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giugno 05, 2009

Ecco perché Stati Uniti e Cina sono in corsa per pulire il mondo

Le due superpotenze si sono convinte che la sfida delle fonti rinnovabili è decisiva. Non per ragioni etiche ma perché sanno che l'industria verde può essere la via per uscire dalla recessione.

"LA CINA si candida a diventare il Dragone Verde, vuole vincere la corsa mondiale verso un'economia low-carbon, a bassa emissione di Co2". Non è propaganda del regime di Pechino. L'affermazione, fatta alla vigilia della Giornata mondiale dell'Ambiente dell'Onu che si celebra oggi, è di Steve Howard che dirige il Climate Group, importante ong ambientalista americana.
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Howard indica la chiave di questa conversione: "I dirigenti cinesi si sono convinti che questa è la nuova ricetta del profitto". Via via che si svelano i contenuti della maximanovra di investimenti pubblici varati dalla Repubblica Popolare per rilanciare la crescita, ecco che cosa si scopre: su 586 miliardi di dollari di spesa pubblica aggiuntiva, ben 220 miliardi (il 40%) va a finanziare l'industria verde, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili, dall'auto elettrica al motore ibrido. L'Amministrazione Obama rincorre la lepre cinese: sui 787 miliardi di dollari di manovra di rilancio della crescita, Washington ne stanzia una quota inferiore ma comunque importante (112 miliardi) per l'ambiente.

E almeno in un settore l'America si piazza in testa in questo duello: negli ultimi 12 mesi ha installato 8.300 megawatt di impianti eolici, un record storico, mentre la Cina arriva seconda con 6.300 megawatt di energia prodotta dal vento. Entro la fine del 2009 però il colosso asiatico sarà il primo esportatore mondiale di turbine eoliche. Arranca un po' indietro l'Unione europea, che pure fu a lungo un modello di virtù per avere sottoscritto quasi da sola gli impegni di Kyoto sulla riduzione delle emissioni carboniche. Ma anche sul Vecchio continente spira un vento di ottimismo. La battaglia ambientale non è più percepita come una zavorra, un sovrappiù di costi, e un ostacolo allo sviluppo. Al contrario la Commissione di Bruxelles annuncia che "i benefici delle energie rinnovabili in termini di sicurezza e di lotta all'inquinamento vanno a braccetto con consistenti vantaggi economici". Non sono affermazioni volontaristiche. Già oggi il solo business delle energie rinnovabili occupa 1,4 milioni di europei, per lo più ricercatori, tecnici, manodopera altamente qualificata. "Altri 410.000 posti di lavoro aggiuntivi verranno creati - spiega la Commissione - se l'Unione europea raggiunge l'obiettivo del 20% di energie rinnovabili sul totale entro il 2020".

Più dei proclami politici, più delle esortazioni lanciate da istituzioni internazionali, l'ottimismo è sorretto dalla nuova attenzione che il mondo del business rivolge all'ambiente. Un sorpasso significativo è avvenuto nel corso del 2008, lo annuncia ora lo United Nations Environmental Program. Per la prima volta nella storia, l'anno scorso i capitali privati globalmente investiti nelle fonti rinnovabili (140 miliardi di dollari) hanno superato quelli investiti negli idrocarburi e altre energie fossili (110 miliardi). Il contributo decisivo a questo sorpasso lo hanno dato le nazioni emergenti. Guidate da Cina e Brasile, hanno aumentato del 27% i loro investimenti in energie pulite.

Certo i problemi da risolvere restano immani. La Cina si è risvegliata solo dopo che il suo modello di sviluppo energivoro ha seminato distruzione. Oggi sui 600 milioni di cinesi che abitano in zone urbane, solo l'1% respira un'aria che sarebbe considerata "non tossica" in base agli standard europei. E la recessione può esercitare un pericoloso effetto anestetizzante. Grazie al crollo della produzione industriale, ai fallimenti, alle chiusure di fabbriche, il 2008 ha visto per la prima volta una riduzione parallela delle emissioni di Co2 sia in Cina che in America. Questo è un effetto tipicamente temporaneo, non deriva da cambiamenti strutturali. Guai se lo choc recessivo crea l'illusione che si possa abbassare la guardia. La decrescita può far male all'ambiente se inaridisce i finanziamenti nella ricerca.
Il più grande inquinatore del pianeta sembra deciso a fare sul serio. L'ultimo rapporto del Climate Group sulla Cina è intitolato "La Rivoluzione Pulita". Negli ultimi mesi Pechino ha già investito 12 miliardi di dollari in energie rinnovabili: è seconda solo alla Germania. La Repubblica Popolare pianifica di raddoppiare il peso delle energie pulite portandole al 15% del totale entro il 2020. È un obiettivo ambizioso vista la situazione di partenza: oggi l'80% della corrente in Cina è generata da centrali termoelettriche a carbone. Anche sul carbone, la materia prima più inquinante in termini di Co2, c'è uno spiraglio. L'Agenzia Internazionale dell'Energia spiega che "le scelte cinesi saranno la chiave per un uso meno inquinante del carbone, la sfida in assoluto più urgente". Secondo l'Aie la Repubblica Popolare può diventare "leader nel business del carbone pulito, dove sta sviluppando innovazioni tecnologiche uniche, che altri paesi dovrebbero adottare". Un segnale della nuova attenzione che si respira su questi temi: dopo averlo ignorato per anni, il governo cinese ha accolto a braccia aperte Al Gore. Il Premio Nobel è stato finalmente autorizzato a organizzare un importante convegno a Pechino, sul cambiamento climatico, con il contributo parallelo dell'Accademia delle Scienze e dell'Asia Society di Orville Schell (un think tank di New York che in passato non ha lesinato le critiche alla politica cinese). Il disgelo è avvenuto con la benedizione del mondo industriale: nella recessione globale, il business verde è uno dei pochi motori ancora trainanti. In questo caso l'economia di mercato aiuta l'ambiente, perché è pilotata da una guida politica. Da Washington a Pechino, il ruolo dello Stato è cruciale nel mandare impulsi al settore privato, costruendo la nuova cornice di incentivi e disincentivi entro cui si muove il mercato.

La logica del profitto, piegata a fini virtuosi, è all'opera in un settore che a lungo è stato l'imputato numero uno per l'inquinamento atmosferico: l'automobile. Anche in questo caso la Cina è un laboratorio interessante. Pechino punta a battere tutti sul traguardo dell'auto elettrica, "saltando" una generazione nel percorso di sviluppo della sua industria automobilistica. Il gruppo Byd di Shenzhen, partito da una posizione di forza come fornitore mondiale di batterie per telefonini, si è diversificato nelle batterie per auto e sviluppa un modello a motore interamente elettrico. I capitali privati ci credono, al punto che l'operazione coinvolge il nome più illustre della finanza americana. Nel settembre 2008 il gruppo Berkshire Hathaway che fa capo a Warren Buffett (detto il "saggio di Omaha", il secondo uomo più ricco del pianeta) ha acquistato una quota del 10% nel capitale della Byd, scommettendo che la Cina sarà tra i vincitori nella corsa. Il primo modello di berlina quattroporte ad alimentazione solo elettrica della Byd sarà in vendita in America nel 2011.

Barack Obama non vuole rassegnarsi al dominio asiatico nell'auto pulita. Annunciando la bancarotta della General Motors, che deve sfociare nel parto di una casa più snella e competitiva, il presidente ha ribadito che tra i compiti del nuovo management c'è il rinnovamento della gamma per ridurre i consumi energetici. Gli effetti si sentiranno a cascata perché l'industria automobilistica è al centro di una vasta ragnatela: l'indotto è l'universo di aziende che forniscono componenti, si stima che raggiunga fino a due milioni di persone negli Stati Uniti. Come dimostra il caso delle aziende giapponesi, sudcoreane e cinesi che producono batterie al litio per auto elettriche o ibride, attorno alla domanda di un'auto pulita si genera un intera attività industriale nuova. Inaugurando una fase di interventismo statale che non ha precedenti dai tempi di Franklin Roosevelt, Obama ha chiarito che ambiente e profitto devono andare d'accordo. È questa la cifra distintiva della sua politica industriale. Il sociologo inglese Anthony Giddens è convinto che sia la strada giusta per superare le resistenze del passato: "Obama riesce a trasformare l'ambientalismo in un messaggio positivo. Rende evidente il nesso tra energie alternative, sicurezza, e crescita economica. È capace di ispirare una vera svolta, e questa può contagiare anche l'Europa".

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