Yasser Arafat e Ariel Sharon, i nemici di sempre, sono definitivamente consegnati al passato.
Il leader palestinese è morto nel 2004, mentre l'ex premier israeliano è stato colpito da una grave emorragia cerebrale nel 2006 e da allora è in coma vegetativo.
È passato tanto tempo dalla fine della loro leadership, ma la loro visione del conflitto è tramontata solo negli ultimi mesi. Per Arafat, l'unica reale possibilità per il popolo palestinese di vedere un giorno realizzato il sogno di una patria indipendente era legato all'unità. Attorno alla sua figura, con metodi spesso discussi, Arafat era riuscito a creare un equilibrio quasi perfetto tra le varie anime della società palestinese: religiosi e laici, conservatori e progressisti rimandavano le eventuali divisioni al "giorno dopo", l'indomani della nascita dello stato palestinese. La sua morte, invece, ha innescato un processo di disgregazione totale: Hamas contro Fatah. Prima con gli strumenti della politica, vicini a interessi e potenze internazionali contrapposti; poi con la forza delle armi.
Negli ultimi mesi, organizzazioni non governative internazionali e palestinesi hanno denunciato gravi violazioni commesse dai militanti di Fatah contro quelli di Hamas in Cisgiordania e viceversa nella Striscia di Gaza. Di fatto, in questo periodo Hamas ha comandato a Gaza e Fatah in Cisgior-dania. L'incubo di Arafat si è materializzato.
Anche l'incubo di Sharon si è avverato il 10 febbraio scorso, giorno delle elezioni politiche in Israele. L'ex premier israeliano, nel novembre 2005, tentò di realizzare un ardito disegno politico: la creazione di una sorta di partito unico in Israele, chiamato Kadima. Sharon era stato un simbolo del partito Likud, la formazione con-servatrice che fin dalla fondazione dello stato d'Israele si alternava alla guida del paese con i riformisti del Partito Laburista.
Un progetto politico rivoluzionario nella sua semplicità: creare un super partito, con i personaggi chiave del Labour e del Likud. uniti in un grande centro che avrebbe garantito quella stabilità di governo e la maggioranza dei 120 seggi del Parlamento israeliano. Le prove generali si tennero nell'agosto 2005: lo sgombero delle colonie ebraiche nella Striscia di Gaza venne votato da uno schieramento trasversale che permise a Sharon, all'epoca premier, di ottenere il risultato che riteneva determinante per raggiungere la pace alle sue condizioni.
Il10 febbraio scorso questo progetto è naufragato: il Kadima ha sì ottenuto un seggio più del Likud, ma l'ingovernabilità d'Israele è diventata endemica.
La guerra di Gaza tra armi non convenzionali e blocco degli aiuti umanitari
Tramontati i due leader storici e i loro progetti di unità, la situazione attuale del conflitto israelo-palestinese è ancora più grave. Lo stato d'Israele, negli ultimi due anni, si è lanciato in due operazioni militari di grande violenza: la campagna militare in Libano nel 2006 e l'operazione Piombo fuso nel 2008.
L'immagine internazionale del paese è stata danneggiata dalla riprovazione della comunità internazionale verso una soluzione armata che ha causato un elevato numero di vittime civili. Non solo, però, i problemi non sono stati risolti, ma le minacce da parte del gruppo sciita filoiraniano di Hez-bol/ah al nord e quella di Hamas al sud sono rimaste intatte. Si sono anzi rafforzate.
A livello mediatico, i due gruppi sono usciti come "vincitori" da entrambi i conflitti perché hanno resistito a una forza soverchiante e si sono potuti ergere a paladini dei civili innocenti. Le condizioni umanitarie della Striscia di Gaza sono vicine al tracollo. Un bilancio definitivo dell'operazione Piombo fuso è molto difficile da fare, ma il quadro è disastroso: almeno 14 mila edifici completamente distrutti, 90 mila le persone che non hanno più una casa e, soprattutto, almeno 1.300
persone uccise durante l'attacco. Un capitolo a parte è rappresentato dai dìriti di armi non convenzionali, come le munizioni al fosforo (illegali se usate in aree densamente abitate) e le cosiddette Dime (Dense Inerte Metal Explosive).
Imedici non sapevano come comportarsi di fronte a ferite mai viste prima e nella Striscia di Gaza non esistono laboratori in grado di analizzare i campioni di tungsteno (il componente principale delle Dime) ritrovati in diverse abitazioni e all'interno dei corpi delle vittime. A causa dell'embargo, gli stessi campioni non possono essere portati all'estero.
Questo disastro si aggiunge all'embargo durissimo che assedia la Striscia di Gaza, rendendola una sorta di prigione a cielo aperto. Le carenze dei generi alimentari e di medicinali sono sempre più gravi, così come la scarsità di energia elettrica e di acqua potabile. Ilconflitto politico tra l'Egitto e Hamas ha privato la popolazione civile palestinese dell'unica via percorribile per gli aiuti umanitari: il valico di Rafah.
La Cisgiordania non vive una condizione migliore. Pur al sicuro dal dramma sanitario e alimentare della Striscia, la popolazione civile della Cisgiordania continua a subire il quotidiano esproprio delle terre. Le colonie, negli ultimi mesi, sono aumentate a dismisura, a scapito delle già scarse risorse ìdriche a disposizione dei palestinesi e della disponibilità dei terreni coltivabili, occupati dai coloni o inclusi dal tracciato del muro di separazione che Israele costruisce dal 2002 oltre la linea di confine stabilita dall'Onu nel 1967.
L'accesso in Israele per i residenti palestinesi della Cisgiordania è sempre più arduo, privandoli così di una delle poche possibilità di lavoro a loro disposizione. La faida interna tra Hamas e Fatati. almeno, sembra essersi fermata: a metà marzo hanno preso awio corso colloqui per esplorare la possibilità di un governo di unità nazionale che indica nuove elezioni.
La nuova amministrazione democratica Usa e la speranza di una mediazione internazionale
L'amministrazione Obama, per il momento, non ha dato segnali che lascino intendere quali siano i progetti Usa nella regione. La visita di John Kerry, il candidato democratico che ha sfidato perdendo George W. Bush nel 2004, nella Striscia di Gaza ha rotto un tabù.
Vero che Kerry non ha incontrato direttamente gli uomini di Hamas, ma ha ricevuto da questi una lettera da presentare al presidente Obama grazie alla mediazione delle Nazioni Unite. Se questa mossa diplomatica cambierà qualcosa è presto per dirlo, ma una visita di un politico Usa così importante segna una decisa inversione di tendenza rispetto al recente passato.
Hamas, dopo la vittoria elettorale del gennaio 2006, in elezioni che tanti osservatori elettorali hanno definito come le più trasparenti del Medio Oriente, era stato messo in quarantena dalla diplomazia internazionale. Di conseguenza, dopo il conflitto interno che ha portato alla sostanziale espulsione di Fatah dalla Striscia, anche Gaza aveva pagato questo embargo.
Questa missione diplomatica, dunque, è un segnale positivo come lo sono le parole pronunciate dal nuovo segretario di stato Hillary Clinton, lo scorso marzo a Gerusalemme: «Israele e Palestina devono essere due stati». Resta, una volta ancora, da sperare che alle parole seguano i fatti e che l'amministrazione Obama s'impegni per una risoluzione equa del conflitto.
fonte: Emergency
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