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giugno 15, 2013

E' ufficiale: l'austerità fa male, la politica dei tagli imposta da Bce e Fmi è dannosa per la crescita.

austerityUn poderoso studio analizza l'andamento economico in Giappone, Grecia, Italia e Belgio. E dimostra che la politica dei tagli imposta da Bce e Fmi è dannosa per la crescita. In pratica, in queste nazioni si è realizzato un 'esperimento' basato su un'ideologia sbagliata

Potrebbe sembrare una riedizione dell'antica disputa sull'uovo e la gallina (chi è nato prima?) trasposta su temi economici, il debito pubblico e la crescita. Ma qui in ballo ci sono i destini di milioni di persone, la cui qualità della vita dipende in non piccola misura dalle politiche conseguenti all'una o all'altra posizione. Ora il dibattito si arricchisce di un nuovo saggio, di David Rosnick, che dovrebbe dare il colpo di grazia ai teorici dell'austerity.

La polemica parte da uno studio di Carmen Reinhart e Kennet Rogoff (i cosiddetti R&R) che, esaminando i dati di una serie di paesi dal 1847 al 2011, hanno affermato che un rapporto debito-Pil superiore al 90 per cento ha l'effetto di frenare la crescita. La tesi è servita come base teorica ai cultori dell'austerità: per superare la crisi (hanno detto) bisogna ridurre il debito pubblico, altrimenti la crescita non torna. Ma altri economisti non meno autorevoli, con alla testa Paul Krugman, hanno duramente contestato questa teoria.

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Quando poi si è scoperto che nello studio c'era un errore materiale e alcune omissioni la polemica si è fatta incandescente e si è addirittura arrivati alle parole grosse.

Krugman aveva tra l'altro accusato R&R di non aver reso pubblici i dati su cui avevano lavorato e la Reinhart li ha allora pubblicati. Proprio lavorando su quei dati Rosnick, economista del Cepr, un centro di ricerca indipendente che annovera nel comitato scientifico premi Nobel come Robert Solow e Joseph Stiglitz, ha esaminato la crescita reale del Pil e l'andamento del debito in quattro paesi con debiti tra i più alti del mondo: Giappone, Grecia, Italia e Belgio.

In tutti questi casi, è la conclusione di Rosnick, i fatti danno ragione a Krugman: prima l'economia ha rallentato, e dopo il debito è cresciuto. In Italia la crescita reale media annua è stata del 5,8% tra il '47 e il '74 e solo del 2,7 per cento tra il '75 e l'88; ma nel '74 il debito era ancora al 41,3 per cento, e solo nell'88 avrebbe raggiunto il 90,9. Il debito dunque è cresciuto quando la crescita aveva già rallentato. Stesso trend per gli altri paesi: il Belgio, per esempio, ha cominciato a declinare dal 1975, quando il suo debito era al 54,4 per cento e non avrebbe raggiunto il 90 per cento prima del 1983.

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Quanto al Giappone, la crescita ha cominciato a declinare dal 1991, quando il debito era al 67,5 per cento del Pil; avrebbe superato il 90 per cento (92,4) solo quattro anni dopo e - ironia dei numeri - l'anno seguente il Pil avrebbe messo a segno una delle migliori performance dall'inizio del declino in poi (20 anni, i dati della Reinhart arrivano al 2011), con un più 2,6 per cento.

Infine la Grecia. Uno sviluppo a passo di carica fino agli anni '70, con un debito/Pil bassissimo, intorno al 20 per cento, è culminato con l'anno d'oro 1972, quando la crescita segnò un clamoroso 12,4 per cento schiacciando l'anno successivo al 16,6 per cento il rapporto debito/Pil. Da allora, pur con alti e bassi, l'economia cominciò a rallentare, ma il debito mostrò un'accelerazione solo una decina di anni dopo: nel 1984 raggiunse il 40,1per cento , dopo un triennio di Pil negativo. La fatidica soglia del 90 per cento sarebbe stata superata di slancio tra il '92 e il '93 (dall'80,1 al 100,5 per cento). Ma dal '94 al 2007 si torna a tassi di crescita più che positivi, e il debito rimane quasi stabile: alla fine di questo periodo è al 105,4 per cento. Poi arriva la crisi e la 'cura' della Troika, e in quattro anni il debito svetta al 165,6 per cento del Pil.

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Conclusione: forse non si può affermare con assoluta sicurezza che la bassa crescita faccia salire il debito, ma di certo è sbagliato il contrario, cioè la tesi dei fanatici dell'austerità per imporre politiche miranti a ridurre l'intervento pubblico e il welfare.

D'altronde l'Europa è stata un grande esperimento per quelle tesi: il loro disastroso fallimento è sotto gli occhi di tutti.

Quindi bisognerebbe provare a dar retta a Krugman e ai tanti che lo ripetono ormai da tempo: nelle fasi di crisi - e specialmente di crisi gravi, come quella attuale - non bisogna occuparsi del debito, ma di far ripartire la crescita. Tagli e tasse non solo non sono una buona medicina, ma aggravano la malattia, e i tagli più dell'aumento delle tasse: anche su questo, che era un altro caposaldo degli economisti neoclassici, c'è stato un ripensamento e persino il rigorosissimo Fondo monetario ha ammesso l'errore.

A sostenere la retorica dei 'compiti a casa', intesi come consolidamento dei conti pubblici, c'è rimasta solo la Germania. Non potremo neanche dire che sono come i giapponesi che continuavano a combattere dopo aver perso la guerra: i giapponesi stanno facendo esattamente il contrario.

austerity violenza

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