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agosto 03, 2009

Il “dopo Gaza”: Israele e Palestina in cerca di due unità

dopo_gaza Yasser Arafat e Ariel Sharon, i nemici di sempre, sono definitivamente consegna­ti al passato.

Il leader palestinese è morto nel 2004, mentre l'ex premier israeliano è stato colpito da una gra­ve emorragia cerebrale nel 2006 e da allora è in coma vegetativo.

È passato tanto tempo dalla fine della loro leadership, ma la loro visione del conflitto è tramontata solo negli ultimi mesi. Per Arafat, l'unica reale possibi­lità per il popolo palestinese di vede­re un giorno realizzato il sogno di una patria indipendente era legato all'uni­tà. Attorno alla sua figura, con metodi spesso discussi, Arafat era riuscito a creare un equilibrio quasi perfetto tra le varie anime della società palesti­nese: religiosi e laici, conservatori e progressisti rimandavano le eventuali divisioni al "giorno dopo", l'indomani della nascita dello stato palestinese. La sua morte, invece, ha innescato un processo di disgregazione totale: Hamas contro Fatah. Prima con gli stru­menti della politica, vicini a interessi e potenze internazionali contrapposti; poi con la forza delle armi.

Negli ultimi mesi, organizzazioni non governative internazionali e palesti­nesi hanno denunciato gravi viola­zioni commesse dai militanti di Fatah contro quelli di Hamas in Cisgiordania e viceversa nella Striscia di Gaza. Di fatto, in questo periodo Hamas ha comandato a Gaza e Fatah in Cisgior-dania. L'incubo di Arafat si è materia­lizzato.


Anche l'incubo di Sharon si è avvera­to il 10 febbraio scorso, giorno delle elezioni politiche in Israele. L'ex pre­mier israeliano, nel novembre 2005, tentò di realizzare un ardito disegno politico: la creazione di una sorta di partito unico in Israele, chiamato Kadima. Sharon era stato un simbolo del partito Likud, la formazione con-servatrice che fin dalla fondazione dello stato d'Israele si alternava alla guida del paese con i riformisti del Partito Laburista.

Un progetto politico rivoluzionario nella sua semplicità: creare un super partito, con i perso­naggi chiave del Labour e del Likud. uniti in un grande centro che avrebbe garantito quella stabilità di governo e la maggioranza dei 120 seggi del Parlamento israeliano. Le prove ge­nerali si tennero nell'agosto 2005: lo sgombero delle colonie ebraiche nella Striscia di Gaza venne votato da uno schieramento trasversale che permise a Sharon, all'epoca premier, di ottenere il risultato che riteneva determinante per raggiungere la pace alle sue condizioni.


Il10 febbraio scorso questo progetto è naufragato: il Kadima ha sì ottenuto un seggio più del Likud, ma l'ingovernabi­lità d'Israele è diventata endemica.


La guerra di Gaza tra armi non convenzionali e bloc­co degli aiuti umanitari
Tramontati i due leader storici e i loro progetti di unità, la situazione attua­le del conflitto israelo-palestinese è ancora più grave. Lo stato d'Israele, negli ultimi due anni, si è lanciato in due operazioni militari di grande vio­lenza: la campagna militare in Libano nel 2006 e l'operazione Piombo fuso nel 2008.


L'immagine internazionale del paese è stata danneggiata dalla riprovazione della comunità internazionale verso una soluzione armata che ha causato un elevato numero di vittime civili. Non solo, però, i problemi non sono stati risolti, ma le minacce da parte del gruppo sciita filoiraniano di Hez-bol/ah al nord e quella di Hamas al sud sono rimaste intatte. Si sono anzi rafforzate.

A livello mediatico, i due gruppi sono usciti come "vincitori" da entrambi i conflitti perché hanno resistito a una forza soverchiante e si sono potuti er­gere a paladini dei civili innocenti. Le condizioni umanitarie della Stri­scia di Gaza sono vicine al tracollo. Un bilancio definitivo dell'operazione Piombo fuso è molto difficile da fare, ma il quadro è disastroso: almeno 14 mila edifici completamente distrutti, 90 mila le persone che non hanno più una casa e, soprattutto, almeno 1.300

persone uccise durante l'attacco. Un capitolo a parte è rappresentato dai dìriti di armi non convenzionali, come le munizioni al fosforo (illegali se usate in aree densamente abitate) e le cosiddette Dime (Dense Inerte Metal Explosive).
Imedici non sapevano come comport­arsi di fronte a ferite mai viste prima e nella Striscia di Gaza non esistono laboratori in grado di analizzare i campioni di tungsteno (il componente principale delle Dime) ritrovati in div­erse abitazioni e all'interno dei corpi delle vittime. A causa dell'embargo, gli stessi campioni non possono essere portati all'estero.

Questo disastro si aggiunge all'em­bargo durissimo che assedia la Stri­scia di Gaza, rendendola una sorta di prigione a cielo aperto. Le carenze dei generi alimentari e di medicinali sono sempre più gravi, così come la scarsità di energia elettrica e di acqua potabile. Ilconflitto politico tra l'Egitto e Hamas ha privato la popola­zione civile palestinese dell'unica via percorribile per gli aiuti umanitari: il valico di Rafah.


La Cisgiordania non vive una condizio­ne migliore. Pur al sicuro dal dramma sanitario e alimentare della Striscia, la popolazione civile della Cisgior­dania continua a subire il quotidiano esproprio delle terre. Le colonie, negli ultimi mesi, sono au­mentate a dismisura, a scapito delle già scarse risorse ìdriche a disposizio­ne dei palestinesi e della disponibili­tà dei terreni coltivabili, occupati dai coloni o inclusi dal tracciato del muro di separazione che Israele costruisce dal 2002 oltre la linea di confine sta­bilita dall'Onu nel 1967.

L'accesso in Israele per i residenti palestinesi della Cisgiordania è sempre più arduo, pri­vandoli così di una delle poche possi­bilità di lavoro a loro disposizione. La faida interna tra Hamas e Fatati. almeno, sembra essersi fermata: a metà marzo hanno preso awio corso colloqui per esplorare la possibilità di un governo di unità nazionale che indica nuove elezioni.

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La nuova amministrazione de­mocratica Usa e la speranza di una mediazione internazionale
L'amministrazione Obama, per il mo­mento, non ha dato segnali che la­scino intendere quali siano i progetti Usa nella regione. La visita di John Kerry, il candidato democratico che ha sfidato perdendo George W. Bush nel 2004, nella Striscia di Gaza ha rot­to un tabù.


Vero che Kerry non ha incontrato direttamente gli uomini di Hamas, ma ha ricevuto da questi una lettera da presentare al presidente Obama grazie alla mediazione delle Nazioni Unite. Se questa mossa diplomatica cambierà qualcosa è presto per dirlo, ma una visita di un politico Usa così importante segna una decisa inversione di tendenza rispetto al recente passato.

Hamas, dopo la vittoria elet­torale del gennaio 2006, in elezioni che tanti osservatori elettorali hanno definito come le più trasparenti del Medio Oriente, era stato messo in quarantena dalla diplomazia inter­nazionale. Di conseguenza, dopo il conflitto interno che ha portato alla sostanziale espulsione di Fatah dalla Striscia, anche Gaza aveva pagato questo embargo.

Questa missione diplomatica, dunque, è un segnale positivo come lo sono le parole pro­nunciate dal nuovo segretario di sta­to Hillary Clinton, lo scorso marzo a Gerusalemme: «Israele e Palestina devono essere due stati». Resta, una volta ancora, da sperare che alle parole seguano i fatti e che l'amministrazione Obama s'impegni per una risoluzione equa del conflitto.

fonte: Emergency


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