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ottobre 30, 2010

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ottobre 23, 2010

Opportunity, il lungo viaggio del rover nei deserti marziani.
La sua missione doveva durare solo 90 giorni. Invece va avanti da quasi sette anni, durante i quali ha percorso 24 chilometri e fatto importanti scoperte. E ora ha anche un software che gli consente scelte autonome di Luigi Bignami.

Nell'immensa pianura marziana che circonda il cratere Endeavour, un piccolo esploratore robotico porta avanti da solo una missione che avrebbe dovuto durare 90 giorni e invece si protrae da quasi sette anni: dal 25 gennaio 2004, giorno del suo atterraggio, il rover Opportunity ha percorso 24 chilometri sulla sabbia del Pianeta Rosso, mettendo a segno una serie di importanti scoperte: dall'esistenza di strutture che confermano la presenza di acqua superficiale in un lontano passato (si sono trovate onde nella sabbia che farebbero pensare a spiagge), alle piccolissime palline di minerali (chiamate mirtilli) che confermerebbero ulteriormente la presenza di mari e laghi, fino a meteoriti che sono rimasti così come caddero sulla superficie del pianeta e contengono importanti informazioni sull'atmosfera che circondava il pianeta.

Superate tutte le aspettative possibili, da alcuni mesi a questa parte Opportunity è stato dotato di un software inviato da Terra che lo rende "intelligente". Gli ingegneri della Nasa infatti, hanno voluto provare un sistema che fa di Opportunity un mezzo parzialmente autonomo su alcune decisioni importanti: se estrarre o meno il proprio braccio robotizzato per analizzare una roccia presente sul proprio percorso; quale fotografia inviare a Terra tra le centinaia che scatta al paesaggio circostante; quanta strada percorrere. Le scelte vengono comunque vagliate dai tecnici della Nasa, ma fino ad oggi Opportunity ha dimostrato di aver "appreso" le informazione del software in modo perfetto e continua imperterrito la sua strada verso l'obiettivo che gli è stato richiesto.

Le vicissitudini a cui ha dovuto far fronte Opportunity sono state numerose, ma forse la peggiore di tutte è stata una serie di tempeste di polvere contro le quale si è imbattuto alla fine di giugno del 2007. Il pulviscolo ha ricoperto completamente i pannelli solari che inizialmente producevano circa 700 watt/ora di energia al giorno, facendo scendere le loro potenzialità a soli 150 watt/ora al giorno.

Fu così che il rover venne messo in una specie di ibernazione nell'attesa che le tempeste passassero. Solo ad agosto la situazione migliorò, ma le speranze di rivedere Opportunity in attività erano poche.

Lentamente invece, le batterie tornarono a caricarsi e i pannelli si pulirono grazie ad una leggera brezza e, in parte, grazie ad un sistema di pulitura previsto dai tecnici in fase di costruzione. Sta di fatto che in poche settimane ritornò ad un'efficienza quasi simile a quella iniziale e nel settembre del 2007 si infilò fin quasi sul fondo del Cratere Victoria. Vi uscì solo un anno dopo e da quel momento venne indirizzato verso il nuovo cratere che dovrebbe raggiungere l'anno prossimo. Ora a bordo i pannelli solari erogano circa 280 watt/ora al giorno.


Il rover gemello Spirit, sceso su Marte il 4 gennaio del 2004 è atterrato nel cuore di una grande cratere, il Gusev, che un tempo poteva essere interamente ricoperto d'acqua. E non ci volle molto per trovare le testimonianze dell'esistenza del liquido in un passato molto remoto. Anch'esso ha lavorato oltre i limiti dei 90 giorni previsti, percorrendo 7.730 m, ma il 22 marzo del 2010 ha smesso di comunicare con la Terra, dopo essersi insabbiato con due ruote fuori uso.

Alla Nasa si continuano a tenere le antenne accese verso il rover, ma le probabilità che esso abbia passato indenne l'inverno appena trascorso nella regione in cui si trova e che possa nuovamente ricaricare le batteria al punto di iniziare i collegamenti con i tecnici del progetto sono scarse. Ma dai due rover ci si può aspettare di tutto e la Nasa non demorde.



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ottobre 22, 2010

Tsunami di ghiaccio tra gli anelli di Saturno: i  fenomeni individuati potrebbero dipendere dalla gravità di Titano.
L'attrazione gravitazionale di Titano, la più grande luna di Saturno, causerebbe giganteschi "tsunami" rotanti di particelle ghiacciate in uno degli anelli del pianeta. L'ipotesi emerge dallo studio di recenti dati, e potrebbe risolvere il mistero trentennale di un "vuoto" nell'anello C di Saturno.

La sonda Voyager 1 della NASA, che osservava gli anelli di Saturno da un solo angolo ridotto, registrò un'increspatura nell'anello C del pianeta già nel novembre del 1980.

Questa increspatura era interrotta da un vuoto di circa 15 chilometri, evidenziato dai dati radio. Ma la la faccenda fu complicata da alcune fotografie scattate successivamente, che non mostravano alcun vuoto nell'anello C.

Ora, gli scienziati che si occupano di elaborare i dati della sonda Cassini hanno confermato che quel vuoto esiste.

Poiché le increspature e i vuoti sono generalmente difficili da discernere nele immagini di Cassini, i ricercatori hanno osservato questo vuoto in maniera indiretta, grazie alla luce che attraversava il "buco" quando le stelle passavano dietro l'anello C.

"Un paragone calzante potrebbe essere quello di una persona che passa dietro a uno steccato con una torcia in mano”, ha spiegato l'astronomo della Cornell University Phil Nicholson. "La luce delle stelle più luminose che passano dietro gli anelli viene bloccata dalle regioni di particelle più dense, ma passa invece attraverso i vuoti".

Le recenti osservazioni di Cassini, ottenute da diverse angolazioni, mostrano che l'apertura è più stretta di quanto si ritenesse in precedenza; appena mezzo chilometro. A quanto pare, secondo gli astronomi, il punto di vista di Voyager faceva apparire il vuoto molto più largo di quanto sia in realtà.

Altra novità, in circa metà delle immagini di Cassini il vuoto diventa un "picco", come se vi fosse qualcosa al suo interno che blocca la vista. “È come se il vuoto nello steccato diventasse uno dei paletti dello steccato stesso”, spiega Nicholson.

I nuovi dati basati sulla luce stellare suggeriscono che - da certe angolazioni - il vuoto sia circondato da pareti a spirale di particelle ghiacciate che si allineano in modo tale da impedire la vista dell'aperura.

In base ai dati di Cassini, aggiunge l'astronomo, ognuno di questi picchi assomiglia a "uno tsunami che si propaga da una faglia sismica. Se vi trovaste accanto a questo tsunami, si tratterebbe di un fenomeno di dimensioni notevoli”. Ogni picco avrebbe infatti un'altezza di un chilometro e mezzo circa. “Ma si muovono piuttosto lentamente”, aggiunge Nicholson, “a crica 250 metri al giorno”.

È colpa di Titano?

Altri vuoti conosciuti in altri punti degli anelli di Saturno possono essere spiegati dalle piccole lune che orbitano all'interno degli anelli stessi, che si scavano dei passaggi attraverso le particelle. Ma altri vuoti, come questo nell'anello C, non sono associati ad alcuna luna conosciuta, e pertanto la loro origine resta un mistero per gli scienziati.

Tuttavia, è stato rilevato che la rotazione di questi tsunami sono sincronizzate con l'orbita di Titano, che gira atttorno al pianeta una volta ogni 16 giorni. Questa analogia suggerisce agli studiosi che i picchi siano il risultato del rapporto gravitazionale tra l'anello C e la luna Titano.

È probabile infatti che la gravità di Titano "tiri" la sezione di particelle dell'anello che sono in risonanza con la luna, o che si muovono alla stessa velocità del campo gravitazionale di Titano, spiega Larry Esposito, astronomo dell'University of Colorado a Boulder, che non ha preso parte alla ricerca.

"Per decenni si è detto che la risonanza può creare dei vuoti negli anelli”, dice Esposito. "E questi dati confermano quelle ipotesi”.

Lo tsunami luccicante

Per quanto gli tsunami siano quasi sempre troppo piccoli per poterli osservare nelle immagini di Cassini, la sonda ha avuto modo di osservarli per la prima volta nel corso dell'equinozio di Saturno, quando i raggi del Sole colpiscono gli anelli di taglio, ha spiegato Nicholson. In quel caso, l'angolazione della luce ha fatto brillare la parete inclinata degli tsunami come un arco luminoso nell'anello scuro.

"Pensate al Sole che illumina la topografia della Terra dopo il tramonto o prima dell'alba”, dice l'astronomo. “In genere non c'è molta illuminazione, ma una cresta orientata verso il Sole può apparire piuttosto luminosa”.

In generale, spiega Nicholson, la nuova scoperta è una nuova prova del fatto che gli anelli di Saturno sono meno bidimensionali di quanto ritenessimo in precedenza.

Secondo Esposito dell'University of Colorado, questa scoperta potrebbe non aggiungere alcuna novità di rilievo nel quadro più ampio dello studio degli anelli di Saturno, ma "è certamente un caso affascinante".


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ottobre 21, 2010

Videogioco ergo mi evolvo: chi sostiene che i videogame sono sempre nocivi sbaglia.
Chi sostiene che i videogame sono sempre nocivi sbaglia. Arrivano quelli «social», che stimolano i rapporti familiari e di amicizia. E quelli «serious», che saranno anche utilizzati a scuola

Sembra un telecomando bianco di piccole dimensioni, ma si usa come una racchetta da tennis, una canna da pesca, una mazza da baseball, oppure anche una bacchetta da direttore d'orchestra.

I movimenti naturali del giocatore vengono interpretati da un sensore posto sopra il televisore e trasformati in quelli dei personaggi all'interno del videogioco.

Il controller della nuova console Nintendo Wii
, apparecchio elettronico giapponese arrivato nei negozi italiani da pochi giorni, rivoluziona così il modo di giocare, trasformando il salotto di casa in un campo da tennis o in un green da golf.

Un filone che sta cavalcando anche la Sony con una nuova generazione di giochi per Playstation 2.

Titoli che trascinano la console e il giocatore fuori dalla solitudine e lo proiettano in una nuova dimensione sociale. Basta aggiungere alla Ps2 una piccola telecamera che la Sony ha chiamato Eye toy per venire catapultati all'interno del gioco. Questo occhio digitale cattura i movimenti e l'immagine reale del giocatore, che si vede proiettato nello schermo e interagisce con ambienti fantastici o si cimenta in sport e arti marziali.

Con una coppia di microfoni la console si trasforma poi in un karaoke che permette di cantare con le leggende del rock e del pop. Con alcuni pulsanti si viene catapultati in un quiz televisivo.

È una moda, quella dei giochi di aggregazione, che ha già una definizione. Si chiamano social game, spiega Corrado Buonanno, presidente della Sony computer entertainment Italia «perché fanno leva su amicizia, divertimento, famiglia e interazione».

Il mondo dei videogiochi cambia e, visto il tempo che ogni giorno milioni di giovani e adulti dedicano a una console, sono diventati oggetto di studio. Accanto ai social game, sta crescendo un nuovo filone: i serious game, che possono essere utilizzati per l'insegnamento nelle scuole e per lo sviluppo culturale.

A ottobre, durante il Summit on educational , la Federation of American scientists (Fas), ente americano nato alla fine della Seconda guerra mondiale anzitutto per studiare i pericoli derivanti dagli armamenti nucleari e che da allora è rimasto focalizzato su questioni legate alla sicurezza e all'avanzamento tecnologico, ha pubblicato uno studio intitolato Harnessing the power of videogames for learning, utilizzare il potere dei videogiochi per l'apprendimento.

Vi si evidenzia il ruolo che i videogiochi interpreteranno nell'educazione futura, sia per quanto riguarda l'apprendimento scolastico, sia per l'addestramento professionale nei più svariati campi.

«I videogiochi moderni offrono un ricco panorama di avventure e sfide rivolte a un numero crescente di persone» si legge nello studio «che acquisiscono, giocando, nuove e complesse capacità che potrebbero aiutare a indirizzare una delle principali necessità della nazione (quella americana, ndr), cioè rinforzare il nostro sistema educativo e preparare i giovani ai lavori del XXI secolo. Il successo di alcuni videogiochi particolarmente complessi dimostra che essi possono insegnare a sviluppare capacità di pensiero elevate quali la formulazione di strategie, l'analisi interpretativa, la risoluzione e l'esecuzione di problemi e l'adattamento rapido ai cambiamenti. Sono queste le abilità che i datori di lavoro cercano».

Uno studio intitolato Teaching with games, condotto dall'Isfe, associazione europea degli editori di videogiochi, insieme all'Electronic arts, il più grande editore di videogiochi al mondo, e alla società di ricerca Futurelab, ha chiesto ai docenti di quattro istituti (medie e superiori) britannici di utilizzare tre videogiochi (The Sims 2, Roller Coaster Tycoon e Kinghts of Honor) all'interno dei programmi scolastici per capire in che modo potessero facilitare l'insegnamento di alcune materie, ottenendo risultati confortanti.

Due insegnanti per esempio hanno utilizzato le accurate simulazioni fisiche di Roller Coaster Tycoon per illustrare e spiegare alcune leggi fisiche, mentre un altro ha utilizzato lo stesso gioco in un corso di design tecnologico. Una versione in francese di The Sims 2 è stata utilizzata nel corso di lingua francese, permettendo ai ragazzi di sviluppare una conoscenza di diversi termini di base, mentre il titolo Knights of Honor, che riproduce eserciti in battaglie medioevali, è stato usato nel contesto di un corso di inglese (scrittura descrittiva) e in matematica (calcolo di soldati e unità necessarie per obiettivi specifici).

Il successo didattico di questi videogiochi trova fondamento anche nella psicologia. «I videogiochi offrono possibilità interessanti, ma bisogna considerare che il software costruito per scopi esclusivamente didattici non suscita un particolare interesse» spiega a Panorama Alessandro Antonietti, direttore del Dipartimento di psicologia dell'Università Cattolica di Milano. «Mentre il software videoludico attrae proprio per l'aspetto del gioco. Il videogioco sviluppa l'apprendimento grazie alla leva motivazionale, l'aspetto di sfida che porta all'automiglioramento. Un'altra dinamica è il senso di controllo, perché sei tu che fai andare le cose in un modo o nell'altro» prosegue Antonietti. «Perché a scuola la gente tende a sviluppare un po' di senso di fatalismo, cioè che per quanto mi impegno non miglioro. Con il videogioco è possibile registrare il miglioramento perché alla fine bisogna proseguire nei livelli, quindi vedo che se mi impegno e mi esercito ci riesco e questo lavora sugli aspetti della motivazione».

Per Francesco Antinucci, direttore della sezione processi cognitivi e nuove tecnologie dell'Istituto di psicologia del Cnr, un ruolo sempre più importante lo ricopriranno i giochi di simulazione che, tra l'altro sono tra i più richiesti sugli scaffali dei negozi.

«Se utilizza la simulazione come strumento didattico, una persona ha la sensazione di scoprire le cose da sola». Sistema quindi più divertente e più motivante del classico libro da memorizzare. «L'apprendimento tradizionale è totalmente passivo» prosegue Antinucci. «Qualcuno ha già fatto tutto, tu non devi far altro che trasferire nella tua testa quello che hanno scoperto. Per questo è difficile. Il simulatore permette di fare esperienza di qualunque cosa e questo è il grande potere».
Negli Stati Uniti l'associazione Serious games initiative sta raccogliendo sempre più consensi, sia all'interno dell'industria videoludica tradizionale sia a livello di conoscenza generale del pubblico. Per fare qualche esempio ci sono titoli come Food Force (preparato con il supporto delle Nazioni Unite) in cui il giocatore deve portare aiuti umanitari a una popolazione che sta vivendo una drammatica carestia. Food Force è stato già scaricato dal web da centinaia di migliaia di utenti.

Sul sito www.socialimpactgames.com sono elencati oltre 200 serious game appartenenti a numerose diverse categorie. Tra questi spicca Virtual U, realizzato per simulare la gestione di un'università. Un altro è Hazmat Hotzone, simulatore utilizzato per permettere ai pompieri di New York City di scegliere le procedure migliori in caso di versamento di materiali pericolosi o contaminanti, sia per una casualità sia nell'eventualità di un attacco terroristico. Ed è proprio la volontà di salvare vite che ha portato la dottoressa Claudia Johnston, vice president for special projects dell'Università Texas A&M Corpus Christi, a intraprendere il progetto Pulse, un simulatore di pronto soccorso che permette a infermieri e medici di praticare l'applicazione di cure, riducendo il rischio di incidenti nel mondo reale.


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ottobre 19, 2010

Diabete, la cura che viene dal mostro; nuovo farmaco ricavato dalla saliva di un lucertolone.
Dal nuovo farmaco ricavato dalla saliva di un lucertolone all'anticorpo che frena il calo di produzione dell'insulina:le novità che riguardano questa epidemia silenziosa.

Solo in Italia sono 3 milioni e le previsioni dell'Oms non sono tranquillizzanti: entro il 2025 potrebbero raddoppiare. Un'epidemia strisciante, che si chiama diabete e di cui, rileva un'indagine Makno Bss (Bilancio sociale salute), il 99,6 per cento degli italiani non pare essere consapevole. Situazione allarmante che riguarda non solo i paesi occidentali, ma anche Africa, Sud-Est asiatico, Medio Oriente, Asia, India e Cina. Urbanizzazione, sedentarietà, dieta sbagliata e obesità sono tra le cause ritenute responsabili di questa malattia metabolica, il diabete di tipo 2, la forma anche più diffusa, detta dell'età adulta e non insulino-dipendente. Il diabete di tipo 1, quello giovanile, costituisce dal 5 all'8 per cento del totale dei malati ed è insulino-dipendente.

Se nel diabete di tipo 1 oltre il 90 per cento delle cellule del pancreas non produce più insulina, nel tipo 2 il problema è diverso: il pancreas ne produce ma l'organismo sviluppa resistenza all'ormone e la sua quantità diventa insufficiente per l'organismo. E l'insulina ha un compito importante: utilizzare sostanze nutritive come gli zuccheri, che restano in circolo con conseguente eccesso di glucosio nel sangue. La possibilità di guarigione per il diabete di tipo 1 non si può dire sia dietro l'angolo, ma qualche spiraglio comincia ad aprirsi. Per esempio, la possibilità di evitare il ricorso quotidiano alle iniezioni di insulina. E molte interessanti novità sono in vista anche per la terapia farmacologica per il diabete di tipo 2. Ecco le novità che riguardano le due forme della patologia.

Diabete di tipo 2 o dell'età adulta.

A un recente convegno mondiale svoltosi a Bari sono state presentate le novità nella terapia del diabete di tipo 2. Fattori genetici e ambientali giocano un ruolo nell'innescare questa forma diffusa (di solito si manifesta negli adulti, ma negli ultimi anni si è notato un suo aumento anche tra gli adolescenti). Esiste, ormai è provato, un legame tra questo tipo di diabete e l'obesità, con un grande fattore di rischio: le malattie cardiovascolari. «L'attenzione dei ricercatori si concentra oggi sulle incretine, ormoni prodotti da cellule dell'intestino con un ruolo importante nel controllo della glicemia. Il più studiato è il Glp-1, il glucagon-like peptide-1» spiega Francesco Giorgino, ordinario di endocrinologia all'Università di Bari. «Siccome il Glp-1 ha una vita breve, l'industria farmaceutica sta cercando di formulare prodotti analoghi (incretino-mimetici) ma con una durata d'azione più lunga».


I NUMERI DELLA MALATTIA

Circa 3 milioni i malati di diabete in Italia
Costo medio annuo per paziente: 3.100 euro
Il 90% sono casi di diabete di tipo 2
Ogni anno in Italia 100 mila nuove diagnosi
194 milioni i casi di diabete 2 nel mondo


Il primo di essi è stato trovato nella saliva del lucertolone del Texas, il Gila monster: ed è già diventato un farmaco antidiabetico di sintesi, l'exenatide. Il Fda, l'ente federale americano che vaglia i nuovi farmaci, ne ha approvato il commercio negli Usa. È indicato per quei pazienti che non rispondono bene ai farmaci orali più usati (metformina e sulfanilurea). Si inietta sottocute come l'insulina, ma al contrario di questa ha il vantaggio di far perdere peso. Presto si potrà disporre anche di inibitori dell'enzima Dpp-IV che degrada il Glp-1 e avrebbero il vantaggio di poter essere presi per bocca. Attraverso un diverso meccanismo d'azione anche il Rimonabant, nuovo farmaco presentato al convegno dell'American diabetes association a San Diego, in California, potrebbe migliorare il controllo glicemico nei diabetici obesi di tipo 2, riducendone il peso corporeo e il rischio cardiovascolare. Sono già in commercio anche in Italia i «glitazoni», farmaci insulino-sensibilizzanti capaci di attivare l'espressione di geni che regolano positivamente il metabolismo degli zuccheri.

«I glitazoni aumentano la produzione di un ormone, l'adiponectina, che facilita il funzionamento dell'insulina» dice Giorgino. «Ma sono importanti anche per il metabolismo dei lipidi e la prevenzione dell'aterosclerosi». Sembrano infatti ridurre il rischio che le lipoproteine dell'Ldl, il colesterolo cattivo, diano luogo a placche, gli ateromi. Inoltre, riducono la produzione di citochine, sostanze naturali che possono, favorendo l'infiammazione, promuovere l'aterosclerosi. L'ideale, continua l'esperto, sarebbe poter disporre di un'unica molecola, attiva anche su altri recettori, per ottenere una maggiore efficacia sul controllo del rischio cardiovascolare, che nel diabetico è elevato. Quasi tutti i diabetici sono ipertesi. E la maggior parte dei diabetici muore di malattia cardiovascolare. «Per cambiare la storia naturale della malattia si dovrebbe evitare la nefropatia diabetica, il danno renale che è una delle complicanze più gravi.

Il primo segnale è la comparsa di piccole quantità di albumina nelle urine (microalbuminuria), dosabile con test specifici, che di solito si manifesta una quindicina di anni dopo la diagnosi di diabete. Questa evolve in macroalbuminuria nel giro di altri 5 anni, e alla fine porta inevitabilmente alla dialisi. E la sopravvivenza media dei diabetici in dialisi è di sei mesi» sottolinea Giuseppe Remuzzi, ricercatore dell'Istituto Mario Negri di Bergamo. Il suo gruppo ha dimostrato che è possibile in molti casi intervenire sulla nefropatia diabetica in fase avanzata con una terapia farmacologica adeguata. L'insulina spray è l'altra novità attesa da tempo dai diabetici sia 1 sia 2: «Sono in corso studi clinici con questa insulina, assorbita dagli alveoli polmonari, che si somministra prima del pasto. Mi aspetto entri in commercio non prima di un anno» osserva Giorgino.

Diabete di tipo 1, detto giovanile.

La rivista scientifica New England Journal of Medicine pubblica i risultati incoraggianti di uno studio clinico realizzato da biologi e medici francesi, belgi e tedeschi, e coordinato dalla ricercatrice francese Lucienne Chatenoud dell'Inserm di Parigi. La ricerca ha coinvolto 80 pazienti cui era stata appena fatta una diagnosi di diabete di tipo 1. Per sei giorni consecutivi una metà di loro è stata curata con anticorpi anti-Cd3, mentre all'altra metà è stato dato un placebo. La terapia sperimentale ha dimostrato di poter preservare, per una durata di 18 mesi, la funzionalità residua delle cellule del pancreas che producono l'insulina, riducendo il fabbisogno dell'ormone somministrato. I dati hanno acceso, ovviamente, molte speranze, si è parlato di un avanzamento significativo, se non storico, nella terapia.

Come funziona?
Questa forma di diabete, che si manifesta soprattutto in età giovanile, è scatenata da una reazione autoimmune dell'organismo che aggredisce se stesso, prendendo di mira le cellule pancreatiche che producono insulina. A compiere il misfatto sono i linfociti T, cellule del sistema immunitario responsabili di danni irreversibili al pancreas, quello endocrino. Il pancreas esocrino sintetizza invece succhi digestivi. Si era già tentato con la ciclosporina, farmaco capace di sopprimere le reazioni immunitarie eccessive e dannose, poi lo si accantonò perché richiede una somministrazione a tempo indeterminato e ha pesanti effetti collaterali. La strategia messa in atto dall'équipe di Chatenoud consiste nel bloccare con un anticorpo «umanizzato» il Cd3, quel segmento del recettore dei linfociti T cui si lega l'auto-anticorpo che distrugge le cellule del pancreas secernenti l'insulina.

Metodo messo in discussione da alcuni esperti italiani: «Mi sorprende l'enfasi con cui lo studio è stato salutato in Francia. La ripresa funzionale delle cellule beta del pancreas è stata ottenuta in studi selezionati, utilizzando nei pazienti neodiagnosticati un microinfusore e terapie adiuvanti meno tossiche dell'anticorpo anti-Cd3» avverte Paolo Pozzilli, diabetologo all'Università di Roma. Aggiunge Remuzzi: «Sono risultati interessanti, ma deboli e non trasferibili per ora alla pratica clinica quotidiana. La strada da perseguire è utilizzare farmaci che, senza ridurre l'attività dei linfociti T, agiscano su altre cellule immunitarie, le dendritiche».
Oppure vaccinare i bambini a rischio con l'antigene (non ancora identificato con certezza, forse è l'insulina) che scatena la reazione, in modo da renderli più tolleranti».


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ottobre 16, 2010

Un rapporto dell'Iucn denuncia: in Africa, spariscono i pesci d'acqua dolce primo alimento per milioni di persone
Un rapporto dell'Iucn denuncia: il 21% delle specie animali e vegetali è a rischio di estinzione. Le cause sono legate anche all'intervento sconsiderato dell'uomo, dalle dighe all'agricoltura fino al prelievo eccessivo delle risorse

Il 21 per cento delle specie d'acqua dolce dell'Africa continentale è a rischio di estinzione, con conseguenze devastanti per milioni di persone per le quali la pesca rappresenta la principale fonte di sostentamento. E' l'allarme lanciato dall'International union for conservation of nature and natural resources (Iucn), che ha incaricato duecento scienziati di valutare per cinque anni la situazione di 5.167 specie animali e vegetali che popolano laghi e fiumi africani: tutti i pesci, ma anche molluschi, gamberi, libellule e determinate piante acquatiche.

Il rapporto giunge a risultati allarmanti e sottolinea che il danno alle specie d'acqua dolce deriva sempre dall'intervento dell'uomo: dall'agricoltura, dal prelievo di acqua, dalle dighe e dall'intriduzione di specie estranee ai singoli habitat locali. "Anche se l'acqua dolce costituisce solo l'uno per cento della superficie del pianeta, questi ecosistemi ospitano il sette per cento di tutte le specie", sottolinea Jean-Christophe Vié, vicedirettore del programma Iucn per la biodiversità.

In questa realtà di equilibri molto fragili, la perdita anche solo di una singola specie può avere un impatto catastrofico sull'esistenza di una comunità. Nel lago Malawi, ad esempio, un gruppo di pesci chiamati "chambo" costituisce per la popolazione locale una fonte importantissima di cibo. La Oreochromis karongae, invece, è specie ormai a rischio di estinzione perché è stata oggetto di un prelievo sconsiderato che, negli ultimi dieci anni, ha portato a una riduzione del 70% della popolazione ittica. Nel lago Vittoria, infine, il declino della qualità dell'acqua e l'introduzione del gigantesco persico del Nilo (Lates niloticus) negli ultimi trent'anni ha causato la scomparsa di molte specie indigene.

L'allarme dell'Iucn insiste sul fatto che intorno ai grandi laghi africani il pesce è la principale fonte di proteine e che l'esistenza di almeno sette milioni e mezzo di persone nell'Africa sub-sahariana dipende dalla pesca. E non solo del pesce: molluschi, gamberi e piante acquatiche fanno tutti parte della dieta quotidiana delle popolazioni e contribuiscono al mantenimento di un ecosistema vitale.

"Acqua potabile e fognature adeguate sono il fondamento della sopravvivenza, del benessere e della dignità umana", ha ammonito il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, al recente vertice Onu sulla povertà. E come è stato sottolineato dall'Onu alla Giornata mondiale dell'acqua, nel marzo scorso, la carenza di acqua da bere uccide più persone della guerra. In Africa, è un'emergenza che sta mettendo in ginocchio il continente.

Tra le ong, l'Amref da più di 50 anni opera in Africa proprio sui progetti idrici, suddivisi tra Kenya e Tanzania.
In Kenya interviene nelle regioni di Makueni e Kitui, nella provincia orientale del paese, in Kibwezi, nella parte sud-orientale, in Kajiado, nella provincia della Rift Valley che confina con la provincia di Makueni, e a Dagoretti, una delle baraccopoli di Nairobi: terre aride e semiaride tra le più povere del Kenya. Le fonti d'acqua, compresi fiumi, dighe e pozzi aperti, sono contaminate e quindi non utilizzabili.?

Le tre regioni inoltre sono soggette a ricorrenti siccità che provocano distruzione dei raccolti, decimazione dei capi di bestiame, malnutrizione e morte. In Tanzania, invece, l'Amref lavora nella regione di Mkuranga, a sud di Dar es Salaam, dove il principale problema è la contaminazione dell'acqua.? Acqua contaminata significa diffusione di malattie: malaria, vermi intestinali e tracoma, che porta alla cecità, sono solo alcune delle patologie che colpiscono famiglie e comunità, mettendo in pericolo di vita centinaia di migliaia di persone.


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ottobre 13, 2010

Le migliori applicazioni per iPad: SketchBook Pro.
SketchBook Pro è un’applicazione per il disegno e la pittura su iPad prodotta da Autodesk e “figlia” del software omonimo per Pc e Mac.
Il suo utente ideale è l’artista abituato a lavorare con Photoshop o Painter, ma con un po’ di pratica può essere tranquillamente utilizzata da chiunque anche solo per fare dei semplici schizzi.

Come funziona.

La creazione dell’immagine può partire da un livello di sfondo vuoto o da una foto presente in Immagini. Dal pannello dedicato ai livelli si può anche scegliere un template da usare come base o come guida.

Tra questi troviamo sfondi che richiamano la carta (quadrettata, a righe, da storyboard, carta per musica…) e tracce utili per i piani prospettici.

La scelta dei template
La forza del software risiede nell’interfaccia pulita e nel suo uso: il menu superiore offre gli stumenti principali, quello dei livelli mostra un pannello verticale che permette di riordinare i livelli trascinandoli, un menu di forma circolare permette di cambiare dimensione e opacità del pennello senza dover accedere al pannello dedicato. Una serie di gestures, ovvero combinazioni di movimenti delle dita sullo schermo, rendono immediate alcune operazioni come Undo e Redo (indietro e ripristina, azionabili con tre dita che scorrono a sinistra o a destra) o l’apertura di pannelli (tre dita in su per i livelli, tre dita in giù per l’editor dei pennelli).

Cambiare dimensione e trasparenza *al volo*
Un altro aspetto non certo trascurabile è la gamma piuttosto ampia di pennelli con diverse caratteristiche preimpostate, modificabili tramite un ulteriore pannello.

Le impostazioni avanzate del pennello e il pannello dei livelli
Al momento sono 75 i pennelli presenti, di cui 45 utilizzabili per disegnare e ottenere effetti particolari o texture convincenti, 30 quasi escusivamente basati su immagini (ma non particolarmente utili).
Parlando di livelli, se ne possono creare fino a sei, se ne può determinarne l’opacità e preservare la trasparenza; nell’ultimo aggiornamento sono state implementate alcune opzioni di fusione.
Altre caratteristiche interessanti dell’applicazione sono la possibilità di utilizzare l’effetto Mirror, utile per creare immagini simmetriche o effetti particolari, la funzione di modifica del livelllo, che permette di ridimensionare o ruotare l’immagine sulla quale si ta lavorando e il livello molto alto dello zoom, che arriva a quota 2500% d’ingrandimento.
Per quanto riguarda l’esportazione delle immagini create, è possibile inviarle alla raccolta Immagini di iPad, via email e via iTunes. In questi due ultimi casi, si può scegliere anche di inviare una versione dell’immagine contenente i livelli.

La selezione del pennello e dei colori

La gallery e le sue funzionalità

Conclusioni (e una nota su Brushes)

SketchBook Pro per iPad oltre a fornire ottimi stumenti per la creazione di immagini risulta molto stabile e ha una buona risposta: anche utilizzando pennelli di grosse dimensioni tende a non subire rallentamenti che ne pregiudichino l’uso intensivo.
Nel momento in cui scrivo le uniche applicazioni di alto livello per il disegno su touchscreen sono Brushes e SketchBook Pro, ed è abbastanza difficile decretare tra le due quale sia effettivamente quella più valida: anche rivolgendosi alle community mirate si trovano pareri discordanti, spesso guidati dal semplice gusto personale. Trovo più onesto giudicare entrambe le applicazioni come le migliori nel campo, benché non includano le medesime caratteristiche.
L’app di Autodesk a mio avviso è superiore nell’interfaccia, la stabilità e la ricchezza di pennelli realmente utili. Brushes è superiore grazie la possibilità di esportare il filmato della costruzione dell’immagine e convertire quest’ultima una versione in alta risoluzione (sei volte più grande dell’originale) tramite un software dedicato.
Imparando a usare bene entrambe si possono ottenere gli stessi risultati.

fonte: Panorama

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