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agosto 30, 2009

La solitudine dell'anziano

anziani L'anziano è estremamente vulnerabile allo stress, sia da cause ambientali che relazionali.


L'autonomia ed il funzionamento sociale possono essere ridotti al minimo, in quanto il gioco delle relazioni interpersonali è sovente intralciato da difficoltà comunicative legate all'invecchiamento cerebrale come vuoti di memoria, disturbi della concentrazione, affaticabilità.

Nessuno dovrebbe essere lasciato da solo a fronteggiare i problemi della vecchiaia. La solitudine svuota di senso le giornate - il potenziale “tempo libero” tende ad essere percepito come “vuoto” - innescando o alimentando un disagio psicologico che può sfociare in ansia e depressione.


L'anziano ha bisogno di qualcuno, un “tutore di resilienza”- una figura affettivamente significativa (come un parente, un amico, uno psicoterapeuta, un operatore assistenziale, od un semplice volontario) - che ascolti la sua storia colmando eventualmente le lacune esistenti, o che gli rammenti il suo vissuto, tante e più volte, per mantenere viva una traccia, conservare un ricordo. “Le relazioni operano trasformazioni e le parole sono uno strumento prezioso per renderle visibili” - scrive la psicoterapeuta Angela Ganci, riferendosi alla sua esperienza in una casa di riposo a Palermo (riportata sul settimanale di prevenzione medica e di solidarietà “nell'attesa” speciale anziani).


Si ipotizza che un ambiente a “bassa emotività espressa” (in una famiglia, casa-famiglia, casa di riposo) dove l'atteggiamento prevalente verso l'anziano comprenda accettazione ed empatia (escludendo sentimenti di rifiuto, eccessivo coinvolgimento emotivo e conflittualità) con adattamento flessibile alle richieste ed ai bisogni espressi, direttamente o indirettamente, sia “protettivo” nei confronti della salute psicologica dell'anziano.


Lilia Binah, direttrice del Day Care Center for the Elderly di Kiryat-Tivon, in Israele, ha messo a punto un trattamento terapeutico di gruppo per restituire serenità, conforto e maggiore consapevolezza di sé alle persone anziane. Il metodo, chiamato “Agnotherapy”, è basato sulla lettura e analisi dei racconti di Shmuel Yosef Agnon, scrittore di origine ebraica, premio Nobel per la letteratura nel 1966. Lilia Binah ha pubblicato di recente un resoconto del suo lavoro su “The Journal of Poetry Therapy” con la collaborazione di Keren Or-Chen, ricercatrice presso la “School of Social Work” dell’Università di Haifa.


La strategia proposta dalla “Agnotherapy” tende a favorire la “rappresentazione” della realtà. Se nella vita dell’anziano le sofferenze sono quasi insopportabili, il distacco emotivo dato dalla rappresentazione e la ricerca di un significato da condividere con gli altri, può renderle più accettabili. Leggere in gruppo ed analizzare un racconto, può servire a comprendere ad esempio, che cosa fa sì che due persone poste nella stessa situazione reagiscano differentemente, chi in modo propositivo (resiliente), chi in modo inefficace, sopraffatto dal senso di impotenza. Le storie che si raccontano ad una persona anziana favoriscono l’identificazione e riannodano i fili della propria storia. Non è un ritorno all’infanzia. “La persona anziana non ricade mai nell’infanzia - sottolinea Boris Cyrulnik, neuropsichiatra francese responsabile all’ospedale di Toulon delle ricerche sul fenomeno della “resilienza” (i meccanismi biologici e psicologici che intervengono a riparare gli effetti di un trauma) - le persone anziane rispondono meglio alle proprie rappresentazioni che alla realtà che le circonda. Il mondo non è più attorno a loro ma vive dentro di loro, nella loro memoria” (Boris Cyrulnik, Di carne e d’anima, saggi Frassinelli).


L’attività portata avanti al Day Care Center for the Elderly in Israele ha prodotto risultati incoraggianti. Le storie brevi si prestano meglio all’uso terapeutico perché la finestra temporale di concentrazione della mente degli anziani è limitata. “Attraverso i racconti molti anziani diventano capaci di esprimere le proprie emozioni, anche quelle più negative ed angosciose, o di uscire dall’isolamento provocato dalle malattie - osserva Lilia Binah - qualche volta la discussione sulle storie coinvolge i partecipanti in un modo inaspettato, ad esempio, un anziano che aveva avuto un ictus, ed era semi-paralizzato con difficoltà di parola, un giorno mi chiese di ripetere un vocabolo che avevo usato in precedenza per descrivere un racconto incompleto. Il termine era “torso”, ed evocava un corpo senza testa o appendici. E’ esattamente come mi sento, riuscì a dire l’uomo”.

Anche la poesia, riscoperta in età avanzata, permette di esplorare luoghi mentali, di elaborare mancanze, perdite, lutti. La ricercatrice italiana Aurora Fagone Speer, trasferitasi da anni in Germania (le sue pubblicazioni scientifiche sui trapianti omoplastici e xenoplastici sono noti in campo internazionale) ha trovato nella scrittura e nella pubblicazione di una raccolta di poesie (“Vento di primavera”, Gedichtsammlung) una ragione di vita dopo la scomparsa del marito: “successo l'incredibile nella profonda solitudine / l'inspiegabile avvenuto / una nuova porta aperta nell'abbandonato mondo / delle dormienti muse un nuovo orizzonte dischiuso / dopo lungo letargo apre un inatteso varco / nella mente risvegliata felicemente orientata / a conseguire mete nuove e improvvisamente inaspettata / dopo mezzo secolo questa raccolta vien concepita / realizzata e completata al tramonto di una vita”.


Le esperienze sociali ed artistiche che coinvolgono attivamente gli anziani ci incoraggiano dunque a credere che anche la terza età possa essere vissuta come una qualsiasi altra età della vita, con i suoi punti di debolezza, ma anche di forza.

fonte: La Stampa

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