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febbraio 27, 2012

Il crimine organizzato letto dal punto di vista economico.

crimineNell’analisi delle relazioni tra l’economia reale e il crimine organizzato e delle modalità di come queste si manifestano e condizionano l’ambiente socio-economico di riferimento può essere utile delineare i tratti strutturali ed organizzativi delle mafie viste dal punto di vista economico, come fornitori di beni e servizi, ricorrendo al concetto di impresa criminale.

L’organizzazione dei grossi sodalizi delinquenziali, infatti, si avvicina molto alla forma di impresa: dopo aver reperito i fondi iniziali per edificare la propria struttura organizzativa, essi forniscono beni e servizi (illeciti) ad una rete di consumatori/vittime degli stessi, riscuotendo un prezzo per tali attività di cessione sul mercato.

Questi proventi, al contempo, poiché frutto di condotte criminose, non possono essere subito goduti come utilità, con la conseguente necessità di allontanare quanto più possibile la provenienza illecita di tali fondi, così da finanziare le attività correnti e potenziare la stessa struttura criminale.

L’impresa criminale presenta, ovviamente, tratti peculiari rispetto alle imprese legali, tutti correlati tra loro:

- è un’impresa, anzitutto, che non persegue fonti di profitto tramite la libera concorrenza, ma rincorre fonti di rendita attraverso l’esercizio del potere e, dunque, “l’attività militare”;

- cerca di assicurarsi il monopolio territoriale come forma più semplice di rendita e solo successivamente ricorre ad alleanze strategiche o a lotte armate per espandersi o appropriarsi delle rendite monopolistiche di altre imprese;

- agisce in un contesto caratterizzato da una selezione più aspra di quella compiuta dalle forze di mercato e non tanto per l’uso della violenza quanto per l’ irreversibilità degli errori strategici[2], nel senso che alla morte di una ne nasce immediatamente un’altra;

- deve fronteggiare sia il rischio rappresentato dalla lotta dello Stato, sia quello derivante dalla competizione delle altre imprese criminali, dunque deve controllare l’economia legale ed illegale di riferimento[3] tramite fiancheggiatori ed altri soggetti esterni;

- spesso mantiene distinto il profilo criminale da quello più semplicemente illegale degli affari (specie se questi necessitano di competenze qualificate), ottenendo così una divisione del lavoro su più livelli che le consente di lasciare meno tracce e di coinvolgere anche chi non accetterebbe volentieri relazioni malavitose;

- per attenuare l’eventualità di aggressioni esterne, o i danni di queste, è strutturata su più livelli, avvalendosi di un sistematico coinvolgimento dei nuclei familiari dei suoi affiliati;

- trae dall’espropriazione, e non dalla produzione, le risorse necessarie alle proprie attività.

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L’esercizio dell’attività militare le garantisce una domanda sempre adeguata all’offerta.

L’individuazione dei tratti salienti non deve far intendere, però, l’esistenza dell’impresa criminale tipica: la tipicità degli ambienti interessati e delle forme di illegalità presenti condizionano molto la risposta, in termini strategici, delle cosche malavitose, sia in termini strutturali, sia organizzativi.

Ed è proprio la concezione della struttura in chiave strategica a consentire all’industria del crimine di interagire con l’economia legale di riferimento.

Il crimine organizzato, infatti, si configura generalmente attraverso modelli imprenditoriali molto flessibili, così da assumere forme, dimensioni e strutture che gli consentano di variare con estrema semplicità, nel breve periodo, le modalità di intervento sul mercato ed i propri obiettivi, perennemente alla ricerca, nel contempo, di quel monopolio territoriale vero vantaggio competitivo stabile e duraturo
Il ruolo cardine del riciclaggio

La diffusione della criminalità organizzata costituisce un grave allarme sociale non solo in termini di ordine pubblico, ma anche in chiave di minaccia economica derivante dall’utilizzo nel mercato legale di massici flussi di liquidità derivanti dalle attività criminose.

Il  loro impiego, infatti, altera i meccanismi della concorrenza condizionando le opportunità di creare ricchezza da parte dell’economia legale.

Quello comunemente detto riciclaggio è un processo complesso che si articola in tre fasi:

a) la fase del collocamento, inteso come ingresso nel sistema finanziario dei fondi provenienti da attività illecite.
Questa è la più rischiosa. Il più delle volte la liquidità e i beni perfettamente assimilabili sono collocati in prossimità con la sede dell’attività criminale, dati i  rischi e le difficoltà legate al loro trasferimento fisico.

La variabile temporale è un’incognita, anche se la perdita netta di liquidità nel caso di lunghe soste delle somme non sembra più concepibile.

b) la fase della pulitura, riferita al mascheramento della provenienza illecita dei fondi occultandoli nel sistema finanziario.

Questa, che abbraccia un orizzonte temporale più o meno esteso, inizia quando i proventi illeciti passa dalle mani della criminalità a quelle, inconsapevoli o complici, di un intermediario finanziario, regolare o meno, e si manifesta in una serie di operazioni volte ad allontanare i fondi dalla fonte criminale.

c) la fase dell’integrazione economica, il riciclaggio in senso stretto, relativa all’investimento dei capitali ormai legittimati con l’obiettivo di ricavarne un reddito. E’ la fase cronica, quella in cui i proventi ripuliti si inseriscono stabilmente sui mercati, reali e/o finanziari, non solo perché permette un’ulteriore simbiosi, ma anche perché crea dei legami duraturi con l’economia legale, influenzandone le normali dinamiche.

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L’attività di riciclaggio può ritenersi investita di una duplice funzione finanziaria:

una”funzione di supporto”, per le operazioni quotidiane di tesoreria e per le decisioni strategiche di progettazione dei canali da utilizzare;

una “funzione operativa”, per rendere produttive le eccedenze ripulite resesi disponibili dopo aver soddisfatto le esigenze di autofinanziamento dell’organizzazione.

Il tutto secondo criteri assolutamente razionali, ispirati ad una logica unitaria di “portafoglio”. Non a caso le modalità di espletamento di questo processo sono affidate all’esterno, coinvolgendo i cd. “colletti bianchi”.

fonte: Dillinger

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Mappa dei Comuni sciolti per mafia.

mappa_scioglimento_comuni_maffiaIl sito www.federalismocriminale.it ospita la mappa digitale dei comuni e ospiterà tutti i decreti di scioglimenti di comuni e Asl dal 1991 ad oggi.

 
Case di avversari politici demolite dalle ruspe, concorrenti alla carica di sindaco intimiditi con manifesti di morte, vigili urbani affiliati ai clan, omicidi in comune, piani regolatori a casa dei boss. Storie dall'Italia dei comuni sciolti per mafia, storie che raccoglie il giornalista Nello Trocchia nel libro Federalismo criminale, edizioni Nutrimenti.


Un viaggio nei comuni dove governano le organizzazioni criminali con la politica che si offre al gioco, collusa, o banchetta e spartisce gli affari. Per la prima volta in un libro un filo rosso dal 1991 ad oggi traccia un bilancio dell'applicazione di questo strumento normativo che consente l'azzeramento dei consigli comunali.


Sono 195 i decreti di scioglimento, tra cui due Asl e una azienda provinciale sanitaria coinvolta. Sono 31 i comuni sciolti due volte, per realizzare la massima del procuratore antimafia Grasso ‘in alcuni comuni è lo stato che deve infiltrarsi’.

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Storie di democrazia sospesa e di una politica che ,sprezzante, torna in sella. Ora questi decreti di scioglimento e le relazioni allegate diventano un archivio, una mappa digitale dove ciascun cittadino potrà osservare la presenza pervasiva delle mafie, visualizzare l'anno di scioglimento di  un comune e leggere motivazioni e ragioni dell’azzeramento.


“Uno spazio aperto – racconta Nello Trocchia – perché l’informazione circoli liberamente, perché la conoscenza di chi torna in sella, dello scempio della collusione tra mafia e politica, degli effetti sui servizi al cittadino, possa diventare patrimonio condiviso. Per questo ho deciso di mettere on line la documentazione che ha dato corpo al libro”.

Il sito www.federalismocriminale.it ospita la mappa digitale dei comuni e ospiterà tutti i decreti di scioglimenti di comuni e Asl dal 1991 ad oggi. In questo progetto associazioni ed enti di grande spessore sociale e civico hanno dato la loro adesione e contribuiranno, con la costituzione di un gruppo di lavoro, alla realizzazione del progetto.


Ecco i partner di questo percorso: Liberainformazione,  l’osservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie, Avviso Pubblico, Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie, e Narcomafie, rivista di informazione sulle mafie del Gruppo Abele. “La normativa sui comuni sciolti per mafia- dice Giovanni Di Martino, responsabile Comuni Sciolti di Avviso Pubblico- rappresenta un passaggio indispensabile per l’affermazione dei principi democratici nelle nostre realtà.


La nuova legge però, per diversi aspetti indebolisce l’istituto dello scioglimento perché adesso vengono richiesti presupposti più restrittivi che rendono più difficile avviare il procedimento. Fondi potrebbe rappresentare il primo caso”.

fonte: Gazzetta del Sud

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febbraio 26, 2012

Gli schiavi nelle fornaci di mattoni smascherano il gelido volto della dittatura cinese.
cina_lavoroÈ ancora una volta Liu Xiaobo1, noto intellettuale e fiero oppositore del regime, ad aiutarci a riscostruire gli inquietanti retroscena del recente scandalo sul ritrovamento di lavoratori-schiavi nelle fornaci di mattoni clandestine dello Shanxi.

Con lucidità particolarmente incisiva e con toni ancor più forti di quelli che caratterizzano altri suoi scritti, l’Autore ripercorre le diverse fasi di questa agghiacciante scoperta, dal primo commovente appello lanciato su internet da una madre coraggio, Xin Yanhua, ai successivi articoli di denuncia della stampa cinese.

In questo caso, nonostante le pesanti limitazioni cui sono sottoposti in Cina, i mezzi di informazione hanno dimostrato grande coraggio nel denunciare questi gravi abusi, perpetrati in silenzio per più di dieci anni. La censura di Partito non è intervenuta pesantemente in questa vicenda forse perché gli interessi delle vittime e dell’opinione pubblica non constrastavano qui con quelli del governo centrale, per il quale tali illegalità a livello locale rappresentano una pesante perdita di credibilità.

In un sistema in cui la struttura del Partito si sovrappone a quella dello Stato, il verificarsi di simili illeciti proprio nello Shanxi è particolarmente imbarazzante, poiché il Segretario del Pcc in questa provincia è Zhang Baoshun, uno degli alleati di Hu Jintao. Queste malversazioni appaiono infatti in stridente contrasto con l’orientamento “populista” dell’attuale leadership, che sembrerebbe avere a cuore i bisogni fondamentali della popolazione, ponendo gli interessi della gente comune al primo posto e “governando per il popolo”.

Proprio su questi slogan, entrati ormai a far parte del linguaggio politico ufficiale, ironizza amaramente Liu, denunciando a chiare lettere le responsabilità del governo di Pechino, il cui intervento nei confronti di autorità locali e forze dell’ordine, per anni colluse con gli schiavisti proprietari delle fornaci, non è stato affatto tempestivo né incisivo3. Nel ricostruire l’intera catena di responsabilità, l’Autore definisce senza mezzi termini questo scandalo come “la punta dell’iceberg” di un sistema politico autocratico, che sarebbe alla base di tali fenomeni di sfruttamento disumano e corruzione infamante.

 
Dalla società del “socialismo con caratteristiche cinesi” emerge all’improvviso uno sconvolgente inferno sulla terra, quello degli schiavi bambini nelle fornaci di mattoni, un fatto che ultimamente ha scioccato il mondo. Questo articolo pone un problema spinoso: da quanti anni esiste questo inferno? L’ultima denuncia delle persone che ne sono state vittime risale a tre mesi fa, ma i funzionari provinciali e locali che cosa hanno fatto? Come mai nelle loro plateali manifestazioni di “familiarità con la gente” non sono mai arrivati in quelle fornaci infernali?
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Schiavi bambini nelle fornaci moderne: il massimo della malvagità.
Tutti conosciamo gli orrori della schiavitù dei tempi antichi, il cinismo dei colonialisti che vendevano gli schiavi neri, l’avidità che stritolava gli operai bambini agli albori del capitalismo.

E invece nel XXI secolo, quando il sistema della schiavitù, della compravendita degli schiavi e del lavoro minorile sono ormai universalmente condannati, nella Cina che si erge con orgoglio come grande nazione di riferimento e che vanta cinquemila anni di civiltà, con tutte le “manifestazioni di familiarità con la gente” della “società armoniosa”, che considera “l’uomo al primo posto” come quotidianamente predicano Hu Jintao e Wen Jiabao, proprio nelle fornaci di mattoni della provincia dello Shanxi sono stati trovati degli “schiavi bambini”: un fenomeno che ha scioccato il mondo intero e ha suscitato la unanime condanna di tutti i media del mondo, un vero e proprio terremoto.

La Cina è il paese che ha la popolazione più numerosa del mondo, ma anche il più alto tasso di analfabetismo, il più alto numero di morti per cause non naturali e sono davvero troppi i crimini che superano l’umana capacità di immaginazione, ma sembra che i cinesi stessi non se ne stupiscano più. 

La Cina ha l’inquinamento ambientale più pesante, il più alto numero di condannati a morte, i più numerosi disastri nelle miniere, i più dannosi aborti forzati, ma sembra che tutto questo alla gente proprio non interessi. La Cina è prima al mondo in fatto di violazione della proprietà intellettuale, le merci falsificate cinesi sono le più diffuse, gli alimenti i più insicuri, ma ormai non se ne fa più un rimprovero a nessuno. I contadini cinesi sono i più numerosi, ma non hanno sussidio di disoccupazione, non hanno assicurazione medica, non hanno pensione, ma questo è un fatto che ormai non desta più meraviglia. Il numero dei funzionari cinesi è il più alto al mondo, il loro potere è il più forte, il loro ambiente è il più corrotto, è così da migliaia di anni.

E invece quello che oggi stupisce e interessa i cinesi è l’avvenuta “ascesa della Cina”, “l’uomo al primo posto”, il marciare verso l’“armonia”, verso un’epoca di grande prosperità mai conosciuta prima, ospitando persino le Olimpiadi di Pechino del 2008, le più ambite al mondo.
Il crimine della tratta degli schiavi bambini.
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Lo schiavismo minorile ha origine nel traffico illegale di esseri umani. Secondo quanto riportato dai media, gli schiavi bambini vengono adescati dai trafficanti perlopiù presso le stazioni ferroviarie, alle fermate degli autobus, sotto i cavalcavia, per strada ecc. e venduti per cinquecento yuan alle fornaci di mattoni per fare i lavori più pesanti. Persino le autorità di controllo locali prendono parte a questi crimini efferati agendo da intermediari nella vendita degli schiavi alle fabbriche.

La maggior parte dei minori rapiti ha un’età fra i quindici e i sedici anni, i più piccoli hanno otto anni. Dopo essere stati sequestrati e condotti alle fornaci, il proprietario rescinde ogni rapporto del minore con il mondo esterno, così i bambini perdono completamente la loro libertà. Chi riesce a fuggire lo fa rischiando di essere picchiato a morte, o fino a rimanere invalido; l’alternativa è quella di sopportare il tragico destino della schiavitù.

Le fornaci che utilizzano gli schiavi bambini venduti ai lavori forzati si trovano perlopiù in zone impervie, circondati dalla campagna e da montagne, con l’uscita su un unico lato. L’ingresso è sbarrato, i sorveglianti controllano dall’alto la zona occupata dai lavoratori, che è immediatamente riconoscibile. Cani lupo fanno la guardia ai cancelli, sorveglianti e lavoratori a contratto vivono accanto agli ingressi per impedire la fuga degli schiavi.

Il lavoro è estremamente duro, insostenibile per degli adulti, figuriamoci per dei ragazzini. Eppure gli schiavi bambini sono costretti a lavorare quindici o sedici ore, a volte persino venti ore al giorno, dalle cinque del mattino all’una di notte. I tre pasti consistono in panini al vapore freddi, un misto di verdure e rape. Non hanno abiti da lavoro, indossano ciò che avevano addosso nel momento in cui sono stati portati via; dormono per terra in baracche sopra un sottile materasso di cotone, un giorno dopo l’altro con addosso i loro soliti vestiti. Per mesi non si lavano i capelli, niente doccia, non si lavano neanche il viso; sono coperti di pidocchi e hanno i capelli lunghi, come dei selvaggi.

Per evitare che gli schiavi fuggano durante la notte, dopo il tramonto i sorveglianti sbarrano le porte delle baracche. E siccome i dormitori non hanno servizi igienici, i bisogni notturni vengono soddisfatti tutti nel buio degli alloggi, con un fetore insopportabile. Quando sono stati tratti in salvo dalle famiglie, i bambini avevano tutti i capelli arruffati, i visi luridi ed erano tutti martoriati da ferite e lividi. Il compenso mensile loro promesso era di 800 yuan, ma al momento della liberazione non avevano mai ricevuto nulla.

Per questi ragazzini non c’erano riguardi, ma solo frustate, bastonate o percosse con pezzi di mattone. Molti sono stati malmenati tanto da diventare idioti e molti sono perfino morti per i maltrattamenti subiti. Chi ha tentato la fuga è stato picchiato fino a rimanere storpio, alcuni sono stati costretti dai sorveglianti a trasportare mattoni roventi sulla schiena, ormai ridotta ad un’unica piaga. Dopo la liberazione sono stati ricoverati in ospedale, ma dopo vari mesi non sono ancora guariti. Quelli che venivano colpiti in testa dalle mattonate dei sorveglianti, si legavano un brandello di stoffa sulla ferita per continuare a lavorare. Anche nel caso di lesioni gravi nessuna medicazione era prevista; se non guarivano spontaneamente o se la ferita degenerava, quando erano prossimi ad esalare l’ultimo respiro i sorveglianti e i proprietari della fabbrica li seppellivano ancora vivi. Intorno alla Festa di primavera del 2007 due operai di una fornace sono stati picchiati a morte dalle guardie. In un’intervista clandestina a un giornalista dell’emittente televisiva del capoluogo dello Henan, gli operai che allora avevano seppellito i cadaveri hanno raccontato che due persone sembravano ancora respirare.
Secondo lo standard dei diritti umani universalmente riconosciuto, questi schiavi bambini delle fornaci sono al di sotto di qualunque limite di civiltà; e anche la legge attualmente vigente in Cina contempla diversi tipi di crimine legati al fenomeno della schiavitù minorile.

In primo luogo, la persona che si occupa della compravendita commette il reato di “sequestro illegale e tratta di minori”. In secondo luogo, i reati a carico dei proprietari delle fabbriche sono “detenzione illegale di persone”, “lesioni gravi volontarie”, “coercizione al lavoro”, “sfruttamento minorile”, “traffico illegale e sfruttamento di manodopera sequestrata”, “trattenimento intenzionale dello stipendio e violazione della proprietà altrui” ecc. Vengono inoltre contemplati i casi di partecipazione allo sfruttamento del lavoro nero, protezione fornita alle fabbriche e profitti illegali incassati dai funzionari governativi, connivenza fra [proprietari delle] fabbriche e autorità, scambio di potere e denaro, corruzione, legittimazione dell’illegalità e altri reati. Infine, i commissariati e i funzionari che hanno ricevuto la denuncia della scomparsa di minori e che non si sono adoperati a fare indagini sono colpevoli di reato di omissione di atti d’ufficio e inadempienza.

La spartizione del bottino fra burocrati e (proprietari delle) fornaci e le coperture a livello locale.
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La connivenza fra burocrati e [proprietari delle] fabbriche per sfruttare la gente costituisce ormai da tempo una delle caratteristiche più evidenti della cosiddetta “società armoniosa” e i retroscena dei fatti dello Shanxi ne sono un esempio lampante. I primi che sono andati nello Shanxi a cercare i propri familiari hanno incontrato una feroce opposizione da parte di delinquenti reclutati dalle fabbriche, che facevano leva proprio sulla mancanza di azione e di collaborazione da parte del governo locale.

La madre di un bambino scomparso, parlando della propria vicenda, ha raccontato: «Mi sono rivolta al commissariato locale di polizia, il Vice commissario ha detto: “Voi dello Henan, idioti come siete, venendo a lavorare qui alleggerite il vostro governo di un peso”. Non riuscivo a credere che queste potessero essere le parole di un Vice commissario!» Un’altra madre recatasi nello Shanxi a cercare il figlio ha dichiarato: «Quello che ci lascia esterrefatti è che il locale Commissariato di polizia non solo ci volta le spalle, ma addirittura ci crea mille difficoltà e cerca di impedirci in tutti i modi di portarci via i bambini che abbiamo salvato.

Di fronte ai proprietari delle fabbriche che ci riempiono di minacce, inoltre, stanno a guardare senza fare nulla». Un padre partito alla ricerca del figlio, nel corso di una conversazione con un giornalista, ha così riassunto i misfatti relativi alla collusione fra fabbriche e autorità: «Alle spalle delle fabbriche di mattoni c’è sempre una rete di protezione, altrimenti come avrebbero potuto agire con tanta ferocia e disinvoltura per più di dieci anni?». Il motivo per cui i proprietari delle fabbriche di mattoni si arrischiano ad impiegare illegalmente lavoro nero e schiavi bambini risiederebbe pertanto negli ingenti profitti che le fabbriche ne ricavano; la prospettiva di una ricca ricompensa rende l’uomo coraggioso. In realtà la ricerca del profitto è una qualità innata del capitalista, ma il punto è come contenere sistematicamente e punire con severità la brama sfrenata di guadagno. A questo scopo sono necessari una legge giusta e un governo che combatta l’illegalità.Nelle fornaci dello Shanxi, invece, la ragione per cui la piaga della schiavitù minorile non riesce a trovare una soluzione radicale e duratura sta nel fatto che le autorità locali non solo non intervengono, ma al contrario partecipano alla spartizione degli utili.

Nella catena dei profitti delle fabbriche, secondo un calcolo basato sui costi del prodotto finale, si possono distinguere diverse categorie: il guadagno più basso è quello dei venditori, al secondo posto vengono gli amministratori delle fabbriche (in genere impiegati o parenti degli amministratori locali del villaggio), mentre al terzo posto si trovano i quadri del governo locale (i commissariati di polizia, gli uffici per l’industria e il commercio, gli uffici del lavoro ecc.). I profitti di questi ultimi provengono dal sequestro di forza lavoro e dal traffico del lavoro nero. I lavoratori in nero sono quelli che pagano il prezzo più alto, perfino con la vita, ma sono anche coloro che non ricevono alcun utile.Il rischio più alto è quello che corrono i mercanti di uomini e gli amministratori, mentre i funzionari rischiano ben poco. Se si facesse luce sui lati oscuri della faccenda, ricadrebbe solo sulle prime due categorie la diretta responsabilità dei reati, che pagherebbero con la perdita delle proprietà personali e con la prigione; quelli che vengono dopo, invece, hanno una responsabilità solo indiretta, nella maggior parte dei casi vengono semplicemente declassati o rimossi dall’incarico.

Le fornaci sono imprese private, ma i gruppi che ne traggono alti profitti con basso rischio hanno tutti solidi legami con le autorità pubbliche. Secondo quanto segnalato dai media, i proprietari delle fabbriche di mattoni sono per lo più collegati con potenti segretari di sezioni locali del partito, alcuni sono addirittura delegati locali dell’Assemblea del popolo. È chiaro che solo grazie a tali coperture è possibile aprire tali attività; a fornire ai proprietari delle fabbriche favori amministrativi e protezione sono sempre burocrati del governo locale più o meno potenti. Alcuni uffici addetti al controllo del lavoro sono complici del traffico del lavoro nero e degli schiavi bambini, incassano i margini di profitto derivanti dalle differenze di prezzo di vendita e intascano mazzette. Ovunque ci sia una fabbrica di mattoni, il locale commissariato di polizia elargisce la sua protezione, i proprietari devono pagare ogni anno una “tassa di protezione” mentre i funzionari del governo locale si spartiscono gli utili oppure intascano tangenti.Nella zona di Guangshengsi, nel distretto di Hongdong, ad esempio, i proprietari delle fabbriche possono arrivare a pagare alle autorità giudiziarie locali una somma di 5.240.000 yuan.

Se una serie di avvenimenti che violano la costituzione e i diritti umani costituiscono un reato e hanno una portata così vasta e una durata così ampia nel tempo da poter addirittura richiamarsi a vicende della storia della Repubblica popolare largamente condannabili a parole e forieri di disordini interni, fino al rovesciamento del governo, quelli che abbiamo oggi dinanzi sono invece di una gravità inesprimibile.

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febbraio 23, 2012

Dalla medicina cinese un potenziale farmaco per le malattie autoimmuni
Per circa duemila anni, gli erboristi cinesi hanno curato la malaria utilizzando l'estratto della radice di una pianta del genere Hydrangea, quello delle comuni ortensie, nota con il nome di Chang Shan, che cresce in Tibet e in Nepal. Studi recenti hanno mostrato che l'alofuginone, un composto derivato da questo estratto, potrebbe essere utilizzato per trattare le patologie autoimmuni.

Ora i ricercatori della Harvard School of Dental Medicine hanno scoperto i segreti molecolari alla base dell'efficacia di questo estratto fitoterapico. Grazie ai loro studi, i ricercatori hanno mostrato che l'alofuginone (HF) innesca un cammino biochimico in grado di bloccare lo sviluppo di una potente classe di cellule immunitarie denominate Th17.

“L'HF inibisce in modo selettivo la risposta immunitaria senza deprimere il sistema immunitario nel suo complesso”, ha spiegato Malcolm Whitman, professore di biologia dello sviluppo della Harvard School of Dental Medicine e autore senior di questo nuovo studio. “Questo composto potrebbe ispirare nuovi approcci terapeutici a un'ampia gamma di disturbi autoimmuni”.

“Questa ricerca dimostra come lo studio dei meccanismi biomolecolari che stanno alla base dell'azione dei principi attivi a lungo utilizzati nella medicina tradizionale cinese possa portare a chiarire la regolazione fisiologica e a nuovi approcci al trattamento delle patologie”, ha aggiunto, Tracy Keller, primo autore dell'articolo apparso su “Nature Chemical Biology”.

Una precedente ricerca aveva mostrato che l'HF è in grado di ridurre la fibrosi dei tessuti e attenuare i sintomi di patologie autoimmuni come la sclerodermia o la sclerosi multipla, e anche la progressione dei tumori.

“Da quella ricerca nacque l'ipotesi che l'HF potesse agire sui cammini di segnalazione dotati di numerosi effetti a valle”, ha aggiunto Keller. Grazie agli studi che Keller e colleghi avviarono successivamente si arrivò nel 2009 a dimostrare come l'HF riesca a proteggere l'organismo dalle pericolose cellule Th17, coinvolte in numerosi disturbi di origine autoimmune, senza peraltro influenzare in modo apprezzabile l'azione benefica di altre cellule immunitarie.

I ricercatori scoprirono in particolare che piccole dosi di HF erano in grado di ridurre la sclerosi multipla nel modello murino e avanzarono perciò l'ipotesi che la stessa sostanza potesse rappresentare il primo esempio di una nuova classe di farmaci in grado di inibire selettivamente le patologie autoimmuni senza diminuire l'efficacia del sistema immunitario nel suo complesso.
 
Ulteriori analisi hanno successivamente permesso di chiarire che l'HF era in grado di attivare in qualche modo l'espressione di geni coinvolti in un nuovo cammino biochimico, denominato cammino di risposta amminoacidica, o AAR, cruciale nella regolazione della risposta immunitaria così come nella segnalazione metabolica.

In quest'ultimo studio, i ricercatori sono riusciti a individuare il ruolo in quel cammino di un singolo aminoacido denominato prolina e hanno scoperto che l'HF è in grado di inibire un particolare enzima tRNA sintetasi denominato EPRS, responsabile dell'integrazione della prolina in altre proteine.

Gli autori dello studio ritengono che proprio la precisione con cui è stato individuato il ruolo dell'HF possa aprire la strada a nuove sperimentazioni farmacologiche per un'ampia gamma di disturbi.

La Medicina Cinese si basa ovviamente su una sua lingua ed una sua cultura. Le distanze tra la medicina cinese e la medicina occidentale sono prima di tutto distanze tra ambiti di pensiero più vasti, differenze nella concezione della natura e del suo rapporto con l'uomo, ma ancora più profondamente differenze tra modi di sistematizzare il mondo e di pensarne i problemi. Se le domande che ci si pongono sono diverse, non deve sorprendere che le risposte siano molto differenti e difficilmente comparabili. Chi legge per la prima volta testi di medicina cinese ha difficoltà a capire quale posto abbiano nel mondo del reale termini come Qi, Yin-Yang, Meridiani, 5 fasi, ecc.


Questo problema è acuito dalle cattive traduzioni di questi termini apparse in occidente, le quali hanno legato la Medicina cinese all'ambito New Age (Qi letto come Forza Vitale è un classico esempio) e che invece le è sommamente alieno. Per superare questo ostacolo è necessario sforzarsi di andare oltre l'aspetto strano e antiquato dei termini, per analizzare invece le relazioni che li legano e imparare ad apprezzare la struttura della teoria. Anche la scienza occidentale contemporanea è piena di termini assolutamente oscuri ai non iniziati e a volte estremamente fantasiosi, ma basarsi solo su questo per condannare una teoria è quantomeno superficiale.


Un altro problema è rappresentato dalle "letture" occidentali della Medicina cinese, spesso polarizzate (anche se negli ultimi anni le cose sono molto migliorate) verso una denuncia acritica e disinformata, che rende la Medicina cinese un fenomeno antiscientifico ed ingenuo; oppure verso un'apologia totale e misticheggiante, che considera la Medicina cinese salvifica, la medicina perfetta, il sistema onnicomprensivo.


Entrambi questi approcci non rendono ragione della realtà multiforme del fenomeno, che è il risultato di centinaia di anni di discussione critica, analisi, sperimentazione, approfondimento filosofico che non si sono mai interrotti, che sono riusciti a superare la crisi dell'incontro con la medicina occidentale e che costituiscono il sistema medico principale per una vasta parte della popolazione mondiale.


D'altro canto, questo sistema è figlio della sua cultura, è un prodotto umano, una sistematizzazione che non risponde solo al "dato" ma anche agli indirizzi teorici e al profilo filosofico nel quale è nata, e ne sconta limitazioni e rigidezze. Solo attraverso un approccio storico, che valuti quindi la Medicina cinese nell'insieme del suo sviluppo e delle sue relazioni e non solo nel prodotto finale, si può rendere giustizia a un sistema veramente affascinante anche solo come avventura intellettuale.


Si può citare a questo proposito l'opinione di uno dei più importanti storici della scienza cinese (Nathan Sivin, 1968): la tradizione cinese è certamente scienza, secondo qualsiasi definizione che non sia completamente campanilistica, ma eccetto che a quel livello che la rende scienza, i suoi obiettivi divergono in maniera così costante dai nostri che qualsiasi similitudine diventa gratuita.
 

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febbraio 22, 2012

La Via della Seta, quel filo sottile che legò l'Oriente all'Occidente.
la_via_della_setaPer migliaia di anni, la Via della Seta, il fascio di strade che univa Pechino al Mar Mediterraneo, è stata il più importante canale di transito delle idee e dei commerci tra la Cina e il mondo occidentale. La ripercorriamo in un viaggio ideale che inizia nel 53 avanti Cristo e si conclude oggi. Ma con lo sguardo al futuro prossimo venturo.
I nomi, si sa, possono contribuire in modo decisivo al successo delle idee. Una fortunata ispirazione deve aver assistito, tra gli altri, anche il barone Ferdinand von Richthofen, insigne geografo e geologo tedesco, quando - nell'introduzione all'opera Tagebücher aus China, pubblicata a Berlino nel 1907- stabilì di chiamare Via della Seta il tortuoso groviglio delle vie carovaniere lungo le quali nell'antichità si erano snodati i commerci tra gli imperi cinesi e l'Occidente. Da allora, l'espressione coniata da von Richthofen non è più tramontata.
Su quelle strade, a dire il vero, si sono incrociati profumi, spezie, oro, pelli, metalli, porcellane, medicinali e quant'altro bene fosse disponibile nel primo millennio dell'Era cristiana. Per non parlare di ambascerie, eserciti, missionari ed esploratori. Eppure fu proprio la seta, il prezioso e fin dall'inizio costosissimo tessuto dall'origine ammantata di mistero, a permettere che quegli scambi commerciali e culturali cominciassero a fiorire.
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All'inizio dell'estate del 53 avanti Cristo, precisamente 700 anni dopo la fondazione di Roma, sospinto dall'invidia per i trionfi militari di Cesare e Pompeo, Marco Licinio Crasso partì alla volta della Persia al comando di sette legioni, per sfidare l'esercito dei Parti a tornare a Roma carico di bottino e onori. Le cose non assecondarono le previsioni del povero Crasso il quale, uomo di commerci più che di battaglie, pagò quell'imprudenza con la vita, oltre che con una sonora sconfitta ricordata nella storia romana sotto il nome di battaglia di Carre. Per quanto funesto, quell'episodio segna la prima occasione in cui i Romani vennero in contatto con la seta, con la quale erano tessute le cangianti insegne innalzate dai guerrieri Parti.
Nemmeno mezzo secolo dopo, la "serica" - così detta perché fabbricata dal lontano popolo dei Seri, come a Roma venivano chiamati i cinesi - era il più ambito status symbol della nobiltà romana, che ne faceva sfoggio in ogni occasione di mondanità, un po' come oggi. Separate da altri due grandi imperi - dei Parti in Persia e dei Kushana nei territori degli attuali Afghanistan e Pakistan - in quel periodo Roma e la Cina non vennero in contatto diretto, sebbene entrambe tentassero di inviare ambasciatori dall'altra parte del mondo.
Fu così che, per secoli, i Romani non seppero nulla circa l'origine della seta e della lavorazione necessaria per tesserla. Nella Storia naturale di Plinio il Vecchio si dice dei Seri che fossero "famosi per la lana delle loro foreste". E aggiungeva: "Staccano una peluria bianca dalle foglie e la innaffiano; le donne quindi eseguono il doppio lavoro di dipanarla e di tesserla". Dei bachi, nessuna notizia.
In Cina, d'altronde, il segreto di quel prodotto così fondamentale nei rapporti commerciali con il mondo occidentale era custodito con la massima cura, tanto che l'esportazione dei bachi da seta era proibita da una legge severissima. Solo intorno al 420 dopo Cristo, durante la profonda crisi che divise la Cina nei tre imperi Wei, Wu e Shu, la figlia di un imperatore si rese colpevole di un crimine che, secondo la legge, era punibile con la morte. Concessa in sposa a un principe di Khotan - una delle città Stato del bacino del Tarim - per assecondare i desideri del marito, la "principessa della seta" riuscì a contrabbandare le uova dei bachi da seta e i semi di gelso, nascondendoli nell'ornamento della sua acconciatura. A quell'epoca, le città del bacino del Tarim - nell'attuale Regione autonoma cinese dello Xinjiang - erano tappe obbligate per chi, provenendo da Xi’an (allora Chang'an), percorreva il Gansu e si apprestava ad attraversare l'Asia centrale tra mille insidie.
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Il clima, innanzitutto, molto rigido d'inverno e torrido d'estate nelle depressioni del deserto del Takla Makan, metteva a dura prova gli uomini e gli animali, che avrebbero poi dovuto affrontare gli aspri passi del Pamir per scendere lungo le valli del Pakistan a dell'Afghanistan. In più, le carovane correvano un serio pericolo, poiché erano esposte agli attacchi degli Xiongnu, una popolazione di bellicosi nomadi del Nord che assaliva i viaggiatori che si avventuravano in quelle zone deserte.
Attraverso quello stesso percorso, intorno alla metà del I secolo dopo Cristo, il buddhismo fece il suo ingresso in Cina. Nata più di cinque secoli prima nelle inospitali vallate del Nepal, la nuova religione aveva ormai molti proseliti in India e i più intraprendenti si incamminarono lungo le piste della Via della Seta predicando il verbo del principe Siddharta, l'ormai famoso e venerato Buddha Sakyamuni. Dalla valle dell'Indo alle città dello Xinjiang, sono innumerevoli le testimonianze dell'arte religiosa buddhista, la cui popolarità esplose letteralmente in Cina sul finire del III secolo, quando tra Xi’an e Luoyang si contavano 180 istituti religiosi buddhisti e più di 3.000 monaci.
Nonostante abbia vissuto una seconda età dell'oro grazie alle memorie dei viaggiatori medievali come Marco Polo a Ibn Battuta, intorno al VI-VII secolo la Via della Seta cominciò il suo lento declino, in parte per la scarsa stabilità politica dell'impero cinese nelle sue regioni più occidentali e poi per la spinta dell'Islam.
Ma fu soprattutto la concorrenza di una nuova arteria commerciale a determinare lo spostamento d'interesse dei mercanti europei: l'India e la Cina venivano raggiunte via mare. Fin dai primi secoli dopo Cristo le imbarcazioni partivano dai porti del Mar Rosso o del Golfo Persico e, grazie all'aiuto dei monsoni, approdavano a Barygaza o Muziris, sulla penisola Indiana. A volte, il tragitto proseguiva fino alla Cina meridionale, doppiando la penisola indocinese. Pericolosi pirati assalivano spesso le navi di passaggio al largo della costa pakistana o di quella malese ma, a conti fatti, la via di mare era ormai decisamente più rapida a sicura della via di terra.
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A cavallo tra la fine del secolo scorso a l'inizio di questo, venne poi la riscoperta archeologica delle città del bacino del Tarim, che culminò nel 1906-1907 con il ritrovamento, da parte di sir Marc Aurel Stein, delle "grotte dei mille Buddha" a Mogao. In quelle nicchie scavate nell'arenaria erano raccolte le opere di tutta la Cina dotta, il più completo repertorio di manoscritti cinesi. Stein non era estraneo all'attitudine "predatoria" degli studiosi dell'epoca, e così dispose al più presto il trasferimento del materiale, tuttora conservato al British Museum di Londra.
Oggi l'operazione potrebbe sembrare un furto bello e buono, ma probabilmente Stein salvò i manoscritti dall'avidità dei funzionari del Kuomintang e, poi, dall'ossessione distruttrice della rivoluzione culturale. Fatta eccezione per quanto è esposto al British e in altri musei europei, oggi le testimonianze dell'antica Via della Seta sono custodite nelle rovine delle città, delle fortificazioni, dei caravanserragli, delle torri di avvistamento che, da Xi’an a Petra, punteggiano l'Asia.
Negli ultimi cinquant'anni, a quelle piste polverose si è sovrapposta una lingua d'asfalto. Il formidabile progresso economico che sta investendo il continente la trasformerà presto in una fantascientifica autostrada del Duemila, lungo la quale scorreranno le ricchezze a le speranze del nuovo capitalismo asiatico. Lasciando agli ultimi viaggiatori un’inguaribile nostalgia dell'epopea delle grandi esplorazioni.
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Leggende e Miti di Calabria.

oracolo_capo_vaticanoL'oracolo di Capo Vaticano.

A lungo considerato luogo inaccessibile e sacro, Capo Vaticano, con il suo promontorio magico, si affaccia sul mar Tirreno nella provincia calabrese di Vibo Valentia. La magia salta agli occhi già dal nome: Vaticano deriverebbe infatti dal latino Vaticinium, che significa oracolo, responso, a rievocare una leggenda che vuole la punta estrema del promontorio abitata dalla profetessa Manto. 

A lei si sarebbero rivolti i naviganti prima di avventurarsi tra i vortici di Scilla e Cariddi e lo stesso Ulisse, scampato agli scogli del pericolo, avrebbe chiesto auspici a Manto circa la prosecuzione del suo viaggio. Ricorda le antiche origini di questo mito anche lo scoglio che sta davanti al capo e porta il nome di Mantineo, dal greco Manteuo, dò responsi.

Sotto il promontorio si distendono spiagge di sabbia bianca e finissima, lambite da un’acqua cristallina. Tra le spiagge più suggestive Torre Ruffa, teatro di una triste e leggendaria vicenda. Rapita dai Saraceni, la bella e fedele vedova Donna Canfora si sarebbe gettata dalla loro nave al grido: “Le donne di questa terra preferiscono la morte al disonore!”.

Proprio per onorarne il sacrificio il mare cangia colore ad ogni ora ad assumere tutte le sfumature dell’azzurro velo che ne cingeva il capo, mentre l’eco delle onde che s’infrangono contro la battigia altro non sarebbe che lo struggente lamento con cui Donna Canfora saluta ogni notte la sua amata terra.Pagine piene d’amore furono invece dedicate a questa terra dal veneto Giuseppe Berto che scelse Capo Vaticano per dimora e definì questo tratto di litorale “Costabella”, molto contribuendo allo sviluppo turistico della zona.

Un tempo arido e selvaggio, oggi il promontorio è un giardino incantevole, un affaccio naturale sul mare con una delle viste più sorprendenti sulle isole Eolie.
 

Pietra_diavolo4La pietra del diavolo.

Sul monte che sovrasta la cittadina di Palmi, un uomo dal volto nero, con un gran sacco sulle spalle, si presentò al Santo Elia, che se ne stava in solitaria meditazione. L’uomo, che era il diavolo, aprì il sacco e mostrò al Santo una grande quantità di monete.

Raccontò che aveva trovato l’ingente fortuna in un casolare abbandonato e pensava di poterla dividere col Santo, il quale, invece, prese le monete e cominciò a lanciarle lungo la china: mentre rotolavano si tramutavano in pietre nere, di quelle che ancora oggi si possono reperire sul monte.
Contrariato, il diavolo balzò in piedi, ma, all’improvviso, alle sue spalle si aprirono due grandi ali nere di pipistrello, con le quali egli si alzò in volo, planò sul mare e vi si tuffò sprofondando.

Le acque gorgogliarono e schiumarono, si innalzò una nuvolaglia e, quando questa si fu dileguata, ecco che sul mare si delineò un’isola a forma di cono, dalla cui sommità incavata uscivano lingue di fuoco e fumo: era lo Stromboli col demonio imprigionato che soffiava fiamme e tuoni.

Sul monte Sant’Elia si trova ancora un macigno con le impronte di unghie lasciate dal diavolo, prima di spiccare il volo per inabissarsi nel mare, mentre lo Stromboli, nei chiari tramonti, continua con fare sornione a fumare la sua antica pipa.


Fata_20Morgana_calabriaLa Fata Morgana.

Se in una calda giornata estiva, passeggiando sullo splendido lungomare reggino che D'Annunzio definì "il più bel chilometro d'Italia", vi capitasse di vedere paesi e palazzi della costa siciliana deformarsi e specchiarsi tra cielo e mare, vicini a tal punto da distinguerne gli abitanti, non dovete impressionarvi.

Siete solo vittime di un incantesimo. E' la Fata Morgana, un fenomeno ottico simile a un miraggio che si può osservare dalla costa calabra quando aria e mare sono immobili. La leggenda racconta che anche Ruggero I d'Altavilla fu incantato dal sortilegio. Per indurlo a conquistare la Sicilia, con un colpo di bacchetta magica la Fata Morgana gliela fece apparire così vicina da poterla toccare con mano. Ma il re normanno, sdegnato, rifiutò di prendere l'isola con l'inganno. E così, senza l'aiuto della Fata, impiegò trent'anni per conquistarla.


alarico_tesoro_calabriaIl tesoro di Alarico.


Re Alarico I, dopo il sacco di Roma, scese nel sud Italia dove prese la malaria. Morì a Cosenza nel 410 d.c. dove, secondo usanza visigota, venne seppellito insieme all'immenso tesoro sottratto a Roma proprio nel letto del fiume Busento, che per l'occasione venne deviato dal suo corso tramite un grande lavoro di ingegneria idraulica utilizzando centinaia di schiavi che, dopo aver ricondotto il fiume nel suo letto naturale, vennero trucidati dallo stesso esercito di Alarico per preservare la segretezza del punto della sepoltura.

La leggenda di Alarico e della sua sepoltura nel Busento ha ispirato la poesia di August Graf von Platen Das Grab im Busento (La tomba nel Busento) con una rappresentazione romantica della morte e della sepoltura di Alarico. La poesia è stata tradotta in italiano da Giosuè Carducci.


Cupi a notte canti suonano
da Cosenza su’l Busento,
cupo il fiume gli rimormora
dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe ‘l fiume passano
e ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono
il gran morto di lor gente.


sibariElegante Sibari.


Fu la più splendida delle colonie greche, celebre per il lusso e la dissolutezza dei suoi abitanti, al punto che ancora oggi chi si abbandona a una vita di piaceri viene definito un "sibarita". Vestivano abiti di un'eleganza senza pari, tessevano l'oro, trascorrevano le notti in festini e dormivano su giacigli di petali di rose. Forse sono esagerazioni, ma è certo che questo popolo fosse così amante del bello e dell'armonia da aver bandito ogni forma di violenza.

I sibariti e la loro leggendaria città furono cancellati dalla faccia della terra in un paio di mesi per mano dei crotoniati guidati da Milone, che per completare l'opera, su consiglio di Pitagora, arrivarono addirittura a deviare il corso del Crati. Di tanto splendore non restano che le storie fantastiche di uno stile di vita inarrivabile e, naturalmente, le rovine della città. Niente di spettacolare, in verità, visto che solo una piccola parte è stata riportata alla luce: resti di abitazioni in località Parco del Cavallo e di un santuario dedicato ad Athena nei pressi della stazione, dove sorge anche il Museo della Sibaritide.

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febbraio 21, 2012

Carnevale, Rio in festa: la bellezza delle partecipanti fa il resto, molte delle quali hanno sfilato in nude look.

carnaval_rio1E' uno spettacolo che si ripete ogni anno e che raduna centinaia di migliaia di persone in strada.

Parliamo del Carnevale di Rio manifestazione per la quale si blocca il Paese.

Ma oltre ad essere un importante fonte di reddito per il movimento turistico del Brasile è anche l'occasione per apprezzare i prodotti artistici creati dalle scuole di samba.

Naturalmente la bellezza delle partecipanti fa il resto.

In questa galleria il fotoracconto delle "regine" della  festa molte delle quali hanno sfilato in nude look.

Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezzaCarnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza Carnevale, Rio in festa: sfila la bellezza

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febbraio 20, 2012

Google, le nuove norme sulla privacy entrano in vigore il 1° marzo 2012.

Ecco testuale il comunicato de Google:

googleStiamo eliminando oltre 60 diverse norme sulla privacy in tutti i servizi Google per sostituirle con una normativa unica, più breve e di più facile comprensione. Le nuove norme riguardano più prodotti e funzioni, poiché è nostro desiderio creare un’esperienza d’uso che sia meravigliosamente semplice e intuitiva per tutti i servizi Google.
Questi contenuti sono importanti, quindi ti invitiamo a leggere le Norme sulla privacy e i Termini di servizio aggiornati. Le modifiche diventeranno effettive a partire dal 1° marzo 2012.

Usare più servizi con facilità
Le nuove norme rispecchiano la nostra volontà di creare un’esperienza d’uso semplice che ti permetta di fare ciò di cui hai bisogno, quando lo desideri. Che si tratti di leggere un’email per organizzare una rimpatriata tra amici o di trovare un video preferito da condividere, vogliamo darti la possibilità di muoverti con facilità tra Gmail, Calendar, Ricerca Google, YouTube o qualsiasi altro prodotto che risponda alle tue esigenze.

Su misura per te
Se accedi al tuo account Google, possiamo migliorare la tua esperienza di ricerca, ad esempio suggerendoti i termini di ricerca o personalizzando i risultati in base agli interessi che hai manifestato su Google+, Gmail e YouTube. Comprenderemo meglio che cosa stai cercando e ti restituiremo i risultati giusti più rapidamente.

Condivisione e collaborazione più facili
Quando pubblichi o crei un documento online, spesso vuoi che gli altri lo vedano e contribuiscano. Memorizzando le informazioni di contatto delle persone con cui desideri condividere contenuti, ti aiutiamo a condividere materiale in qualsiasi prodotto o servizio Google riducendo al minimo clic ed errori.

La protezione della tua privacy non è cambiata
Il nostro obiettivo è garantirti la massima trasparenza e offrirti la massima possibilità di scelta attraverso prodotti come Google Dashboard e Gestione preferenze annunci, insieme ad altri strumenti. I nostri princìpi sulla privacy restano gli stessi. Non venderemo mai le tue informazioni personali e non le condivideremo senza la tua autorizzazione (tranne in rare circostanze quali richieste legali valide).
Hai delle domande? Noi abbiamo le risposte
Consulta le nostre Domande frequenti (FAQ) per ulteriori informazioni sulle modifiche. (Abbiamo pensato che i nostri utenti avrebbero avuto «un paio» di domande…).

Notifica di cambiamento

Il 1° marzo 2012 è la data di entrata in vigore delle nuove Norme sulla privacy e dei nuovi Termini di servizio di Google. Se scegli di continuare a utilizzare Google dopo l’applicazione delle modifiche, tale utilizzo sarà regolato dalle nuove Norme sulla privacy e dai nuovi Termini di servizio.
 

Ricerca personalizzata





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