Rapporti di lavoro in violazione della legge, pagamenti in ritardo, condizioni vessatorie, cottimo e niente assicurazioni: i rilevatori precari 'assunti' dai Comuni per conto dell'Istat denunciano il lato oscuro della compilazione e della raccolta dei questionari.
La leader della Cgil Susanna Camusso nei prossimi giorni potrebbe forse farsi un giro a Milano, dove è nata una protesta innovativa, per rappresentanza e metodo, che sfugge alla storia sindacale e alle statistiche di genere.
Il paradosso - parlando di statistiche - è che a mobilitarsi siano i rilevatori del censimento Istat: «Non abbiamo relazioni con i sindacati, né le cerchiamo», spiega Orsola Sinisi, 38 anni, rilevatrice del censimento Istat a Milano. Laurea e master in beni culturali, video-maker, Orsola è uno dei 470 addetti del censimento in città.
Da circa due mesi, questi lavoratori precari protestano contro un contratto che dichiarano illegittimo e la loro iniziativa locale ha ispirato la contestazione dei rilevatori di altre città: prima Latina poi Bari, Pescara, Messina e Venezia, dove le condizioni contrattuali sono estremamente simili a quelle milanesi.
La protesta è partita dal fatto che i rilevatori milanesi, operativi da settembre, ancora a fine dicembre non avevano visto un euro: secondo il Comune, i soldi dell'Istat non erano ancora arrivati. Eppure, spiegava Andrea Mancini, direttore centrale dei censimenti, «l'Istat ha effettuato il primo pagamento al Comune di Milano a maggio 2011: un versamento di 1.807.830 euro. E in autunno il Comune ha ricevuto altri 415.966 euro».
In molte altre città, gli stessi fondi erano già stati utilizzati, a Milano no. La protesta è servita per arrivare al saldo di un primo anticipo. Ma i precari non si sono accontentati, evidenziando come il rapporto di lavoro codificato non corrispondesse alle mansioni effettivamente svolte.
Perché il contratto dei rilevatori milanesi è illegittimo secondo i manifestanti? Lo spiega Massimo Laratro, avvocato del lavoro e legale del Movimento San Precario che sostiene la protesta: «I rilevatori sono stati assunti dal Comune di Milano attraverso un incarico di prestazione occasionale. Questo contratto parasubordinato impone che il rapporto non duri più di 30 giorni e non superi i 5.000 euro l'anno: se salta una delle due condizioni, il rapporto di lavoro diventa subordinato.
E in questo caso c'è l'eterodirezione del Comune di Milano e dell'Istat che sovrintendono le attività, poi si usano i mezzi di produzione di Palazzo Marino e dell'Istituto e infine si rileva la continuità della prestazione (il lavoro è iniziato a settembre). Quindi il contratto è illegittimo». Non solo: «L'accordo è anche vessatorio», continua Laratro, «per due motivi: se un lavoratore dovesse interrompere il rapporto prima della fine del censimento, quest'ultimo dovrebbe rinunciare agli emolumenti successivi ma anche a quelli già dovuti».
In cosa consiste il pagamento dei rilevatori? Tre euro lordi a questionario, senza alcun fisso mensile. Eppure la procedura imposta dall'Istituto nazionale di statistica prevedeva che ogni comune italiano si organizzasse autonomamente circa il rapporto di lavoro.
E la soluzione milanese è il modello peggiore a livello nazionale. Il migliore è quello bolognese, dove un rilevatore che svolge le stesse mansioni dei suoi colleghi nelle altre città italiane percepisce 1.671 euro lordi al mese per 13 mensilità e acquisisce punti per i concorsi pubblici. Un collega milanese, invece, viene pagato semplicemente a cottimo.
Come se ciò non bastasse, alla fine l'Istat validerà i questionari inviati attraverso un lettore ottico: di fatto finora già il 10 per cento dei questionari è stato rifiutato in base al primo pagamento di gennaio ricevuto dai rilevatori milanesi. Per questo, il pagamento di un fisso mensile garantirebbe una retribuzione minima ai lavoratori. Che in ogni caso vedranno saldato il corrispettivo finale solo nel 2013.
E il lavoro dei rilevatori non è sempre agevole: per compilare un questionario a volte ci vuole oltre un'ora visto che sono soprattutto gli stranieri a rivolgersi agli uffici preposti. Sedi che, almeno a Milano, ospitano complessivamente appena 45 postazioni per quasi 500 lavoratori.
Così i rilevatori si sono organizzati, senza chiedere ausilio ai sindacati. Non è cosa di poco conto se si considera che la maggior parte ha tra i 30 e i 40 anni ed è laureata: una generazione di precari che non si sente più tutelata dalle sigle sindacali, né tanto meno trova efficaci i metodi delle associazioni di categoria.
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:
La leader della Cgil Susanna Camusso nei prossimi giorni potrebbe forse farsi un giro a Milano, dove è nata una protesta innovativa, per rappresentanza e metodo, che sfugge alla storia sindacale e alle statistiche di genere.
Il paradosso - parlando di statistiche - è che a mobilitarsi siano i rilevatori del censimento Istat: «Non abbiamo relazioni con i sindacati, né le cerchiamo», spiega Orsola Sinisi, 38 anni, rilevatrice del censimento Istat a Milano. Laurea e master in beni culturali, video-maker, Orsola è uno dei 470 addetti del censimento in città.
Da circa due mesi, questi lavoratori precari protestano contro un contratto che dichiarano illegittimo e la loro iniziativa locale ha ispirato la contestazione dei rilevatori di altre città: prima Latina poi Bari, Pescara, Messina e Venezia, dove le condizioni contrattuali sono estremamente simili a quelle milanesi.
La protesta è partita dal fatto che i rilevatori milanesi, operativi da settembre, ancora a fine dicembre non avevano visto un euro: secondo il Comune, i soldi dell'Istat non erano ancora arrivati. Eppure, spiegava Andrea Mancini, direttore centrale dei censimenti, «l'Istat ha effettuato il primo pagamento al Comune di Milano a maggio 2011: un versamento di 1.807.830 euro. E in autunno il Comune ha ricevuto altri 415.966 euro».
In molte altre città, gli stessi fondi erano già stati utilizzati, a Milano no. La protesta è servita per arrivare al saldo di un primo anticipo. Ma i precari non si sono accontentati, evidenziando come il rapporto di lavoro codificato non corrispondesse alle mansioni effettivamente svolte.
Perché il contratto dei rilevatori milanesi è illegittimo secondo i manifestanti? Lo spiega Massimo Laratro, avvocato del lavoro e legale del Movimento San Precario che sostiene la protesta: «I rilevatori sono stati assunti dal Comune di Milano attraverso un incarico di prestazione occasionale. Questo contratto parasubordinato impone che il rapporto non duri più di 30 giorni e non superi i 5.000 euro l'anno: se salta una delle due condizioni, il rapporto di lavoro diventa subordinato.
In cosa consiste il pagamento dei rilevatori? Tre euro lordi a questionario, senza alcun fisso mensile. Eppure la procedura imposta dall'Istituto nazionale di statistica prevedeva che ogni comune italiano si organizzasse autonomamente circa il rapporto di lavoro.
E la soluzione milanese è il modello peggiore a livello nazionale. Il migliore è quello bolognese, dove un rilevatore che svolge le stesse mansioni dei suoi colleghi nelle altre città italiane percepisce 1.671 euro lordi al mese per 13 mensilità e acquisisce punti per i concorsi pubblici. Un collega milanese, invece, viene pagato semplicemente a cottimo.
Come se ciò non bastasse, alla fine l'Istat validerà i questionari inviati attraverso un lettore ottico: di fatto finora già il 10 per cento dei questionari è stato rifiutato in base al primo pagamento di gennaio ricevuto dai rilevatori milanesi. Per questo, il pagamento di un fisso mensile garantirebbe una retribuzione minima ai lavoratori. Che in ogni caso vedranno saldato il corrispettivo finale solo nel 2013.
E il lavoro dei rilevatori non è sempre agevole: per compilare un questionario a volte ci vuole oltre un'ora visto che sono soprattutto gli stranieri a rivolgersi agli uffici preposti. Sedi che, almeno a Milano, ospitano complessivamente appena 45 postazioni per quasi 500 lavoratori.
Così i rilevatori si sono organizzati, senza chiedere ausilio ai sindacati. Non è cosa di poco conto se si considera che la maggior parte ha tra i 30 e i 40 anni ed è laureata: una generazione di precari che non si sente più tutelata dalle sigle sindacali, né tanto meno trova efficaci i metodi delle associazioni di categoria.
Ricerca personalizzata
Se ti è piaciuto l'articolo , iscriviti al feed cliccando sull'immagine sottostante per tenerti sempre aggiornato sui nuovi contenuti del blog:
Trovato questo articolo interessante? Condividilo sulla tua rete di contatti Twitter, sulla tua bacheca su Facebook o semplicemente premi "+1" per suggerire questo risultato nelle ricerche in Google, Linkedin, Instagram o Pinterest. Diffondere contenuti che trovi rilevanti aiuta questo blog a crescere. Grazie! CONDIVIDI SU!
0 commenti: