnata dalla precarietà era scritto nel contesto. Come ha sentenziato sul 'Corriere della Sera' Sergio Romano, del governo italiano si è vista soprattutto "l'assenza". Fino a riconoscere che "non è edificante" il confronto "fra la serietà delle trattative di Berlino e la litigiosa frivolezza della politica italiana".
In queste condizioni, di cedimento strutturale della credibilità (e di esclusione totale dal vertice telefonico di Madrid fra Merkel e Obama), era come se il 'piccolo e brutto' capitalismo all'italiana volesse catturare il 'big government' della Germania. Quindi partita impari, che in certi momenti è sembrata sfociare in un velleitarismo incomprensibile. Se c'era un momento in cui si è rivelata la debolezza strutturale dei cosiddetti poteri forti, e in particolare delle strutture che presiedono alla politica internazionale del nostro Paese è stato proprio ciò che si è visto nelle fasi finali dell'asta per la Opel. I balbettii del ministro Claudio Scajola, capace soltanto di rispondere a ogni passaggio problematico che "esistono ancora margini per la Fiat", e le dichiarazioni del ministro dell'economia Giulio Tremonti secondo cui il governo tedesco ha cambiato in corsa le regole del gioco, rappresentano in realtà soltanto il segno visibile di un'impotenza.

In questi giorni abbiamo assistito in sostanza alla verifica effettiva del peso e della qualità della presenza italiana nel contesto internazionale. Da un lato un raider come Marchionne, deciso a trovare per la Fiat un ruolo fra i grandi giocatori mondiali dell'automobile. Dall'altro, quella sottile, anzi impalpabile trama di amicizie, di retorica, di improvvisazioni, su cui si gioca da anni l'azione, chiamiamola così, del governo italiano di destra.

L'asimmetria è fin troppo evidente. Anzi, clamorosa. In questi giorni è sembrato di assistere a un gioco strapaesano, in cui il provincialismo italiano l'ha fatta da padrone. Affiorerà anche al G8 dell'Aquila, si è visto nei mediocri trionfalismi romani di Roberto Maroni e Angelino Alfano nel G8 sulla sicurezza. Nel frattempo, il premier Berlusconi scherza sulle veline, si trucca con il fazzoletto magico da cavaliere mascherato, continua ad apparire sui luoghi del terremoto facendo promesse di case e crociere vestito come nei Soprano. Ma a guardare gli elementi oggettivi, i dati duri visibili sotto la partita Opel, viene voglia di dire che per la Fiat si è trattato di una sconfitta, ma per il governo italiano di una disfatta.

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