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dicembre 18, 2010

Appalti ad personam i Comuni sprecano due miliardi di euro. L'Authority diffida i sindaci, basta affidamenti diretti.
Le lettere di diffida sono partite, senza troppa pubblicità, nelle ultime settimane. Destinatari, i sindaci delle più grandi città italiane: Milano e Roma, ma anche Torino, Bologna, Firenze, Napoli e Bari. Oggetto: il ricorso - giudicato eccessivo, dannoso per le casse pubbliche e talvolta persino illegale - alla cosiddetta «procedura negoziata». In altri termini la concessione di appalti in modo diretto, senza pubblicazione di bando, quella che una volta si chiamava trattativa (o licitazione) privata e che oggi è diventata in questi e molti altri comuni una autentica routine. Una sorta di prassi consolidata. Mittente delle lettere a Gianni Alemanno e Letizia Moratti è Giuseppe Brienza, presidente della Autorità di vigilanza sui contratti pubblici.

Che annuncia altre decine di lettere di diffida ai sindaci di altre città. Quali sono gli appalti nel mirino del garante? Quali sindaci hanno compiuto abusi? Chi sono i beneficiari delle «corsie preferenziali» per l'affidamento di lavori e servizi? E in definitiva, quanto costa alle casse pubbliche tutto ciò? LO SPRECO DEI COMUNI Impoveriti dai mancati introiti dell'Ici e dai tagli del trasferimenti statali, i Comuni continuano imperterriti a spendere più del necessario per gli appalti. La trattativa privata, a conti fatti, costa infatti - a parità di servizi erogati e di lavori eseguiti - almeno l'8 per cento in più. Tradotto in euro significa ogni anno uno spreco di 1 miliardo e 748 milioni. A che cosa serva questo spreco - quando non dovuto a semplice insipienza - lo spiega la stessa Authority, avanzando il sospetto che dietro la violazione dei principi della libera concorrenza ci siano gruppi politico-affaristici.

Scambi di favori, o peggio ancora collusioni con il mondo della criminalità. Secondo un documento riservato del garante degli appalti, al vertice della classifica dei Comuni che ricorrono più spesso alla procedura negoziata per lavori, servizi e forniture c'è Milano (63 per cento), seguita da Bologna (61 per cento), e Roma (53 per cento). Una situazione «intermedia» si verifica in altre città dove i valori oscillano tra il 22,3 di Torino e il 33 per cento di Napoli. L'Autorità di vigilanza sta provando appunto a mettere ordine in questo far west delle stazioni appaltanti pubbliche. «Se non si metteranno in regola con la legge - ammonisce Brienza - procederemo a ispezioni e denunceremo tutto alla Corte dei conti». Il danno erariale, spiega il garante, c'è. A quella cifra di quasi 2 miliardi all'anno di spreco si arriva partendo dal dato generale: in Italia il valore degli appalti pubblici ammonta a 100 miliardi l'anno (circa il 6 per cento del Pil) per un milione e mezzo di occupati. «Il ricorso alla procedura negoziata per 22 miliardi di euro - aggiunge Brienza - crea un aggravio di spesa dovuto al maggior costo rispetto alla procedura normale». Guardando le cifre ci si accorge che con la procedura negoziata si spunta in media un ribasso inferiore (del 15 per cento) rispetto a quello che si otterrebbe con l'appalto pubblico (ribasso del 23 per cento). In questa differenza è lo spreco.

Che va tutto a carico della collettività. Le domande sono d'obbligo: perché i sindaci cercano di aggirare le procedure che garantiscono i vantaggi del libero mercato? Perché non si affidano ai sistemi che offrono più trasparenza e maggiori risparmi? POLIZZE E SCUOLE Il Nord dunque ha il primato del ricorso alla trattativa privata. Loro, i sindaci, dicono che è necessario per «sveltire le pratiche burocratiche ed accelerare le procedure». Vediamo i casi più eclatanti, quelli già sotto osservazione negli uffici del garante. Il Comune di Milano guidato da Letizia Moratti per esempio ha assegnato con procedura diretta, senza alcuna pubblicazione di gara, una mega polizza «per i danni verso terzi» da 26 milioni di euro alla Milano Assicurazioni di Salvatore Ligresti. Società che ha chiuso il bilancio 2009 con una perdita di 169 milioni. Altro affido diretto, per così dire ad personam, è quello per la manutenzione degli edifici scolastici: 10 milioni e 367 mila euro alla società consortile F205 dei costruttori Corrado Ravelli, Sergio Grando e Giovanni Fenini. Il comune della Moratti per i lavori fa ricorso all'affidamento diretto solo nel 4,9 per cento dei casi. Ma batte tutti nella voce «servizi», dove tre volte su quattro si procede tramite procedura negoziata.

Alla fine la somma è questa: 16,5 milioni di «lavori», 10,5 milioni di «forniture» e 129 milioni di «servizi». Il maggior onere rispetto al bando pubblico - secondo il calcolo di Repubblica - ammonta a 12,5 miloni. Stessa «ripartizione» a Torino, che stanzia a trattativa privata 13 milioni per «lavori», 4,8 milioni per «forniture» e 144 milioni per «servizi». Gi stessi appalti, se assegnati a gara pubblica, sarebbero costati circa 13 milioni in meno. Anche a Torino c'è una società che senza gara d'appalto ha ottenuto i lavori di manutenzione ordinaria di «edifici vari» del Comune: la Lavorincorso di Giuseppe Merolla e Simona Schiavi. L'importo è decisamente meno esoso rispetto a Milano: 500 mila euro. Sergio Chiamparino, sindaco di Torino e presidente dell'Anci - l'associazione nazionale dei comuni italiani - nonché uno dei sette diffidati dal garante, la spiega così: «In generale la procedura negoziata serve ad accelerare le procedure burocratiche che sono molto lente e a snellire indirettamente le norme sugli appalti che sono inefficaci. Senza contare che alla lentezza della procedura secondo il bando pubblico non sembra corrispondere una garanzia di trasparenza e di difesa dalle infiltrazioni corruttive.

Non mi risulta del resto che ci siano dei processi per corruzione che riguardano gli appalti affidati a trattativa privata». E aggiunge: «Risponderemo all'Autorità che noi siamo tranquilli, più che tranquilli. E faremo pressioni affinché le procedure attuali troppo farraginose vengano riviste dal parlamento». Chiamparino parla anche a nome delle altre amministrazioni comunali «diffidate». Tra queste anche Bologna e Firenze. A Bologna (ora commissariata) c'è uno dei mega appalti concessi senza gara: i 5 milioni e mezzo per l'assistenza domiciliare agli anziani, conferito direttamente al consorzio cooperativo che prende il nome dalla stella rossa della costellazione Alfa Tauri: Aldebaran. Consorzio presieduto da Pietro Segata, noto imprenditore cooperativo di Agci e Lega. Altro grande appalto con affidamento diretto a Firenze, dove il Comune, con l'obiettivo di migliorare la qualità dell'aria, ha deciso di procedere senza pubblico incanto, affidando direttamente alla srl della famiglia Bigalli lavori per 351 milioni di euro per la «riqualificazione delle alberature della città». Con lo stesso sistema sono stati spartiti 3 milioni e 500 mila euro fra la Inso spa del consorzio Etruria (amministrato dall'ex manager Unicoop Riccardo Sani) e la Cofathec del gruppo belga Gdf Suez Energy per le «sistemazioni esterne» del nuovo palazzo di giustizia. Bologna si è accollata una maggiore spesa di 4 milioni e 800 mila euro per spendere 7 milioni di «lavori», 2,7 milioni di «forniture» e 50,5 milioni di servizi senza bandire appalti. Firenze potrebbe avere 3 milioni e 100 mila euro in cassa se non avesse fatto ricorso alla scorciatoia della procedura negoziata nell'affidare 25,8 milioni di lavori, 3,3 milioni di «forniture» e 9,5 milioni di «servizi». LE BUCHE ROMANE Il sindaco Gianni Alemanno non deve preoccuparsi in questi giorni solo della parentopoli e delle assunzioni di favore nelle società comunali dei trasporti urbani e della raccolta e smaltimento dei rifiuti, Atac e Ama. In realtà sul tavolo del sindaco sta per arrivare un'altra patata bollente: quella dei lavori per la manutenzione stradale. Come già raccontato da Repubblica (inchiesta "Buche killer sulle strade, ecco chi ci guadagna", del 23 aprile 2010). Se il Nord si distingue per il ricorso alla trattativa privata nelle voci forniture e servizi, alla voce lavori prima in classifica è proprio Roma. Dove gli appalti "ad personam" sono il 62,2 per cento del totale.

Il Comune spende per lavori a trattativa privata 249 milioni (20,6 milioni per le «forniture» e 159 milioni per «servizi»). Il mancato risparmio, rispetto alla procedura regolare aperta a tutti, ammonta a 34 milioni di euro. Tra il 2007 e il 2009 il Camnpidoglio ha moltiplicato le procedure negoziate rispetto alle gare d'appalto proprio per i lavori stradali. Il garante ha dato al sindaco Alemanno 30 giorni di tempo per giustificare il ricorso a quelle «procedure che non sono corrette in quanto in contrasto con i principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza». Le contestazioni alla giunta capitolina sono gravi quanto puntuali. Riguardano gli importi: «Il Dipartimento XII - si legge nella lettera di diffida - nel 2009 ha affidato con procedura negoziata 102 interventi per un importo complessivo a base d'asta di 82 milioni di euro». E la trasparenza: «Per quanto concerne i criteri di individuazione delle imprese invitate alle procedure negoziate, la Direzione dipartimentale ha fatto riferimento all'estrazione senza indicare eventuali elenchi di riferimento, né concrete modalità di estrazione». E poi: «Il Dipartimento politiche per la riqualificazione delle periferie ha proceduto esclusivamente a procedure negoziate senza indicare criteri prestabiliti per l'individuazione delle imprese da invitare». A Roma, «il servizio di monitoraggio del territorio comunale con l'elicottero per l'espletamento dei compiti istituzionali della polizia municipale» è stato assegnato, sempre con la procedura diretta, all'Elifriulia di Annamaria Coloatto. Perfino la «pulizia del fosso di ponte ladrone» la giunta Alemanno l'ha affidata a trattativa diretta alla srl dei fratelli Schiavi di Fiumicino. E poi c'è l'appalto da 800 mila euro delle divise estive dei vigili alla famiglia Marzotto. Tutte cose così urgenti da richiedere la trattativa privata? Perché Alemanno non ha invitato più imprese a sfidarsi nell'offerta, riservandosi poi di scegliere la migliore?

IL MODELLO ANTIMAFIA A volte gli appalti si trasformano in teatro dell'assurdo. A Napoli la giunta Iervolino per esempio ha consegnato direttamente alla cooperativa Fradel (amministratore Guglielmo Del Prete) l'incarico della «manutenzione straordinaria della scuola elementare Madonna Assunta» Peccato che la scuola sia già stata dichiarata inagibile un anno fa dalla Procura. L'amministrazione partenopea avrebbe nelle casse 8,6 milioni di euro in più se invece di affidare con procedura negoziata «lavori» per 23 milioni, «forniture» per 7,6 milioni, «servizi» per 76,6 milioni, avesse rispettato la normativa prevista dalla legge. A Bari, il sindaco Michele Emiliano ha incaricato di ristrutturare «l'arredo del centro sociale nel quartiere Enziteto» (nell'ambito dell'annoso e controverso «progetto cittadella») all'ingegnere Nicola Locuratolo e alla snc Lagomare di Luigi Altieri, ai quali ha assegnato 656 mila euro ciascuno. A Bari lo «spreco presunto» ammonta a un milione di euro, visto che l'amministrazione ha assegnato in modo diretto «lavori» per 6,6 milioni, «forniture» per 2,5 milioni e «servizi» per 3,6 milioni. Situazione diametralmente opposta si osserva nelle terre di mafia e 'ndrangheta: il comune di Palermo non ricorre praticamente mai (appena nell'1% dei casi) a tale procedura che del resto è espressamente limitata da una rigidissima norma regionale approvata in nome dell'antimafia. «Una gara trasparente e pubblica - spiega Ivan Lo Bello, presidente antimafia della Confindustria siciliana - è la garanzia che venga scelta sul mercato la ditta più competitiva.

Per questo tutte le amministrazioni dovrebbero utilizzare il tradizionale bando pubblico e prendere esempio dalla nostra normativa che riduce ai minimi termini il ricorso alla trattativa privata. Già nel nostro territorio la mafia ha la capacità di infiltrarsi nelle procedure pubbliche attraverso cartelli. Figuriamoci cosa potrebbe accadere se i lavori fossero affidati senza gara, ma in modo diretto». Un sistema di regole, quello contro mafia e altre organizzazioni criminali, che certo non ha impedito ai boss di controllare una grande fetta della spesa pubblica di ogni singolo comune. Ma che certo può limitare alle famiglie politico-affaristiche la possibilità di tagliare fuori dagli appalti le imprese meno «amiche». 63% A MILANO Nel capoluogo lombardo 63 appalti su cento sono senza gara 61% A BOLOGNA Si ricorre alla trattativa privata nel 61 per cento dei casi 53% A ROMA Nella capitale la licitazione privata riguarda 53 appalti su cento 1% A PALERMO Solo nell'1 per cento dei casi si fa ricorso alla trattativa privata REGNO UNITO In Inghilterra si fa ricorso a procedure negoziate con bando per appalti sopra soglia comunitaria (5 milioni di euro), in 102 gare su 2178, il 4,7 per cento dei casi GERMANIA In Germania si ricorre a trattativa privata con bando per importi superiori alla soglia comunitaria (5 milioni di euro) in 408 gare su 15445, il 2,6 % dei casi SPAGNA In Spagna si fa ricorso a trattativa privata con bando per importi superiori alla soglia comunitaria (5 milioni di euro), in 11 gare su 3213, lo 0,3 per cento dei casi.

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L'acqua su Marte e la vita artificiale, ecco le grandi scoperte del decenio.
Nella classifica di "Science" anche gli studi su dinosauri e batteri. Con gli studi sui metamateriali tra poco sarà realtà il mantello dell'invisibilità. Oggi un singolo calcolatore snocciola il dna di tre individui in una settimana.

In dieci anni abbiamo imparato a vedere meglio. I nostri occhi si sono posati sui singoli neuroni che "si accendono" nel cervello, hanno spiato la vita interiore della cellula e seguito in diretta lo sviluppo di un embrione. Hanno raggiunto pianeti simili alla Terra, annusato l'acqua su Marte e "fotografato" l'universo bambino nei primi istanti dopo il Big Bang.

È ricco di figurine, l'album delle scoperte del decennio della rivista Science. Come quella della livrea colorata di alcuni dinosauri del Giurassico, frutto della scoperta che il Dna può conservare dopo decine di migliaia di anni le sue informazioni e far rivivere di fronte ai nostri occhi il volto di un uomo di Neanderthal di 40mila anni fa (pelle chiara e i fulvi) o il sangue di un mammuth, che conteneva un antigelo per sopravvivere agli inverni.
Dal freddo al caldo, la galleria delle scoperte ci ricorda che un decennio fa non parlavamo di riscaldamento climatico se non in termini molto dubitativi. Oggi, scrive la rivista americana, "il riscaldamento è inequivocabile, il fatto che sia causato dall'uomo è molto verosimile e altrettanto improbabile è la capacità della natura di ristabilire l'equilibrio autonomamente".

In compenso, l'orizzonte del nostro sguardo si è allargato. E lo scritto che 410 anni fa contribuì a mandare Giordano Bruno al rogo ("Ci sono innumerevoli soli e innumerevoli terre che ruotano attorno ai loro soli") oggi è più di una certezza:
è un'applicazione per l'iPhone che permette di seguire la scoperta di nuovi esopianeti potenzialmente abitabili. Attualmente sono oltre 500.

Analoga alla scoperta che non è il Sole a ruotare attorno alla Terra è - secondo Science - l'osservazione che nel corpo umano solo una cellula su dieci ci appartiene. Tali e tanti sono i batteri che abitano pacificamente il nostro organismo che se ragionassimo in termini numerici avrebbero la netta maggioranza. Contarli è stato un compito possibile grazie alla rapidità che il sequenziamento del Dna ha raggiunto. Dieci anni fa la lettura del primo genoma umano venne annunciata con grande fanfara, dopo un decennio di lavoro da parte di centinaia di scienziati e altrettanti computer. Oggi un singolo calcolatore snocciola il Dna di tre individui in una settimana.

Nella classifica del 2010, a vincere è la "macchina quantica" dei ricercatori dell'università della California. Per la prima volta, spiega Science, "un oggetto costruito da un uomo non si muove secondo le leggi della meccanica classica ma secondo la meccanica quantistica", in cui atomi e particelle non stanno mai fermi e possono trovarsi in due luoghi contemporaneamente.

Nel decennio passato abbiamo imparato a vedere meglio, ma nel prossimo forse non vedremo più nulla. Se andranno in porto gli studi sui metamateriali che deflettono la luce, gli scienziati ci stupiranno con il mantello dell'invisibilità. I suoi primi frammenti stanno prendendo forma nei laboratori. Arrivederci al prossimo decennio potrebbe non essere l'augurio migliore.
fonte: Repubblica Scienze



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dicembre 17, 2010

L'orso polare non è spacciato smentiti i catastrofisti.
L'estinzione dell'animale simbolo del riscaldamento globale non sarà repentina ma graduale, quindi ci sono ancora margini per intervenire a sua difesa tagliando le emissioni di CO2. I risultati di una ricerca pubblicata su "Nature"

Per l'orso polare il tempo non è ancora scaduto. L'animale simbolo della minaccia del riscaldamento globale sulla biodiversità non è spacciato e ci sono ancora delle possibilità di salvarlo dall'estinzione. Ad accordare il necessario "recupero" dovrà essere però l'uomo, con efficaci politiche di contrasto ai cambiamenti climatici.

A sostenerlo non è un generico appello di qualche associazione ambientalista ma una circostanziata ricerca scientifica pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature 1. Incrociando i dati sulle proiezioni dello scioglimento dei ghiacci dell'Artico in base all'andamento delle emissioni di gas serra con le capacità di resistenza dell'orso bianco, una equipe formata da studiosi di diversi atenei ed enti di ricerca statunitensi è giunta alla conclusione che diversamente da quanto comunemente creduto ci sono ancora concrete possibilità di scongiurarne la scomparsa.

A profetizzare l'estinzione dell'orso polare era stata in particolare una ricerca datata 2007 dell'agenzia geologica Usa, la United States Geological Survey , che prevedeva la morte di due terzi della popolazione mondiale di Ursus maritimus entro il 2050. Proiezioni, sottolinea il nuovo studio, che non tenevano però conto della possibilità di riuscire a rallentare lo scioglimento dei ghiacci grazie all'azione di mitigazione dovuta alla riduzione delle emissioni di gas serra, prima fra tutte l'anidride carbonica. L'assunto era infatti che esistesse una soglia di restrizione dei ghiacci ormai impossibile da evitare e una volta superata la quale il collasso dell'orso sarebbe stato irreversibile. In questo caso la mitigazione avrebbe potuto ben poco.

La nuova ricerca, prendendo in esame parametri ritenuti più attendibili, arriva invece alla conclusione che esista un rapporto proporzionale tra la quantità di ghiaccio perso e il numero di orsi a rischio di estinzione. In questo caso ogni chilometro quadrato in più di ghiaccio sottratto allo spegnimento significa dunque mettere in sicurezza un certo numero di orsi. La ricerca pubblicata su Nature ritiene che adottando decise misure di riduzione delle emissioni di CO2, alla fine del secolo il numero di orsi sopravvissuti ai cambiamenti climatici potrebbe essere maggiore rispetto a uno scenario "business as usual" così come più vasto del previsto potrebbe essere il loro areale.

Conclusioni sostenute anche da nuove proiezioni su come la termodinamica dell'interazione tra mare e ghiaccio sarebbe in grado di sovrastare la possibile ulteriore impennata nelle temperature (effetto feedback) innescata dal venire meno del potere riflettente (albedo) della superficie ghiacciata . "Essendo gli orsi polari sentinelle dell'ecosistema marino artico - conclude lo studio - mitigare le emissioni di gas serra per migliorare il loro status porterebbe benefici conservazionisti a tutto l'Artico e anche oltre".


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dicembre 05, 2010

I netbook con Chrome come sistema operativo pronti per la presentazione ufficiale.
Il mondo dell’Information Technology attende ormai da tempo la presentazione del primo sistema operativo del colosso di Mountain View che, rispetto ai concorrenti, dovrebbe essere interamente basato sul concetto di cloud computing e sui servizi Internet offerti gratuitamente da Google.

L’idea principale non è solo quella di sfidare colossi come Windows, Macintosh e Linux, ma anche di diventare una valida alternativa per privati ed aziende al fine di aumentare ulteriormente il proprio bacino di utenza ed il proprio prestigio.

La società del search engine ha inviato un invito ufficiale per il prossimo 7 dicembre per una presentazione, che si svolgerà in quel di San Francisco, inerente Chrome, ovvero il browser del BigG. Per l’evento sono state promesse exciting news, dichiarazione che ha fatto sperare l’arrivo del prossimo operating system.

Nonostante l’invito abbia come protagonista il software per la navigazione Internet, è possibile la presentazione di un nuovo netbook economico equipaggiato con l’ormai attesissimo Google Chrome OS. Quello che è quasi certo è che verrà presentato il Chrome Web App Store, ovvero il negozio di contenuti dedicati proprio al celeberrimo browser gratuito di Google.

Non rimane quindi altro che attendere l’arrivo della prossima settimana, nella quale ovviamente si scoprirà cosa bolle in pentola all’interno della società di Mountain View.

  • È un sistema operativo open source.
  • Impiega solo 7 secondi[senza fonte] ad avviarsi in un computer con hard disk SSD. Non sono noti i tempi di avvio su un computer con hard disk tradizionale.
  • Utilizza Google Cloud Print per stampare qualsiasi file senza alcun bisogno di driver. Il motivo è probabilmente legato alla disponibilità, a volte scarsa, dei driver di stampanti e scanner per Linux, su cui Chrome OS si basa.
  • L'interfaccia utente è molto simile a quella di Google Chrome.
  • È totalmente gratuito.
  • È compatibile con le seguenti marche di computer: Acer, Adobe, ASUS, Freescale, Hewlett-Packard, Lenovo, Qualcomm, Texas Instruments e Toshiba.
  • Tutte le estensioni del browser Google Chrome sono disponibili anche per il sistema operativo.

Chrome OS avrà un lettore multimediale tutto suo
.
Matthew Papakipos, direttore degli ingegneri al lavoro su Chrome OS, ha assicurato che Chrome OS avrà un lettore multimediale unico per video, foto e musica che ci permetterà di “godere” dei nostri contenuti anche in modalità offline.
Supporterà (da bravo player-web) anche i formati flash e il neo introdotto HTML5.
Ovviamente è garantita massima integrazione con tutti i file che dovessero essere ricevuti via mail su GMail, con la possibilità di usufruire subito del contenuto senza dover aprire altre pagine.

Nuovo file per installare Chrome OS in una chiave USB da 1Gb.



Win32-Disk-Imager

Inizialmente il requisito minimo era una chiavetta da 4Gb. Adesso sviluppato un nuovo file che entra in una chiave da 1Gb.


Ecco come Chrome OS sfrutterà l’accelerometro con HTML5.

gioco accelerometro

Leggero e simpatico HTML5-game (effettivamente più scomodo da pronunciare rispetto a Flash-game) che sfrutta tutta la potenzialità di HTML5 e l’accelerometro del vostro computer.

Al momento conosciamo solo gli ultimi MacBook Pro con questo accessorio incluso. Se avete quindi uno degli ultimi MacBook e una versione recente di Chromium testate con questo simpatico gioco.

Purtroppo il gioco non è compatibile con gli smarpthone Android 2.2


 

Ricerca personalizzata
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dicembre 01, 2010

Sanità, spesa per la salute alle stelle. Un’Italia sempre più anziana e propensa al consumo sanitario.
Un’Italia sempre più anziana e propensa al consumo sanitario, con oltre 1 miliardo e 300 milioni di prestazioni sanitarie annuali, circa 22 a testa, oltre 12 milioni di ricoveri, per un totale di 76 milioni di giornate di degenza in un anno. A fronte di ciò la spesa sanitaria corrente è costantemente cresciuta negli ultimi dieci anni, passando da 52,2 miliardi di euro nel 1996 a 98,7 miliardi nel 2006.

In un servizio sanitario che riduce i posti letto, la spesa per il personale dal 1998 al 2008 è costantemente cresciuta, con un aumento in 10 anni di 11,8 miliardi di euro, pari a oltre il 50%. Sono alcuni elementi della fotografia scattata dal Compendio SIC – Sanità in cifre 2009, elaborato dal centro studi SIC di FederAnziani in collaborazione con il Ceis di Tor Vergata e l’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Il compendio, punto di riferimento per il mondo della sanità, è giunto alla sua IV edizione. Alla presentazione del volume, svoltasi preso il ministero della salute, sono intervenuti il Ministro della Salute Ferruccio Fazio, Anna Rosa Racca, Presidente di Federfarma, Maurizio De Cicco, Vicepresidente di Farmindustria, Americo Cicchetti, dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Francesco Saverio Mennini, del CEIS Tor Vergata, Fabrizio Pregliasco, dell’Università degli studi di Milano. “Dichiarare guerra agli sprechi, con notevoli risparmi, è possibile adottando misure semplici e razionali, come migliorare la comunicazione tra Asl e Asl, acquistando prodotti e servizi al miglior prezzo e qualità. Ponendo rimedio, insomma, a una serie di storture che il compendio SIC Sanità in cifre mette in evidenza” ha dichiarato Roberto Messina, presidente di FederAnziani. Un particolare riconoscimento dal presidente di FederAnziani è andato all’Agenzia italiana del farmaco: “Un pubblico ringraziamento va alla sensibilità e alla professionalità dell’Aifa – ha dichiarato Messina rivolgendosi al ministro Fazio – che sposterà finalmente in fascia A i farmaci in associazione contro l’ipertensione; una scelta che contribuirà a migliorare la vita di tanti malati”.

Il ministro Fazio ha sottolineato l’importanza del lavoro svolto da FederAnziani e indicato come necessario un “percorso costruito sul territorio, in cui l’anziano sia al centro”, superando la visione “dell’ospedale sotto casa, inutile e costoso”. Ed ecco alcuni dati emersi dal compendio: Nell’Italia del 2008 la popolazione nella fascia 65 anni e oltre rappresenta il 20,1% del totale, il 5,6% ha più di 80 anni, il 65,8% ha un’età compresa tra i 15 e i 64 anni, e il 14,1% ha meno di 14 anni. Il numero medio di figli per donna è 1,41, l’indice nazionale di vecchiaia è di 143,1.

La Liguria rappresenta in termini percentuali la regione con più anziani, mentre la Campania è la regione più giovane. La speranza di vita alla nascita mostra un andamento positivo ma per il 2009 non registra incrementi rispetto all’anno precedente: per la popolazione maschile il dato è di 78,7 anni, per quella femminile di 84 anni. Le regioni del centro mostrano un dato migliore (79,1 per gli uomini – 84,2 per le donne). La regione più longeva risulta le Marche. I valori più bassi sono quelli registrati al sud (78,3 – 83,6). In coda la Campania (77,3 – 82,7). I matrimoni in Italia nel 2008 sono stati 249.242, i nati vivi 569.224, le morti 582.421, con un saldo negativo di 13.197 unità. I dati sull’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) confermano la tendenza alla diminuzione del fenomeno, che si è ridotto fino ai 121.406 casi del 2008, con un calo del 4,1% rispetto all’anno precedente. Il calo riguarda tutte le regioni, ad eccezione di Abruzzo, Basilicata e Sardegna.

Oltre la metà delle IVG riguarda donne straniere se coniugate (52,3%), contro il 42,9% delle italiane, mentre è praticata prevalentemente da italiane se nubili o separate. Dal 2007 al 2008 il numero di morti per Aids si è ridotto, passando da 284 a 202 unità. Il tasso di letalità ha registrato una netta diminuzione negli ultimi anni, attestandosi al 9% nel 2008. Oltre il 40% dei casi si manifesta in Lombardia e nel Lazio. Le diagnosi nel 2008 sono state 977, con una sensibile diminuzione di rispetto agli anni precedenti.

Quanto ai trapianti d’organo, un aspetto critico è rappresentato dall’esigua disponibilità degli organi. I donatori segnalati nel 2009 sono stati 2.307, di cui 1.260 effettivi. Nel 72,4% dei casi si è trattato di donatori multi organo. Le regioni con il più elevato numero di donatori sono la Lombardia (347), la Toscana (306), seguite da Lazio (237), Piemonte (215), ed Emilia Romagna (204). Le dichiarazioni di volontà favorevoli all’espianto nel 2010 sono state 95.669, su un totale di 108.558 dichiarazioni acquisite, ovvero l’88,13%, a fronte di 12.889 no, pari all’11,87%. Tra il 2006 e il 2007 sono diminuiti gli ambulatori e i laboratori sia nelle strutture pubbliche che private, mentre sono aumentate le strutture residenziali sia pubbliche che private. Quanto all’attività clinica, di laboratorio, di diagnostica per immagini e strumentale delle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate, siamo arrivati alla stratosferica cifra di oltre 1 miliardo e 308 milioni di prestazioni, ovvero circa 22 prestazioni pro capite.

Tra le prestazioni effettuate nel 2007 troviamo al primo posto le analisi chimico cliniche e microbiologiche, seguite dalle prestazioni di medicina fisica e riabilitativa, di recupero e riabilitazione, dalle prestazioni di diagnostica per immagini – radiologia diagnostica e dalla cardiologia. Alle misure di riduzione dei posti letto che hanno caratterizzatogli ultimi anni non sono seguiti ridimensionamenti delle piante organiche, che anzi nell’ultimo quinquennio sembrano presentare aumenti piuttosto significativi, con un certo disequilibrio tra professioni. Il personale dipendente del SSN nel 2007 conta 649.248 unità. Nel 2008 i ricoveri sono stati 12.128.678, per un totale di 76.055.086 giornate e una degenza media di 6,8 giorni. La spesa sanitaria corrente è costantemente cresciuta negli ultimi dieci anni, passando da 52,2 miliardi di euro nel 1996 a 98,7 miliardi nel 2006. Anche la spesa per il personale del SSN dal 1998 al 2008 è cresciuta, con un aumento in 10 anni di 11,8 miliardi di euro, pari a oltre il 50%. Il numero di ricette farmaceutiche prescritte dai medici di base e pediatri di libera scelta del SSN nel 2009 è stato 571.927.295, pari a 9,59 ricette pro capite.

La spesa farmaceutica pubblica (la somma della spesa convenzionata del SSN e di quella erogata attraverso le strutture sanitarie) rappresenta il 17,6% della spesa sanitaria complessiva. La spesa farmaceutica del SSN nel periodo gennaio-dicembre 2009 risulta invariata per quanto concerne la spesa lorda media pro capite, pari a 216,58 euro, e diminuita del 2,6% in termini di spesa netta. Il ticket medio pro capite è 14,34 e il numero medio di ricette pro capite nel periodo di riferimento è 9,59. Il numero complessivo di farmacie presenti in Italia nell’aprile 2010 è 17.796, di cui 16.246 pubbliche e 1.550 private, con 3.374 abitanti per farmacia. La regione con il più alto numero di farmacie sul territorio è la Lombardia (2.782), seguita dalla Campania (1.606), dal Piemonte (1.536) e dal Lazio (1.474).

Quanto al Conto economico nazionale delle strutture sanitarie pubbliche, il consuntivo nazionale 2007 registra una perdita di 4 miliardi di euro. E’ aumentato il numero delle regioni in perdita (passando da 14 a 15), ma complessivamente la perdita risulta più bassa (da -4,7 miliardi a -4 miliardi). Come per il 2006, le perdite più gravi si registrano in Lazio, Campania e Sicilia. (fonte: SIC).

fonte: Vita



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Non solo arsenico. Lo stato delle acque italiane.
Sappiamo che cosa beviamo? In anteprima i risultati integrali di uno studio pubblicato su «Le Scienze» di dicembre in cui sono stati analizzati campioni di acqua di rubinetto prelevati in tutta Italia.

Le deroghe ai limiti imposti dalla normativa italiana per le acque potabili, un'anomalia finita nel mirino della Commissione Europea, che qualche giorno fa ha deciso di non concedere all'Italia la terza deroga per la concentrazione massima di arsenico nelle acque destinate al consumo, riguardano diversi elementi chimici in differenti regioni.

In Campania sono stati innalzati i limiti per il fluoro, nel Lazio quelli per l'arsenico, per il fluoro, per il selenio e per il vanadio; in Lombardia e in Trentino-Alto Adige per l'arsenico; in Piemonte oltre alla soglia dell'arsenico è stata innalzata anche quella per l'azoto, in Sardegna quella del vanadio e in Toscana quella del boro e dell'arsenico. Ma davvero sappiamo che cosa beviamo?

In uno studio pubblicato su «Le Scienze» di dicembre (si veda l'articolo Acqua di casa nostra) sono stati analizzati campioni di acqua di rubinetto prelevati da 157 località suddivise per Regione, per un totale di 105 Province su 111, e rappresentativi dei consumi quotidiani degli italiani. I risultati hanno mostrato che la qualità delle nostre acque di rubinetto è abbastanza buona, a eccezione di alcune anomalie da approfondire. Potete trovare i risultati completi delle analisi di ciascun campione in questo file pdf.


Se volete saperne di più anche sulla qualità delle acque minerali in commercio in Italia, che devono osservare una normativa diversa rispetto a quella che regola la qualità delle acque di rubinetto, potete leggere un altro studio pubblicato su «Le Scienze» di maggio con il titolo Che acqua beviamo?). I risultati completi delle analisi di ciascuna acqua minerale in questo file pdf.

Per farvi un'idea della qualità dell'acqua che esce dal vostro rubinetto o della vostra minerale preferita, potete confrontare le analisi dei due studi con le concentrazioni limite ammissibili per la legge italiana ed europea e i valori delle linee guida dell'Environment Protection Agency statunitense (EPA) e dell'Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) per le acque minerali naturali e le acque potabili. Tutte le concentrazioni limite sono disponibili in questa tabella (file pdf).

Entrambi gli studi pubblicati su «Le Scienze» sono stati realizzati nell'ambito del progetto Atlante Europeo dell'EuroGeoSurveys Geochemistry Expert Group. Gli autori sono: Benedetto De Vivo, Annamaria Lima, Stefano Albanese e Lucia Giaccio del Dipartimento di scienze della Terra dell'Università «Federico II» di Napoli. Manfred Birke del Bundesanstalt für Geowissenschaften und Rohstoffe di Berlino. Domenico Cicchella del Dipartimento di studi geologici e ambientali dell'Università del Sannio, a Benevento. Enrico Dinelli del Dipartimento di scienze della Terra e geologico-ambientali, dell'Università di Bologna. Paolo Valera del Dipartimento di geoingegneria e tecnologie ambientali dell'Università di Cagliari.

fonte: Le Scienze



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novembre 10, 2010

Il petrolio della Haven nei nostri piatti: bonifiche fantasma e pesci ripuliti dal catrame per essere venduti.
Sui fondali davanti a Genova giacciono ancora cinquantamila tonnellate di greggio. Che non fermano i pescatori

Altro che Louisiana, la marea nera di petrolio abita qui. Davanti alle coste tra Genova e Savona più di 50mila tonnellate di greggio giacciono sui fondali. Dimenticate da chi avrebbe dovuto bonificare la zona, inquinano l'acqua, intossicano e ricoprono di una melma grigiastra i pesci che si ammalano di cancro. Solidificato dal tempo fino ad apparire come massi lunari, il petrolio affolla le reti dei pescatori liguri nonostante vadano a gettarle lontano dalla zona off limits.

Eppure, secondo le autorità, qui non dovrebbe esserci traccia del più grande disastro ecologico del Mediterraneo. Quello della superpetroliera Haven, inabissatasi davanti ad Arenzano con 144mila tonnellate di greggio dopo un esplosione che provocò la morte di cinque marinari l'11 aprile del 1991.

Da allora sono passati quasi vent'anni ma gli effetti di incuria o disattenzione, burocrazia o superficialità che denuncia Report in un documentario di Sigfrido Ranucci in onda questa sera, sono evidenti tra quei pesci morenti incatramati dai fondali. Un disastro senza colpevoli visto che la compagnia greco-cipriota è uscita assolta dopo aver addossato le responsabilità al capitano, morto nell'incidente. Un disastro che continua nell'indifferenza, nonostante ricercatori, pagati dallo Stato, abbiamo messo in allerta governo e ministeri della gravità della situazione.

Ma andiamo con ordine. Bastano pochi numeri a raccontare questa storia italiana. All'indomani dell'incidente, gli esperti stimano il danno ecologico in duemila miliardi di lire. L'Italia ne riceve 117 come risarcimento che decide di impiegare così: 32 per bonificare il mare e 60 ai Comuni del litorale come risarcimento. In realtà, di miliardi ne sono stati spesi solo 16 (circa 8 milioni di euro) ma per bonificare parte della Haven - dopo che il governo Berlusconi li aveva affidati nel 2005 alla Protezione civile - certificando poi che le acque erano pulite.

Così non era, evidentemente, ma tanto fa e così gli altri 8 milioni di euro destinati a disinquinare il mare - e attribuiti di nuovo alla Protezione civile nel 2009 - sono stati impiegati per mettere in sicurezza la Stoppani, un'azienda che aveva inquinato di cromo e rame le acque, e in parte per la mobilità dei lavoratori.

Il petrolio sul fondo del mare sembra non interessare, dalla riva non si vede, sulla superficie dell'acqua neanche. Tanto che i 60 miliardi che vanno a risarcire i Comuni vengono impiegati per rifare la passeggiata a mare di Arenzano, mettere a posto le fogne o la zona dell'ex ferrovia.

Eppure gli esperti lo hanno detto più volte nel corso degli anni: manca una mappa dei fondali per capire dove è finito il catrame, c'è rischio per il mare, per la popolazione. Nel 1995, a quattro anni dal disastro della Haven, ad esempio, i ricercatori dell'Istituto per la ricerca applicata al mare, incaricati dal ministero dell'Ambiente di preparare un piano per la bonifica, si calano con un batiscafo fino a 700 metri. E vedono distese interminabili di catrame, pesci negli anfratti di bitume.

"Il problema è che i residui degli idrocarburi sono capaci di indurre cancro. Abbiamo trovato pesci che vivono a stretto contatto col fondo e notato come una specie in particolare, mostrasse sintomi, segni di tumore al fegato". Reazioni? "Si è deciso di fare finta di nulla, come se il problema non esistesse", racconta Ezio Amato, allora responsabile scientifico del governo per la bonifica Haven.

Da allora nulla è cambiato, i pescatori nelle loro reti trovano pezzi di catrame come massi, pesce ricoperto di greggio che devono ripulire con l'olio se vogliono venderlo ma dalla Protezione civile e dal presidenza del Consiglio, dicono a Report, considerano chiusa la vicenda. Solo il ministero dell'Ambiente si dice pronto a raccogliere segnalazioni di inquinamento, "come se non avesse mai visto la relazione dei suoi stessi studiosi 15 anni fa".

Ma il peggio, dice Ranucci, è che la storia della Louisiana potrebbe ripetersi in Italia visto come vengono presentate le domande per trivellazioni in cerca di greggio: da società con sedi fantasma, senza andare sui posti, senza neppure prendere in considerazione che dove si vuole cercare gas o petrolio c'è un vulcano in attività.




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Sudafrica, tra neri e afrikaans guerra per i nomi delle città.
L'apartheid non c'è più ma lo scontro continua. La sfida della decolonizzazione è sulla toponomastica: in 15 anni già cambiate le denominazioni di 850 luoghi. Solo 28 sono diventati boeri. A volte, come nel caso di Pretoria, si è giunti a un compromesso.


Re Makhado, il Leone del Nord, era un despota che abitava nella vallate tra Sudafrica e Zimbabwe, e Louis Trichardt, capo di un gruppo di Voorktrekker, gli afrikaans, si era spinto fin lì per cercare terra alla larga degli inglesi. Tra il monarca nero e il contadino boero non correva buon sangue e presto iniziarono prima le schermaglie, poi le imboscate. Il Leone pensò di sloggiare gli afrikaans con la forza, ma alla fine - era la fine del XIX - vinsero loro. Lì, alle pendici del monte Soutpansberg fu costruita una nuova città, chiamata in suo onore Louis Trichardt.

Tutto avveniva dal 1870 al 1899, ma la storia non finì qui. Ancora oggi si discute su come chiamare la città e dalle battaglie vere si è passati a quelle con carte bollate. Come in molti altri casi, del resto.

Dal 1998 c'è una apposita commissione, il South African Geographical Names Council, che esamina variazioni, casi dubbi, proposte. Dicono le statistiche uscite da poco che nel giro il 15 anni sono stati cambiati circa 850 città o luoghi di interesse generale. Solo 28 sono afrikaans. "Il processo messo in atto riguarda tutti i sudafricani", dice con soddisfazione il ministro della Cultura della vecchia provincia del Transvaal, chiamato ora Gauteng, "il posto dell'oro" in lingua Sotho. Storia, tradizioni, linguaggio fanno parte del patrimonio di un popolo. E anche le controversie. Quando poi ci sono di mezzo africani e gli afrikaans le cronache delle recriminazioni degli uni contro gli altri si sprecano.

La decolonizzazione per mezzo dei nomi è indice di una nuova realtà di fatto, passata attraverso il post-apartheid e la democrazia, ha detto un parlamentare dell'African national congress. Sicuro, "ci sono conflitti e contrapposizioni", ha aggiunto. E pensava soprattutto ai boeri. Secondo il giornale Die Burger, soltanto tra i 2000 e il 2010 sono cambiati 328 nomi o luoghi. Di questi due su tre sono stati mutati dall'afrikaans in altri idiomi.

La maggior parte dei cambiamenti è stata fatta per incontrare i, giusti, reclami africani. Ma ci sono anche i casi mediazione, come Pretoria, un tempo città simbolo del potere afrikaans razzista. Negli ultimi anni ci sono state discussioni e sedute interminabili per cambiarla in Tshwane, poi è stato deciso: si lascia il nome Pretoria, però la metropoli che la comprende si chiamerà Tshwane.

A più di un secolo di distanza neanche la battaglia tra re Makhado e Louis Trichard si è ancora conclusa. Si sa però che nella provincia del Limpopo dove è ambientata la vicenda, per ora hanno scelto una strada simile al caso di Pretoria: la città vera e propria è rimasta Louis Trichardt, la zona che comprende tutti i dintorni si chiama Makhado. C'è però un'altra questione: il re aveva sulla coscienza una serie di atti sanguinosi verso altre popolazioni, questa volta gli Shangaan e i Pedi; i loro discendenti hanno costituito pure una associazione per ricordare i massacri.

In attesa dei ricorsi, gli afrikaans gongolano. Hanno ottenuto un primo risultato: dividere la comunità. Però molti boeri puri e duri incrociano le dita, perché in gioco non c'è solo il nome della loro città. Sulla via che conduce allo Zimbabwe e passa non lontano da Louis Trichardt c'è un tunnel che gli africani, e non solo, odiano con tutto il cuore. E con ragione. E' il Tunnel Hendrik Verwoerd, primo ministro razzista negli anni 60, come ricorda l'insegna a caratteri di scatola che si legge prima di entrarci dentro. Cambierà nome?









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novembre 07, 2010

Biblioteche, contro la crisi ecco l'e-book per tutti.
Da Dante a Ken Follett, prestiti digitali. Il bibliotecario non si muoverà più in magazzini pieni di volumi ma in stanze virtuali. I libri si leggono su Kindle e i-Pad e si sperimentano le nuove strategie per gli utenti.

Il futuro bussa in biblioteca con l'e-book, il libro che non si vede sugli scaffali, che non occupa le stanze. Certi cambiamenti entrano dalle porte secondarie, dai corridoi.

Mentre le grandi biblioteche faticano a guardare avanti ingessate dai tagli alla cultura e dagli organici spolpati, il libro digitale debutta fuori dai monumenti del sapere scritto. Se si vuole trovare qualche pioniere dell'e-book bisogna cercarlo nelle biblioteche comunali: per esempio a Cologno Monzese, in Lombardia, o alla biblioteca Fucini di Empoli, in Toscana.


Con i soliti pochi mezzi, ma con qualche idea nuova. È in quei "laboratori" che si sperimenta la nuova faccia della biblioteca, lì dove i lettori possono uscire con un e-reader in prestito portandosi via in un solo colpo mezzo catalogo: Pinocchio e i Promessi sposi, Moby Dick, ma anche tutto Dante, Pascoli, Alfieri, Verga e un po' di Wu Ming in versione digitale. Un eterogeneo concentrato di cultura, in tasca e gratis.

La biblioteca civica di Cologno Monzese, 120mila volumi e 170mila prestiti l'anno, ha comprato all'inizio del 2010 una quarantina di e-reader, le tavolette elettroniche per la lettura: "Subito c'è stata una corsa a prenotare il Kindle o gli altri supporti digitali - spiega Luca Ferrieri, responsabile della biblioteca - poi siccome avevamo quasi esclusivamente classici, romanzi liberi dal diritto d'autore, l'entusiasmo è andato calando".

Adesso però cominciano i primi acquisti di narrativa contemporanea: "Si debutta con 300 titoli da Maggiani, a Murgia, Ken Follet, Nothomb". Stesso scenario a Empoli, dove gli e-reader sono undici e le prenotazioni vanno fino a febbraio: "Non sono solo i giovani a chiederli - racconta Carlo Ghilli - anzi nella lista d'attesa ci sono soprattutto professionisti e i frequentatori assidui della biblioteca".

Su tutte le "tavolette" sono stati caricati gli stessi romanzi, una sessantina di titoli: "C'è anche Alice nel Paese delle meraviglie con le illustrazioni originali". Poco più di mille euro l'investimento a Empoli, ventimila per il progetto e-book reader di Cologno (metà arrivano da un finanziamento regionale).

"L'obiettivo è avvicinare i lettori ai nuovi supporti tecnologici - prosegue Ferrieri - ma è chiaro che nel futuro non saranno le biblioteche a prestare i Kindle o gli i-Pad: gli utenti verranno da noi o prenoteranno dai nostri siti online gli e-book". Succede già all'estero: "Sì, e non ci sarà nemmeno bisogno di riportare il libro digitale in biblioteca perché il file si "consumerà" o meglio diventerà illeggibile alla scadenza del prestito".


A differenza del libro tradizionale preso in biblioteca l'e-book si può sottolineare, si possono scrivere note a margine, ma quando lo si rende viene resettato e sono cancellati i dati personali. È questa la frontiera? E come si preparano le medie e grandi biblioteche alla metamorfosi culturale? "Siamo come nell'epoca in cui dal cavallo si è passati alle automobili: qualche motore si incepperà, ma non c'è dubbio che il futuro della lettura prevede anche il digitale", dice Mauro Guerrini, presidente dell'Aib, l'Associazione italiana delle biblioteche che con i suoi 4 mila iscritti rappresenta circa il 20 per cento dei professionisti del settore e che oggi a Firenze chiude il suo congresso nazionale.

Ma se cambia il mezzo e cambiano le abitudini dei lettori, anche il bibliotecario è in trasformazione: destinato a muoversi sia lungo i magazzini pieni di volumi, sia nelle stanze virtuali. "Fra i suoi compiti ci sarà anche quello di certificare la qualità di ciò che si trova in rete", prosegue Guerrini. Intanto sono i numeri a descrivere il declino delle 46 grandi biblioteche statali (comprese le Nazionali di Roma e Firenze).

Gli investimenti pubblici a favore delle 46 biblioteche statali italiane negli ultimi cinque anni sono stati dimezzati con un abbassamento del budget da 30 a 17 milioni di euro l'anno e i tagli più consistenti riguardano un settore di vitale importanza come l'acquisto dei libri, passato da 8 a 3 milioni di euro: "Anche sull'informatica le risorse sono state ridotte - conclude Guerrini - . La digitalizzazione del nostro patrimonio culturale è praticamente ferma, ci si affida a Google e all'accordo fatto dal ministero ma, mi chiedo, è corretto affidarsi soltanto a Google?".

 
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novembre 03, 2010

La corsa planetaria all'acquisto delle terre Ma i "cattivi" non hanno tutti lo stesso volto
Sono 42 milioni gli ettari agricvoli acquistati dentro i confini dei paesi in via di sviluppo. A comprare sono fondi d'investimento privati e le banche che li gestiscono, investitori pubblici e Governi. Operazioni con nessuna finalità produttiva, conta solo la rendita, che trasforma milioni di agricoltori in braccianti.

Le cifre conosciute - che restano stime - parlano di un processo di accaparramento di terre ad uso agricolo, attraverso l'acquisto o l'affitto di lungo o lunghissimo periodo, che copre oltre 42 milioni di ettari. Cioè 3,5 volte la superficie agricola utilizzata in Italia.

Il fenomeno percorre vari continenti, compreso il continente europeo, sia all'interno della Unione che nelle ex repubbliche sovietiche, con una dimensione maggiore in Asia. Si tratta di un fenomeno al centro degli interessi e dell'azione di Croceviaterra 1, una Ong che considera il modello di sviluppo dominante - basato sulla crescita intesa solo come consumo e profitto e alimentato dal libero mercato - incapace di considerare le esigenze di uomini e donne dei Paesi del Sud del mondo, così come non è in grado di tener conto della giusta ripartizione della ricchezza e di un uso sostenibile e duraturo delle risorse naturali nei Paesi ricchi. In Italia (sono dati del 2007) poco più del 3% delle aziende controlla il 48% delle terre agricole del paese. Il sostegno all'agricoltura contadina riguarda tutti. In ogni paese. Gli accaparratori, insomma, sono di diversa natura e di diversa dimensione. Vale dunque la pena di fare una piccolo riassunto.

Il profilo di chi compra. Di sicuro ci sono i fondi di investimento privati e le banche d'affari (investment houses, private equity funds, hedge funds) che li gestiscono, ci sono gli investitori pubblici e ci sono gli accordi fra Stati. L'acquisizione di terre, però, non ha in gran parte nessuna finalità immediatamente produttiva, quello che muove gli investimenti è l'accaparramento della rendita, cioè il profitto che si trae proprio dal fatto di acquisire o controllare per un lungo periodo terre agricole. Molte delle risorse investite hanno un legame diretto con lo svilupparsi della crisi finanziaria e con l'immane disponibilità di capitali "di carta" che si liberano continuamente, anche dopo i fallimenti di importanti banche d'affari e i conseguenti interventi riparatori messi in essere dagli USA e dalla Unione Europea, soprattutto. Capitali provenienti da sei paesi europei (in ordine decrescente, Italia, Norvegia, Germania, Danimarca, Regno Unito e Francia) sono tra i maggiori investitori in termini di Investimenti stranieri sulle terre.

L'agrocarburante ruba spazio. Alcune importanti banche europee, rispondendo alle necessità di approvvigionamento dell'Europa in agrocarburanti, promuovono con forza queste produzioni in Africa, togliendo terra alla produzione agricola. Ma anche imprese statali europee investono in terra per la produzione di agrocombustibili o per accaparrarsi fonti d'acqua o possibili giacimenti di materie prime. Niente di nuovo, dunque. Va solo aggiunto che, secondo stime correnti di OCSE/FAO, sui prossimi 10 anni, le industrie agroalimentari dei paesi cosiddetti sviluppati perderanno terreno a vantaggio dell'agroindustrie, collocate direttamente nei paesi emergenti o, più in generale, nei paesi poveri dove materie prime, lavoro e ambiente costano di meno.

Il businnes finanziario sull'agricoltura. Tanto vale allora delocalizzare da subito, magari per mettere le mani su una parte dell'incremento di produzione agricola di cui si parla, pari ad un aumento del 75 % all'orizzonte 2050 per far fronte ad un incremento generalizzato dei consumi alimentari. Insomma, mettere i soldi in agricoltura è molto vantaggioso. Gli speculatori finanziari - che di norma non hanno patria - lo hanno capito prima di altri. Di sicuro prima dei governi.

In difesa dell'accaparramento. Nella mitologia corrente si usano due argomenti per difendere questo tipo di accaparramento. Che le produzioni rappresentano una fonte di reddito per il paese e che questi investimenti, in fine, sono un supporto agli investimenti in agricoltura. In concreto, nel caso in cui effettivamente si avviassero delle produzioni agricole, come nel progetto sviluppato sulle terre del delta del fiume nelle zone semipaludose del Yala (Kenya) 40 mila ettari affittati direttamente dal presidente della repubblica Mwai Kibaki al governo del Qatar per coltivarvi ortaggi da mandare indietro nel Qatar, queste saranno realizzati secondo le regole dell'agricoltura mineraria, specializzata, monoculturale e chimica.

Contadini trasformati in braccianti. Una parte dei contadini trasformati in braccianti avranno salari che non saranno sufficienti ad acquistare cibo in quantità e qualità adeguata ed entreranno nel circolo vizioso dell'insicurezza alimentare e dell'esodo. Viaggio nelle metropoli e poi se possibile l'emigrazione, in Africa o altrove. In questo caso il reddito prodotto degli ortaggi esportati non compenserà la perdita di entrate (in parte in moneta ed in parte in beni di consumo diretto) delle famiglie contadine. Infatti il Kenya, al momento di una recente dura siccità ha dovuto fare appello all'intervento alimentare a sostegno delle popolazioni ed il progetto è venuto fuori nella sua gravità.


L'esempio del Mali. Ma occorre chiedersi anche se questi investimenti stranieri hanno effettivamente una dimensione così rilevante nei confronti dell'economia del paese ospitante da essere irrinunciabili "meglio dell'elemosina". Chi investe davvero in Mali, ad esempio?. In Mali ci sono circo 800.000 famiglie contadine che ad ogni inizio di stagione investono il loro lavoro, le sementi, gli animali, le cure colturali, le sistemazioni dei terreni, il loro mantenimento in buono stato di fertilità. Un calcolo a palmi, con parametri locali potremmo dire che questo investimento vale almeno 3.000 euro per ogni famiglia. Un totale di 2,4miliardi di euro ogni anno. Quale banca d'affari può investire ogni anno la stessa cifra?. Togliere la terra a queste famiglie per cederla ad un "investitore" straniero, di fatto, non fa che diminuire le risorse che sono disponibili per la produzione alimentare del paese.

Poche persone con immense proprietà. Non ci sono "principi" - come sostiene la Banca Mondiale - che possono rendere accettabile l'accaparramento e la concentrazione della proprietà della terra nelle mani di un numero sempre più ristretto di proprietari. Siano essi imprese multinazionali straniere, fondi d'investimento speculativo o élite locali, magari alti funzionari dello Stato.

Per questo la campagna internazionale contro gli accaparramenti condotta da Via Campesina 2, FIAN 3, GRAIN 4 e moltissime altre organizzazioni della società civile deve continuare, anche se per il momento, la proposta della Banca Mondiale è stata messa da parte dai Governi che le hanno negato l'appoggio. Per evitare danni maggiori, occorre che una moratoria internazionale agli investimenti per l'acquisto di terre per migliaia di ettari sia decisa subito dalle istituzioni finanziarie internazionale come la Banca Mondiale ed il FMI - magari alla prossima riunione del G20 - sulla scorta di quanto alcuni paesi (vedi il Mozambico) già stanno facendo, senza il sostegno di nessuno.



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Il supertest che misura la vera intelligenza.
Si basa sulle qualità cognitive come la memoria Il metodo è stato ideato da un gruppo di Cambridge Dalla memoria all'attenzione, dal ragionamento verbale alla pianificazione: sotto esame i "dodici pilastri della saggezza", oltre le capacità logico spaziali di Paola Coppola.

Esplorare tutte le qualità di un cervello. Misurare i dodici pilastri della saggezza oltre le capacità logico-spaziali, testare dalla memoria all'attenzione, dal ragionamento verbale fino alla capacità di pianificare le tante capacità cognitive che servono a fare di una persona anche una persona intelligente.

La sfida è ambiziosa, almeno quanto è controverso l'argomento su cosa sia davvero l'intelligenza, ma questo si propone l'ultimo test elaborato dai ricercatori inglesi del Medical reasearch council's Cognition and Brain Sciences Unit di Cambridge elaborato in base alle scoperte fatte nel campo delle neuroscienze attraverso la risonanza magnetica. Per mettere alla prova le zone del cervello coinvolte nell'elaborazione dei pensieri come le strutture più profonde, tra cui l'ippocampo.

Servono una trentina di minuti per dedicarsi ad associare numeri a caselle, ricordarne le sequenze, individuare le forme e la posizione di disegni. Ogni prova, un pilastro di saggezza: si passa dalla memoria di lavoro visospaziale (basti sapere che, a prescindere dalle qualità di ciascuno, una scimmia ne ha più di uno studente universitario); si continua con il ragionamento verbale (la capacità di formare e trasformare rappresentazioni mentali), e quello deduttivo. E ancora: la rotazione mentale, la capacità di pianificare una strategia per raggiungere un obiettivo, quella di elaborazione visivo-spaziale.

L'attenzione viene messa a dura prova quando si deve associare alla parola "rosso" o "verde", il colore dell'inchiostro con cui è scritta (che può essere rosso o verde, ma non sarà quasi mai lo stesso della parola rappresentata). Ogni prova è a tempo, accumulando risposte corrette il livello di difficoltà cresce.

"Non esiste un test perfetto", chiarisce Stefano Cappa, professore di neuropsicologia all'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che giudica positivamente quello elaborato dai colleghi inglesi. "Questo si fonda su basi scientifiche solide che riguardano le componenti essenziali del sistema cognitivo ed è costruito non solo in base a osservazioni psicologiche ma su dati neurobiologici". E aggiunge: "Non si può limitare l'intelligenza alla capacità di risolvere in modo efficiente i problemi, bisogna vedere se questo test riesce a predire di più le capacità che servono a ciascuno nella vita reale, dove contano anche l'intelligenza emotiva, sociale".

"Ben venga un test se è utile a descrivere le capacità globali di una persona", commenta Fabio Battaglia, vicepresidente di Mensa Italia, l'associazione dei super-intelligenti (ne può far parte chi ha superato il 98mo percentile della popolazione in un test d'intelligenza specifico) e che a novembre organizza "Brain", la competizione annuale per scoprire nuovi talenti. "La scelta del test dipende dall'obiettivo da raggiungere. Noi testiamo il Q. I. e quindi le capacità logico-spaziali: le persone che selezioniamo hanno da 16 a 70 anni, interessi e formazione diversi ma in comune una capacità logica superiore alla media, spesso associata a una curiosità intellettuale unica, che si nutre di nuovi stimoli".

Alla fine del test elaborato da Adrian Owen si dovrà rispondere a un questionario sullo stile di vita (ore di sonno, consumo di alcol, nicotina e caffeina, frequenza di uso dei videogiochi) prima di scoprire se si è nella media, al di sopra o al di sotto. O sorprendersi di un talento insospettato. I dati raccolti - promettono i ricercatori - serviranno a definire meglio cosa sia davvero l'intelligenza. Chi vuole cimentarsi, trova il test sul sito del gruppo di Owen.


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ottobre 30, 2010

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ottobre 23, 2010

Opportunity, il lungo viaggio del rover nei deserti marziani.
La sua missione doveva durare solo 90 giorni. Invece va avanti da quasi sette anni, durante i quali ha percorso 24 chilometri e fatto importanti scoperte. E ora ha anche un software che gli consente scelte autonome di Luigi Bignami.

Nell'immensa pianura marziana che circonda il cratere Endeavour, un piccolo esploratore robotico porta avanti da solo una missione che avrebbe dovuto durare 90 giorni e invece si protrae da quasi sette anni: dal 25 gennaio 2004, giorno del suo atterraggio, il rover Opportunity ha percorso 24 chilometri sulla sabbia del Pianeta Rosso, mettendo a segno una serie di importanti scoperte: dall'esistenza di strutture che confermano la presenza di acqua superficiale in un lontano passato (si sono trovate onde nella sabbia che farebbero pensare a spiagge), alle piccolissime palline di minerali (chiamate mirtilli) che confermerebbero ulteriormente la presenza di mari e laghi, fino a meteoriti che sono rimasti così come caddero sulla superficie del pianeta e contengono importanti informazioni sull'atmosfera che circondava il pianeta.

Superate tutte le aspettative possibili, da alcuni mesi a questa parte Opportunity è stato dotato di un software inviato da Terra che lo rende "intelligente". Gli ingegneri della Nasa infatti, hanno voluto provare un sistema che fa di Opportunity un mezzo parzialmente autonomo su alcune decisioni importanti: se estrarre o meno il proprio braccio robotizzato per analizzare una roccia presente sul proprio percorso; quale fotografia inviare a Terra tra le centinaia che scatta al paesaggio circostante; quanta strada percorrere. Le scelte vengono comunque vagliate dai tecnici della Nasa, ma fino ad oggi Opportunity ha dimostrato di aver "appreso" le informazione del software in modo perfetto e continua imperterrito la sua strada verso l'obiettivo che gli è stato richiesto.

Le vicissitudini a cui ha dovuto far fronte Opportunity sono state numerose, ma forse la peggiore di tutte è stata una serie di tempeste di polvere contro le quale si è imbattuto alla fine di giugno del 2007. Il pulviscolo ha ricoperto completamente i pannelli solari che inizialmente producevano circa 700 watt/ora di energia al giorno, facendo scendere le loro potenzialità a soli 150 watt/ora al giorno.

Fu così che il rover venne messo in una specie di ibernazione nell'attesa che le tempeste passassero. Solo ad agosto la situazione migliorò, ma le speranze di rivedere Opportunity in attività erano poche.

Lentamente invece, le batterie tornarono a caricarsi e i pannelli si pulirono grazie ad una leggera brezza e, in parte, grazie ad un sistema di pulitura previsto dai tecnici in fase di costruzione. Sta di fatto che in poche settimane ritornò ad un'efficienza quasi simile a quella iniziale e nel settembre del 2007 si infilò fin quasi sul fondo del Cratere Victoria. Vi uscì solo un anno dopo e da quel momento venne indirizzato verso il nuovo cratere che dovrebbe raggiungere l'anno prossimo. Ora a bordo i pannelli solari erogano circa 280 watt/ora al giorno.


Il rover gemello Spirit, sceso su Marte il 4 gennaio del 2004 è atterrato nel cuore di una grande cratere, il Gusev, che un tempo poteva essere interamente ricoperto d'acqua. E non ci volle molto per trovare le testimonianze dell'esistenza del liquido in un passato molto remoto. Anch'esso ha lavorato oltre i limiti dei 90 giorni previsti, percorrendo 7.730 m, ma il 22 marzo del 2010 ha smesso di comunicare con la Terra, dopo essersi insabbiato con due ruote fuori uso.

Alla Nasa si continuano a tenere le antenne accese verso il rover, ma le probabilità che esso abbia passato indenne l'inverno appena trascorso nella regione in cui si trova e che possa nuovamente ricaricare le batteria al punto di iniziare i collegamenti con i tecnici del progetto sono scarse. Ma dai due rover ci si può aspettare di tutto e la Nasa non demorde.



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